Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 1015 del 13 gennaio 2016

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 1015 del 13/01/2016
Circolazione Stradale - Art. 186 del Codice della Strada - Guida in stato di ebbrezza alcolica sotto l'influenza dell'alcool - Sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità - Valutazione discrezionale del giudice - In tema di guida in stato di ebbrezza sotto l'influenza dell'alcool, il principio che la sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità, ai sensi dell'art. 186, comma 9-bis del codice della strada è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, da compiersi secondo i criteri dettati dall'art. 133 del codice penale.


RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Roma, pronunciando nei confronti dell'odierna ricorrente, (Soggetto 1), con sentenza del 7.4.2014, confermava la sentenza del Tribunale di (Omissis), emessa in data 23.12.2011, con condanna al pagamento delle maggiori spese del grado.

Il Tribunale monocratico di (Omissis), aveva dichiarato in primo grado (Soggetto 1) responsabile del reato p. e p. dal D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 2, lett. c) e succ. mod., perché veniva sorpresa alla guida dell'autovettura (Omissis) targata (Omissis), mentre si trovava in evidente stato di ebbrezza alcolica, come accertato dal test alcolemico indicante il valore di 2,23 g/l alle ore 2,05 e 2,20 g/l alle ore 2,14, superiore ai limiti legali, in (Omissis).

L'imputata veniva condannata, concessele le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 2 di arresto ed Euro 1.000,00 di multa, pena sospesa e non menzione, con sospensione della patente di guida per anni 1 e confisca dell'auto (Omissis) targata (Omissis).

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, (Soggetto 1), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., comma 1:

Art. 606, lett. b) erronea applicazione del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 9-bis così modificato dalla L. 29 luglio 2010, n. 120, in relazione alla mancata sostituzione della pena prevista dalla norma con quella del lavoro di pubblica utilità di cui al D.Lgs. 28 aprile 2000, n. 274, art. 54.

La ricorrente deduce che entrambi i giudici di merito avrebbero erroneamente negato all'imputata di accedere alla sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità.

La sentenza di appello avrebbe rigettato la richiesta perché non sarebbe stata sollevata alcuna questione relativa all'illegalità della pena principale.

In realtà nel giudizio di primo grado era stato richiesto di sostituire la pena da comminare in sentenza con quella del lavoro di pubblica utilità, indicando la disponibilità di due strutture.

Il primo giudice avrebbe rigettato la richiesta in ragione della rilevanza del fatto.

Ci si duole che con i motivi di appello l'imputata aveva lamentato la mancata sostituzione della pena detentiva, evidenziano la contraddittorietà della motivazione laddove, mentre la richiesta di sostituzione veniva rigettata per la rilevanza del fatto, la pena veniva determinata sui minimi edittali con la concessione delle attenuanti generiche.

Il primo giudice avrebbe ritenuto di poter adottare una valutazione discrezionale sulla sostituzione della pena richiesta, mentre l'unica valutazione discrezionale consentita è quella relativa alle modalità di applicazione.

Il tribunale avrebbe operato una valutazione discrezionale in ragione della rilevanza del fatto, mentre la corte di appello avrebbe successivamente rigettato la censura in applicazione delle modifiche normative introdotte con la L. n. 120 del 2010, art. 33 non essendo state mosse censure all'illegalità della pena principale.

La statuizione della corte distrettuale, se da un lato correttamente riterrebbe l'applicabilità dell'intervenuta modifica normativa, dall'altro sbaglierebbe perché la richiesta di applicazione della pena sostitutiva era già stata avanzata in primo grado.

La censura sollevata in appello sarebbe stata destinata a rimuovere il vizio decisionale incidente sulla decisione della negazione della concessione della sostituzione, propedeutico ad una eventuale valutazione sull'illegalità della pena comminata, che veniva irrogata, come dichiarato dalla stessa ricorrente, secondo i limiti edittali previsti dall'art. 186 C.d.S. prima dell'intervenuta riforma.

La decisione della corte di appello sarebbe invece risultata corretta solo nel caso in cui la richiesta di applicazione della sostituzione fosse stata avanzata in secondo grado.

Rileva, infine, la ricorrente che la modifica normativa, anche con limiti edittali più elevati, risulterebbe in ogni caso favorevole al reo per la possibilità di sostituzione della pena detentiva, con la possibilità all'esito dell'estinzione del reato.

Pertanto il vizio da rimuovere andrebbe rinvenuto nella pronunzia del primo giudice che negava un beneficio in assenza di condizioni ostative determinate dalla legge.

Chiede, pertanto, l'accoglimento del ricorso con le previste conseguenze di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo sopra ricordato è manifestamente infondato e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

2. Correttamente la corte di appello capitolina ha rigettato la censura sulla mancata applicazione della sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità sul presupposto che non veniva impugnata l'illegalità della pena comminata.

Il primo giudice infatti nell'applicazione della pena, come ricorda lo stesso ricorrente, ha applicato la disciplina ante riforma più favorevole al reo, trattandosi di reato commesso nel (Omissis).

L'applicazione della sanzione sostitutiva, ai reati commessi prima della modifica normativa, richiede invece la determinazione della pena secondo i parametri più severi dettati dalla nuova legge.

Lo ha chiarito questa Corte di legittimità (sez. 4, n. 8083 del 15.11.2013 dep. il 20.2.2014, D., rv. 259275) affermando che, in tema di guida in stato d'ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), l'imputato che, condannato in primo grado in base alla disciplina anteriore alla L. n. 120 del 2010, invochi in sede di impugnazione l'applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità introdotta dalla legge citata, deve condizionare la sua richiesta alla contestuale irrogazione della diversa e più severa pena detentiva prevista dalla nuova normativa. (In motivazione la Corte ha chiarito che, diversamente opinando, si farebbe illegittima applicazione di una "terza legge", risultante dalla combinazione dei frammenti più favorevoli delle diverse discipline succedutesi nel tempo, in violazione dell'art. 2 cod. pen.).

Ancor prima, altro condivisibile arresto giurisprudenziale di questa Corte (sez. 4, n. 5509 del 12.12.2012 dep. il 4.2.2013, C., rv. 254666), in un caso assolutamente speculare rispetto a quello che ci occupa, nell'affermare che in tema di reato di guida sotto l'influenza dell'alcool, la sostituzione della pena detentiva o pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità prevista dall'art. 186 C.d.S., comma 9-bis, introdotto L. n. 120 del 2010, art. 33, comma 1, lett. a), punto 1, è applicabile anche ai fatti commessi anteriormente alla predetta novella, trattandosi di disposizione oggettivamente ed in concreto più favorevole rispetto a quella previgente, aveva ritenuto corretto il diniego della sostituzione da parte del giudice sul presupposto che la condotta ex art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c) fosse stata punita anche in quel caso con pena comunque più favorevole di quella introdotta dalla L. n. 120 del 2010, sebbene solo quest'ultima norma prevedesse la possibilità di sostituire la sanzione.

3. Come si rileva nella sentenza 5509/2013 il tema da affrontare è legato all'introduzione con la L. n. 120 del 2010 - nella disciplina sanzionatoria dei reati in materia di circolazione stradale, e salvo che ricorra l'aggravante dell'incidente stradale - della sanzione (sostitutiva della pena detentiva e pecuniaria) del "lavoro di pubblica utilità" per la guida sotto l'influenza dell'alcool (nonché per il rifiuto dell'accertamento di cui all'art. 186 C.d.S., commi 3, 4 e 5, e per la guida in stato di alterazione da assunzione di sostanze stupefacenti; sanzione irrogabile già anche con il decreto penale di condanna (artt. 186 C.d.S., comma 9-bis, e art. 187 C.d.S., comma 8-bis).

Già prima di quella pronuncia questa Corte di legittimità aveva chiarito come non vi fosse dubbio che l'applicazione del lavoro di pubblica utilità - anche per gli ulteriori effetti che derivano dall'esito positivo del suo svolgimento - si risolve in una disposizione di favore per il reo, che, in quanto tale, ben può quindi trovare applicazione, ai sensi dell'art. 2 c.p., comma 4 anche in relazione a fatti commessi sotto il vigore della previgente disciplina, laddove non definiti con sentenza irrevocabile (così sez. 4, n. 11198 del 17.1.2012, rv. 252170).

La valutazione del carattere più favorevole di una disciplina normativa deve tuttavia essere formulata - in virtù dei principi generali già enunciati e costantemente ribaditi al riguardo nella giurisprudenza di legittimità - considerando la stessa nel suo complesso: una volta individuata la disposizione globalmente ritenuta più favorevole, il giudice deve applicare questa nella sua integrante, non potendo combinare un frammento normativo di una legge e un frammento normativo dell'altra legge secondo il criterio del favor rei, perché in tal modo verrebbe ad applicare una tertia lex, di carattere intertemporale non prevista dal legislatore, violando così il principio di legalità (così la citata sent. 5509/2013, ma anche, ex multis, sez. 4, 20 settembre 2004, N.).

Ne deriva, secondo il costante dictum di questa Corte Suprema, per quel che qui interessa, che il giudice, laddove ritenga di accedere alla richiesta di applicazione del lavoro di pubblica utilità ritenendo in concreto più favorevole la L. n. 120 del 2010 che tale sanzione sostitutiva ha introdotto, deve avere riguardo, per i limiti edittali della pena da sostituire, alla qualificazione del fatto commesso dall'imputato ed alla relativa forbice sanzionatoria stabilita con detta legge.

4. Orbene, la L. n. 120 del 2010 ebbe a stabilire, per l'ipotesi di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), - nel cui ambito rientra il fatto commesso dalla (Soggetto 1) (avuto riguardo al tasso alcolemico) - differenti parametri edittali per la pena detentiva (arresto da sei mesi ad un anno) lasciando immutata la pena pecuniaria dell'ammenda da Euro 1.500,00 ad Euro 6.000,00: al momento del fatto contestato alla (Soggetto 1) ((Omissis)) erano in vigore la pena dell'arresto da tre mesi ad un anno e quella dell'ammenda da Euro 1.500,00 ad Euro 6.000,00.

Dunque, se ritenuto più favorevole in concreto, il novum normativo di cui alla novella del 2010 avrebbe dovuto essere applicato alla (Soggetto 1) nella sua integrante, con conseguente applicazione del trattamento sanzionatorio stabilito da tale legge per l'ipotesi di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c) contestata al (Soggetto 1), vale a dire la pena minima detentiva di sei mesi di arresto come più volte precisato nella giurisprudenza di legittimità, e, con specifico riferimento proprio alla L. n. 120 del 2010, da questa stessa Sezione (cfr. sez. 4, 1 febbraio 2012, n. 4927, A., rv. 251956; sez. 4, n. 11198/2012).

Nel caso in esame è decisivo considerare che con la sentenza di primo grado - confermata da quella d'appello qui impugnata - la (Soggetto 1) è stata invece condannata alla pena detentiva di mesi due di arresto ed Euro 1000 di ammenda (con la concessione delle attenuanti generiche), muovendo dunque da una pena base detentiva di mesi tre di arresto secondo la più favorevole previsione normativa in vigore al momento del fatto (mentre, come detto, la L. n. 120 del 2010 ha stabilito la pena dell'arresto da sei mesi ad un anno).

Ebbene, non avendo l'imputata espresso in sede di merito la volontà della sostituzione, con il lavoro di pubblica utilità, di una pena commisurata ai nuovi parametri sanzionatori, deve ritenersi che la stessa intendesse fruire del beneficio in argomento - introdotto con la L. n. 120 del 2010 ed in relazione ad una forbice edittale più severa, quanto alla pena detentiva, rispetto a quella precedentemente in vigore - in sostituzione della pena inflittale con riferimento alla più favorevole forbice edittale della pena detentiva previgente: il che, per le ragioni dianzi esposte, non è consentito.

5. Va poi evidenziato che non è affatto vero - come sostenuto in ricorso - che l'applicazione della sanzione sostitutiva non sia soggetta a valutazione discrezionale del giudice.

Questa Corte di legittimità, con principio che il Collegio condivide e che intende qui riaffermare, ha reiteratamente affermato che la sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità, ai sensi dell'art. 187 C.d.S., comma 8-bis, non consegue automaticamente al ricorrere dei presupposti legali ma è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice in ordine alla meritevolezza dell'imputato ad ottenerla (sez. 4, n. 16387 del 23.10.2014 dep. il 20.4.2015, C. rv 263385).

La sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità, ai sensi dell'art. 186 C.d.S., comma 9-bis, è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, da compiersi secondo i criteri dettati dall'art. 133 cod. pen. (sez. 4, n. 15018 del 13.12.2013, C., rv. 261560).

6. In ultimo, va rilevato che non può porsi in questa sede la questione della declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.

La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen (Cass. pen., Sez. Un., 22 novembre 2000, n. 32, D. L., rv. 217266: nella specie la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., 2 marzo 2005, n. 23428, B., rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601, N., rv. 239400; in ultimo Cass. pen. Sez. 2, n. 28848 dell'8.5.2013, rv. 256463).

7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorsile condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e a quello della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2016.

 

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