Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Civile, Sezione terza, ordinanza n. 6539 del 12 marzo 2024

 

Corte di Cassazione Civile, Sezione III, ordinanza numero 6539 del 12/03/2024
Circolazione Stradale - Art. 14 del Codice della Strada e art. 2043 c.c. - Sinistro stradale - Danno cagionato da animali - Fauna selvatica - Responsabilità - Risarcimento del danno - Quando si invoca il risarcimento dei danni cagionati dalla fauna selvatica, ed il conducente del veicolo prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, dimostrando di aver adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida e che la condotta dell'animale selvatico ha avuto effettivamente ed in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità, trova applicazione la presunzione di responsabilità come per i danni cagionati da animali domestici in quanto le specie selvatiche protette, ricadono nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla Regione, quale ente competente a gestire la fauna selvatica in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema.


RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di (Omissis), con sentenza n. 149/2019, condannava la Regione Toscana, in solido con la Provincia di (Omissis), a risarcire i danni alla persona ed al proprio motoveicolo subiti da (Soggetto 1) e quantificati in complessivi Euro 15.278,82, in conseguenza del sinistro originato dallo scontro con un cervo che aveva attraversato repentinamente la SS (Omissis), in località (Omissis), all'altezza del KM 50+300.

A fondamento della decisione, il giudice di primo grado:

- in punto di an debeatur, riteneva provati i fatti, argomentando sul fatto che: a) la fauna selvatica appartiene allo Stato, che ne ha delegato la gestione alle Regioni, affidando loro poteri di gestione, tutela e controllo, mentre alle Province sono delegate funzioni amministrative, con la conseguenza che "la Regione anche in caso di delega di funzioni alle Province, è responsabile, ai sensi dell'art 2043 cod. civ., dei danni provocati da animali selvatici a persone e a cose ... omissis..." (Cass. n. 4202/2011); b) "per quanto difficile possa essere il controllo della fauna selvatica sia la Regione che la Provincia hanno quindi l'obbligo di adoperarsi affinché la stessa venga dissuasa dall'avvicinarsi alle strade pubbliche e ad attraversare le stesse";

- in punto di quantum debeatur, dava atto che la ctu medica aveva riconosciuto postumi invalidanti del 5% ed una invalidità temporanea di 105 giorni; e, tenuto conto delle tabelle del Tribunale di Milano e dell'età del danneggiato, quantificava il risarcimento dei danni fisici in Euro 11.301,00, a cui dovevano essere aggiunti Euro 765,00 di spese mediche ed Euro 3.213,82 per danni al veicolo.

2. Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva impugnazione la Regione Toscana, deducendone l'erroneità nella parte in cui il giudice di primo grado: non aveva accolto l'eccezione di difetto di legittimazione passiva ed aveva ritenuta provata la sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità civile ai sensi dell'art. 2043 c.c. a suo carico della Regione Toscana.

Si costituiva nel giudizio di appello il (Soggetto 1), che: in via preliminare, eccepiva l'inammissibilità del gravame ex art. 348 bis c.p.c.; e, nel merito, contestava, perché infondate, le censure mosse da parte appellante nei confronti della sentenza impugnata, della quale chiedeva la conferma con vittoria delle spese processuali.

Si costituiva altresì la Provincia di (Omissis) che, oltre a contestare la fondatezza dell'eccezione di carenza di legittimazione passiva della Regione Toscana, proponeva appello incidentale avverso la pronuncia del Tribunale nella parte in cui il giudice di primo grado: a) aveva ritenuta la sua legittimazione passiva; b) aveva riconosciuta la corresponsabilità della Provincia in relazione alla gestione della fauna selvatica; c) aveva erroneamente valutato le prove emerse in corso di causa e non si era pronunciato su una più che probabile (cor)responsabilità di parte attrice nella causazione del sinistro; d) aveva disposto che le "spese seguono la soccombenza", senza tenere nel debito conto il diverso contegno processuale assunto dalle difese degli Enti Pubblici convenuti; e) riguardo al quantum, aveva affermato la debenza della somma di Euro. 2.900,00 a titolo di competenze in materia legale stragiudiziale e le voci relative alla personalizzazione del danno, mentre queste, in tesi difensiva, non erano dovute in quanto non provate.

La Corte d'appello di Firenze, con sentenza n. 289/2021:

- in rigetto dell'appello della Regione Toscana, confermava integralmente tutte le statuizioni di condanna nei confronti di tale Ente;

- in accoglimento dell'appello incidentale della Provincia ed in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava la carenza di legittimazione passiva della Provincia di (Omissis), elidendo, per l'effetto, la condanna di quest'ultima a risarcire il danno patito dalla parte attrice, a sostenere le spese di ctu ed a rimborsare a quest'ultima le spese di lite e di c.t.p.;

- provvedeva sulle spese processuali.

3. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la Regione.

Ha resistito con controricorso il (Soggetto 1), che ha proposto ricorso incidentale tardivo e condizionato.

Per l'odierna adunanza camerale, il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, mentre il Difensore di parte resistente ha depositato memoria a sostegno del rigetto del ricorso e nota spese.

Il Collegio si è riservato il deposito della motivazione della decisione entro il termine di sessanta giorni, previsto dall'art. 380.bis-1 c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La Regione Toscana articola in ricorso quattro motivi.

1.1. Con il primo motivo - svolto ai sensi dell'articolo 360, co. 1, n. 4 c.p.c. - la Regione ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c.

Deduce che la corte territoriale avrebbe indebitamente deciso il gravame sulla base dell'art. 2052 c.c., sebbene il Tribunale avesse inizialmente sussunto la fattispecie nell'ambito dell'art. 2043 c.c.. L'illegittimità della decisione starebbe nel fatto che il giudice di secondo grado avrebbe autonomamente proceduto alla riqualificazione della responsabilità dalla Regione ai sensi dell'art. 2052 c.c. all'infuori degli specifici motivi di appello ed in assenza di un'espressa impugnazione incidentale da parte del (Soggetto 1) sul titolo della responsabilità ascritta dal giudice di prime cure agli enti convenuti.

1.2. Con il secondo motivo - svolto ai sensi dell'articolo 360, co. l, n. 3 c.p.c., - la Regione censura la sentenza per la supposta violazione e falsa applicazione dell'art. 2052 c.c.

Secondo la Regione ricorrente, che fonda il rilievo sull'assunto per cui "l'utilizzazione" prevista dall'art. 2052 c.c. non sarebbe integrata dalla gestione a fini protezionistici della fauna selvatica, la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto l'applicabilità di detto articolo alla fattispecie oggetto di lite. La sua stessa formulazione dovrebbe portare a ritenere che esso presupponga la possibilità di custodia e controllo dell'animale, possibilità che dovrebbe rigorosamente escludersi per la fauna selvatica, per la quale una sorveglianza continua potrebbe attuarsi solo con l'inammissibile riduzione in cattività.

Sotto il medesimo profilo, censura la decisione impugnata in relazione alla propria individuazione come soggetto passivamente legittimato, sul piano sostanziale, a rispondere dei danni riportati dal (Soggetto 1), difettando, a suo dire, i presupposti per la responsabilità della Regione quale ente utilizzatore della fauna selvatica, essendo quest'ultima di proprietà dello Stato per espressa disposizione normativa (art. 1 della legge n. 157/1992).

Rileva che nel nostro ordinamento non esiste il principio del precedente vincolante, ragion per cui è inverosimile che il cambiamento di giurisprudenza, in tema di fauna selvatica, riesca ad "offrire un indirizzo chiaro ed univoco per eliminare l'incertezza dell'esito delle decisioni giudiziarie o limitare il contenzioso". D'altra parte, il "repentino cambiamento della giurisprudenza che ha superato in pochi mesi un orientamento granitico e pluriennale" lederebbe il fondamentale diritto alla sicurezza giuridica indispensabile per le scelte di una Pubblica Amministrazione.

1.3. Con il terzo motivo - dispiegato ai sensi dell'articolo 360 co. l, n. 3 c.p.c. - la Regione ricorrente censura la sentenza per la dedotta violazione dell'art. 81 c.p.c., in relazione alla legge n. 157/1992, al D.Lgs. n. 285/1992 ed all'art. 23 della l.r. n. 88/1998.

Secondo la ricorrente, la sentenza violerebbe l'art. 81 c.p.c. giacché la decisione, individuando nella Regione l'unico soggetto legittimato passivo, condurrebbe, contra legem, alla sua sostituzione processuale rispetto agli altri enti che gestiscono la strada (id est, la Provincia di (Omissis)).

Rileva che il nuovo indirizzo giurisprudenziale richiede che, nel caso in cui l'ente proprietario della strada non sia stato già convenuto in giudizio, sia la Regione a dover provvedere alla chiamata in causa e ad esercitare azione di rivalsa nei confronti del suddetto Ente.

Osserva che la corte territoriale ha erroneamente interpretato detto nuovo indirizzo in quanto nel caso di specie la Provincia di (Omissis) era già costituita in giudizio ed era stata condannata in primo grado - in via solidale con essa Regione - in virtù delle sue competenze in materia di viabilità, in quanto ente gestore della strada ed ente delegato alla gestione faunistica: la decisione della corte territoriale violerebbe l'art. 81 c.p.c., in quanto richiederebbe un'azione di rivalsa che non trova fondamento nell'ordinamento, non essendo configurabile né come garanzia propria, né come garanzia impropria (secondo gli insegnamenti di Cass. n. 24707/2015).

1.4. Con il quarto ed ultimo motivo, la Regione chiede la rimessione degli atti alla Corte costituzionale in relazione all'art. 2052 c.c., laddove la norma fosse ritenuta concretamente applicabile alla fattispecie dedotta in questa sede, rilevando il contrasto tra detta interpretazione e l'ordinanza n. 4 del 2001 della Corte costituzionale.

2. Il (Soggetto 1), in sede di controricorso, articola ricorso incidentale, tardivo e condizionato, che affida a 5 motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente incidentale denuncia "violazione e falsa applicazione dell'art. 2052 c.c. in combinato disposto con l'art. 10 della l. n. 157/1992, l'art. 19 del D.Lgs. n. 267/2000, gli artt. 6, 6 bis, 28 bis e 37 della Legge Regione Toscana n. 3/1994, nonché in combinato disposto con gli artt. 5, 6, 29 e 36 della Legge Regione Toscana n. 2/2010 in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c." nella parte in cui la corte territoriale ha escluso la responsabilità della Provincia, nonostante che quest'ultima, sulla base della normativa denunciata, fosse contitolare di un potere di gestione e controllo sulla fauna selvatica.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente incidentale denuncia "violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. in combinato disposto con l'art. 14 del D.Lgs. n. 285/1992 e l'art. 23 della L. Regione Toscana n. 88/1998 in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c." nella parte in cui la corte territoriale - nel dichiarare la carenza di legittimazione passiva della Provincia adducendo che l'individuazione del soggetto competente ad adottare misure di cautela avrebbe rilevato nella rivalsa tra gli enti - avrebbe tralasciato di accertare la responsabilità che, a carico della Provincia, sarebbe alternativamente discesa dall'art. 2043 c.c. in conseguenza della condotta colposa dell'ente (che aveva omesso di predisporre punti di attraversamento sicuri ovvero manufatti per lo sviamento della fauna dalla sede stradale).

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente incidentale denuncia "violazione e falsa applicazione dell'art. 2055 c.c. in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c." nella parte in cui la corte territoriale, per effetto della ritenuta carenza di legittimazione passiva della Provincia, non ha riconosciuto la responsabilità di quest'ultima in solido con la Regione per il titolo che accomunava gli enti convenuti (art. 2052) o per i diversi titoli che comunque generavano un vincolo di solidarietà impropria tra gli stessi (rispettivamente, art. 2043 per la Provincia ed art. 2052 c.c. per la Regione); e, conseguentemente, non ha condannato anche la Provincia a corrispondere l'intero risarcimento.

2.4. Con il quarto motivo denuncia "violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c." nella parte in cui la corte territoriale ha compensato tra lui e la Provincia le spese di lite relative ad entrambi i gradi di giudizio, mentre, previa affermazione della concorrente responsabilità della Provincia, avrebbe dovuto riconoscere quest'ultima soccombente rispetto all'intero esito del gravame.

2.5. Con il quinto motivo denuncia "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360 co. I n. 5 c.p.c." nella parte in cui la corte territoriale non avrebbe fornito il percorso logico e giudico a seguito del quale aveva negato la responsabilità della Provincia.

3. Il ricorso principale è infondato.

3.1. Infondati sono i primi due motivi, che, in quanto connessi, sono qui trattati congiuntamente.

Occorre premettere che questa Corte ha, con indirizzo che può dirsi ormai adeguatamente consolidato, di recente più volte affermato (Cass. n. 31342/2023; n. 16550/2022, n. 3023/2021, n. 20997/2020, n. 16550/2020, n. 13848/2020, n. 12113/2020, 8385/2020, n. 8384/2020, n. 7969/2020) che, nel caso in cui si invoca il risarcimento dei danni cagionati dalla fauna selvatica, trova applicazione la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. Invero, detta norma è applicabile non soltanto nel caso di animali domestici, ma anche di specie selvatiche protette ai sensi della legge n. 157/1992 che rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla Regione, quale ente competente a gestire la fauna selvatica in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema (art. 1, comma 3, legge n. 157 del 1992).

Ne consegue che, in via generale, quanto agli oneri probatori, in applicazione del criterio oggettivo di cui all'art. 2052 c.c., il danneggiato deve allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall'animale selvatico (e, quindi, dimostrare la dinamica del sinistro nonché il nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso subito, oltre che l'appartenenza dell'animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla legge n. 157 del 1992 e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato).

Tuttavia, nel caso di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli ed animali selvatici, il criterio di imputazione della responsabilità a carico del proprietario di animali di cui all'art. 2052 c.c. non impedisce l'operatività della presunzione prevista dall'art. 2054, comma 1, c.c., a carico del conducente di veicolo senza guida di rotaie per danni prodotti a persone o cose, compresi anche gli animali, dalla circolazione del veicolo. Con la conseguenza che, in tali casi, il danneggiato - poiché, ai sensi dell'art. 2054, comma 1, c.c., in caso di incidenti stradali il conducente del veicolo è comunque onerato della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno - se intende ottenere l'integrale risarcimento del danno che allega di aver subito, deve anche allegare e dimostrare di avere nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida e che la condotta dell'animale selvatico ha avuto effettivamente ed in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui non può che ritenersi causa esclusiva del danno, in quanto - nonostante ogni sua cautela - non gli sarebbe stato comunque possibile evitare l'impatto; mentre la Regione, per liberarsi da responsabilità, deve dimostrare che la condotta dell'animale selvatico si è posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno, e come tale, è stata dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo.

Applicando correttamente i suddetti principi, la corte territoriale ha ritenuto - ad esito di un giudizio in fatto, insindacabile in sede di legittimità (p. 9 e 10), in quanto scevro da vizi giuridici e da quei soli gravissimi vizi logici rilevanti dopo la novella del 2012 del n. 5 dell'art. 360 c.p.c. - che, da un lato, il (Soggetto 1) aveva provato di aver tenuto una condotta di guida rispettosa dei limiti di velocità ed adeguata alle caratteristiche della strada e che non avrebbe avuto alcuna possibilità di evitare l'impatto con l'animale (sbucato improvvisamente dalla boscaglia, a destra dello stesso, intersecando così la traiettoria del mezzo da lui condotto); e, d'altro lato, la Regione non aveva allegato alcuna circostanza idonea ad integrare il caso fortuito.

Tanto più che dalla documentazione prodotta dal (Soggetto 1) era risultata l'esistenza di fonti incontrollate di richiamo della fauna selvatica verso la sede stradale, ragion per cui nella specie non soltanto non era risultato non provato che la condotta dell'ungulato fosse imprevedibile, ma, anzi, al contrario, era risultato provato che la stessa fosse prevedibile ed avrebbe potuto essere scongiurata aumentando la visibilità laterale (mediante il decespugliamento dei bordi stradali e lo sfalcio periodico delle banchine laterali) e creando punti di ristoro/abbeveraggio in aree disabitate e non coltivate.

Al riguardo, quanto meno nel caso di specie, non si è formato alcun giudicato interno. Vero è che in diverse occasioni questa Corte ha riconosciuto che la qualificazione giuridica, operata dal giudice di primo grado e non impugnata in appello dalla parte interessata, è suscettibile di passare in giudicato, con conseguente preclusione della possibilità di invocare una diversa qualificazione in sede di legittimità. In particolare, si è ancora di recente statuito che il giudicato si forma anche sulla qualificazione giuridica data dal giudice alla domanda se la parte interessata non ha proposto specifica impugnazione (Cass. n. 31330/2023), ma si è pure ribadito che a tanto fanno eccezione i casi in cui tale qualificazione o non ha condizionato l'impostazione e la definizione dell'indagine di merito, o è incompatibile con le censure formulate dall'appellante, o non ha formato oggetto di contestazione tra le parti, o quando si tratti soltanto di stabilire, fermi i fatti accertati, quale norma debba applicarsi ad una determinata fattispecie concreta.

Pertanto, ipotesi del tutto distinta dalla qualificazione della domanda è quella in cui si tratta soltanto di stabilire, fermi i fatti accertati, se deve applicarsi l'art. 2043 ovvero l'art. 2052 c.c. In tale ipotesi, che ricorre nella specie, non può parlarsi di giudicato in quanto, in virtù del principio iura novit curia, è sempre consentito al giudice - anche in sede di legittimità - valutare d'ufficio sulla scorta degli elementi ritualmente acquisiti, la corretta individuazione della norma applicabile.

In altri termini, lo stabilire se la domanda attorea debba essere decisa applicando l'art. 2043 o l'art. 2052 c.c. non costituisce una questione di qualificazione giuridica della domanda, ma una questione di individuazione della norma applicabile: detta questione non può che essere risolta in base al principio iura novit curia. D'altronde, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 12310/2015 - prendendo posizione sui concetti di "domanda nuova", "domanda precisata" e "domanda modificata" - hanno statuito che la modifica della domanda è sempre ammissibile quando riguardi la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l'atto introduttivo o comunque sia con questa collegata o connessa, quanto meno per alternatività. Ne consegue che non è precluso alla parte di invocare (e non è inibito al giudice di merito di applicare) il criterio speciale di imputazione di responsabilità in luogo di quello generale, originariamente invocato ed applicato.

E, nella specie, va notato che nessuna plausibile lesione del diritto di difesa risulta essere stata concretamente prospettata dalla parte che subisce gli effetti della riqualificazione in base a normativa che presupponga una diversa articolazione degli oneri probatori.

3.2. Inammissibili, se non infondati, sono anche gli altri due motivi.

Il terzo motivo è, prima di ogni altra cosa, inammissibile, in quanto tale supposto vizio non consta adeguatamente avere costituito oggetto di specifico motivo di appello. Ma esso è pure infondato, in quanto il giudice di merito, al quale sia stata richiesta da parte attrice la condanna di più convenuti al pagamento di un'obbligazione solidale (come per l'appunto è avvenuto nel caso di specie a seguito della chiamata in causa della Regione ad opera della sola originaria convenuta Provincia), è indubbiamente legittimato a pronunciare la condanna di uno solo per l'intero. D'altra parte, nel caso di specie, non si tratta di sostituzione processuale, ma di rivalsa, sempre che della stessa sussistano i presupposti: è dunque irrilevante che la Provincia fosse costituita, in quanto, si ribadisce, non è stata dispiegata nei confronti della stessa domanda di rivalsa da quella, tra i convenuti (e cioè l'odierna ricorrente principale) che ne avrebbe avuto titolo. E, in via dirimente, si osserva che, per potervi essere condanna alla rivalsa, occorre che il titolare del relativo diritto - cioè, la parte che rischi di essere condannata - formuli una esplicita domanda in tal senso, in applicazione di un generalissimo principio di diritto processuale: certamente non bastando la mera circostanza della pendenza della domanda originaria dispiegata dall'attore nei confronti di entrambe le convenute.

Quanto al quarto motivo, lo stesso è inammissibile, in quanto, nel prospettare unicamente una questione di legittimità costituzionale, non configura di per sé un vizio della sentenza impugnata.

Ma la relativa questione è anche infondata, in quanto la Corte costituzionale, con l'invocata ordinanza n. 4 del 2001, ha ritenuto a sua volta non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2052 cod. civ., che era stata sollevata sul presupposto che, secondo l'interpretazione all'epoca prevalente, la norma fosse applicabile ai soli danni provocati da animali domestici e non anche a quelli causati dalla fauna selvatica. Tale pronuncia escluse, in riferimento all'art. 3 Cost., l'incostituzionalità dell'interpretazione restrittiva dell'art. 2052 cod. civ., diretta a circoscriverne l'operatività a talune fattispecie, escludendone altre, ma non precluse la possibilità di una interpretazione estensiva, diretta ad espanderne l'ambito di applicazione, la quale, parificando quoad culpam tutti i proprietari di animali, domestici e selvatici, avrebbe, al contrario, prevenuto in radice la possibilità di violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo della disparità di trattamento. E nessuno dei parametri costituzionali invocati viene in discussione nel senso paventato dall'odierna ricorrente, per le ragioni già esposte nelle pronunce con le quali si è affrontata funditus la relativa problematica, alle cui argomentazioni, sul punto specifico non adeguatamente attinte da censura in questa sede, può qui bastare un integrale richiamo.

4. Al rigetto del ricorso principale consegue l'assorbimento del ricorso incidentale, siccome espressamente qualificato come condizionato, nonché la condanna della ricorrente principale alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente (con riconoscimento delle borsuali esposte e, senza necessità di quantificazione in questa sede per essere quello un effetto ex lege della pronuncia sulle spese, del contributo unificato relativo al presente giudizio di legittimità, di cui sia provato l'avvenuto esborso) e la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell'importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315), da parte della sola ricorrente principale, per essere restato assorbito (e, quindi, non definito in senso sfavorevole, né in rito, né nel merito, a chi lo ha proposto) quello incidentale condizionato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 105,91 ed agli accessori di legge, compreso il contributo unificato eventualmente versato per il presente giudizio di legittimità.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente in via principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2024, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile.

Depositata in Cancelleria il 12 marzo 2024.

 

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