Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Consiglio di Stato, Sezione quinta, sentenza n. 8223 del 8 settembre 2023

 

Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza numero 8223 del 08/09/2023
Circolazione Stradale - Art. 85 del Codice della Strada - Servizio di piazza con taxi - Obbligo di rientro in rimessa - Divieto generalizzato di stazionamento fuori dalle rimesse - La normativa vigente prescrive che le autovetture in servizio di noleggio con conducente per trasporto di persone devono stazionare nelle proprie rimesse, tranne nei casi in cui sopraggiunga nuova richiesta di servizio mentre è in svolgimento un precedente servizio (o lo stesso è appena terminato), e resta la facoltà di effettuare la sosta su suolo pubblico se tra un servizio di trasporto e l'altro si riceve una nuova prenotazione, anche grazie all'impiego di strumenti tecnologici.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10020 del 2022, proposto da (Soggetto 1), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. An., Em. Co. e Ma. Be., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Be. in Roma, alla via (Omissis), nn. (Omissis);

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Se. Si., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, alla via (Omissis), n. (Omissis);

nei confronti

Associazione (Soggetto 2), Federazione (Soggetto 3), Federazione (Soggetto 4), (Soggetto 5), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, nonché (Soggetto 6), (Soggetto 7) e (Soggetto 8), in proprio, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Ma. Gi., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, alla via (Omissis), n. (Omissis); Cooperativa (Soggetto 9) soc. coop., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Roma, sez. II, n. 8738/2022, resa tra le parti

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale, dell'Associazione (Soggetto 2), della Federazione (Soggetto 3), della Federazione (Soggetto 4), di (Soggetto 5), di (Soggetto 6), di (Soggetto 7) e di (Soggetto 8);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Cocco, Siracusa e Giustiniani;

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. - 

Con ricorso proposto dinanzi al Tar per il Lazio, l'Associazione (Soggetto 10) - nella qualità di associazione di categoria, accreditata presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, tra le più rappresentative nel settore del trasporto pubblico non di linea operato mediante il servizio di noleggio con conducente ("NCC") - impugnava una serie di disposizioni contenute nel "Regolamento Capitolino per la disciplina degli autoservizi pubblici non di linea", approvato con deliberazione dell'Assemblea capitolina n. 51 del 27 maggio 2021, pubblicata all'Albo Pretorio online di Roma Capitale dal 4 al 18 giugno 2021, ritenute lesive degli interessi della categoria rappresentata.

In particolare, le disposizioni contestate riguardavano:

a) l'articolo 29, comma 1, nella parte in cui fissava l'"obbligo di rientro in rimessa", al termine di ciascun servizio e in mancanza di altre prenotazioni, con il "divieto generalizzato di stazionamento fuori dalle rimesse";

b) l'articolo 29, comma 2, nella parte in cui sanciva l'obbligo, per gli operatori autorizzati da altri Comuni, di autocertificare, per un verso, l'osservanza e i requisiti di operatività previsti dalla legge quadro per accedere al territorio di Roma Capitale, e di munirsi, per altro verso, di apposita autorizzazione per l'accesso alle ZTL e l'uso delle corsie preferenziali e delle altre facilitazioni previste per i servizi pubblici, di durata giornaliera, settimanale o comunque connessa alla durata dei servizi richiesti, in assenza di rimesse nel territorio di Roma Capitale;

c) l'articolo 8, comma 3, quanto all'aggravio degli adempimenti già previsti dalla legge quadro per poter disporre di ulteriori rimesse nel territorio di Roma Capitale;

d) gli articoli 21, comma 1, lett. b), e 49, comma 2, relativamente alla previsione di un requisito di capacità minima del bagagliaio (360 litri), con fissazione di un periodo transitorio di adeguamento, in caso di vetture immatricolate da più di dieci anni non idonee a soddisfare il nuovo requisito, per i soli operatori del servizio taxi.

2.- Nella resistenza di Roma Capitale e della controinteressata Cooperativa (Soggetto 9), e con l'intervento ad opponendum della Associazione (Soggetto 2), della Federazione (Soggetto 3), della Federazione (Soggetto 4), dell'(Soggetto 5) (in rappresentanza della categoria degli operatori del settore taxi a livello nazionale e provinciale, portatrice di interessi antitetici a quelli fatti valere in giudizio), con sentenza n. 8738 del 27 giugno 2023 il TAR adito, in accoglimento delle preliminari eccezioni di rito, dichiarava inammissibile il ricorso, in ragione della ritenuta assenza della legittimazione ad agire.

3.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, (Soggetto 1) impugna la ridetta statuizione, che assume erronea ed ingiusta, all'uopo devolutivamente riproponendo le ragioni di doglianza vanamente formulate in prime cure e rimaste assorbite dalla sfavorevole decisione in rito.

Si sono costituiti in giudizio, per resistere al gravame, Roma Capitale, l'Associazione (Soggetto 2), la Federazione (Soggetto 3), la Federazione (Soggetto 4), (Soggetto 5), nonché (Soggetto 6), (Soggetto 7) e (Soggetto 8).

Nel rituale contraddittorio delle parti, alla pubblica udienza dell'8 giugno 2023, sulle ribadite conclusioni dei difensori, la causa è stata riservata per la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. -

L'appello è infondato e merita di essere respinto anche se la motivazione del ricorso di primo grado va parzialmente modificata.

2.- Importa rammentare che la decisione impugnata si fonda sull'argomentato rilievo:

a) che il ricorso prefigurasse, nei termini della sua formulazione, una ipotesi di "conflitto di interessi" tra gli operatori aderenti all'Associazione ricorrente, con particolare riguardo alla (non omogenea) posizione della sub categoria degli operatori NCC titolari di autorizzazione rilasciata da Roma Capitale, rispetto a quella degli operatori titolari di autorizzazione rilasciata da altri Comuni;

b) che, segnatamente, nella prospettazione censoria di parte, le disposizioni regolamentari oggetto di impugnazione sarebbero state idonee a determinare situazioni di vantaggio concorrenziale di una parte della categoria rispetto alla generalità degli operatori astrattamente incisi dalle stesse, con evidente ricaduta sulla (necessaria) "omogeneità dell'interesse azionato";

c) che, in particolare, le disposizioni di cui agli articoli 29, commi 1 e 2, e 8, comma 3 erano tali da avvantaggiare gli operatori NCC titolari di autorizzazione rilasciata da Roma Capitale rispetto ai titolari di autorizzazione rilasciata da altri Comuni, posto che: c1) sotto un primo profilo, solo i primi non avrebbero avuto la necessità, disponendo di una rimessa all'interno del territorio comunale, di stazionare sul suolo pubblico in attesa di eventuali prenotazioni, potendo rientrare senz'altro nella propria rimessa, senza operare viaggi a vuoto, ivi rimanendo a disposizione dell'utenza; c2) sotto un distinto profilo, nella medesima situazione si sarebbero trovati gli operatori autorizzati da altri comuni dell'Area Metropolitana di Roma che si fossero avvalsi, o avessero programmato di avvalersi, della facoltà di disporre di ulteriore rimessa nel territorio di Roma Capitale;

d) che, per tal via, gli operatori autorizzati da Roma Capitale e quelli autorizzati da altri Comuni dell'Area Metropolitana di Roma Capitale, che disponessero di ulteriore rimessa nel territorio comunale, sarebbero stati avvantaggiati (e non pregiudicati) dalla disposizione regolamentare intesa a vietare agli operatori privi della rimessa di stazionare sul suolo pubblico in attesa di eventuali prenotazioni, con l'effetto pratico di restringere (in luogo di ampliare) la platea dei potenziali concorrenti operativi sul territorio e di contrastare l'esercizio abusivo dell'attività di settore, relativamente al criterio della ribadita territorialità dell'autorizzazione;

e) che anche gli adempimenti richiesti dalle disposizioni impugnate ai fini delle verifiche concernenti la ulteriore rimessa di cui gli operatori autorizzati da altri Comuni dell'Area Metropolitana di Roma Capitale avessero dichiarato di disporre nel territorio capitolino, essendo chiaramente finalizzati al controllo dell'effettiva disponibilità della stessa da parte dei dichiaranti, avrebbero finito per garantire il rispetto della disciplina di settore, mirando a contrastare lo svolgimento non autorizzato del servizio sul territorio comunale, a tutto vantaggio (e senza pregiudizio) degli operatori autorizzati da Roma Capitale;

f) che, ancora, gli operatori autorizzati da Roma Capitale dovessero parimenti ritenersi avvantaggiati (piuttosto che pregiudicati) dagli oneri imposti agli operatori autorizzati da altri Comuni, in relazione all'accesso alla ZTL, all'uso delle corsie preferenziali e alle altre facilitazioni previste per i servizi pubblici, trattandosi di disposizioni all'evidenza finalizzate a riservare agli operatori espressamente autorizzati le segnate agevolazioni, in concreto impedendo un accesso indiscriminato alle stesse oltreché un aggravio della situazione del traffico cittadino;

g) che, infine, la disposizione introduttiva di un requisito di capacità minima del bagaglio avrebbe generato una discriminazione tra gli operatori in possesso di un veicolo rispettoso del requisito e quelli che ne fossero privi, con la (ribadita e definitiva) conseguenza che all'interno della categoria sussisteva necessariamente un conflitto di interessi tra coloro che avevano (già in astratto) interesse al mantenimento delle prescrizioni, in quanto atte a tradursi in un vantaggio concorrenziale, e quelli che, non essendo in grado di rispettare i nuovi limiti e requisiti, ne sarebbero stati pregiudicati.

Su tali premesse - e alla luce della assunzione per cui la legittimazione ad agire di un ente collettivo ai fini dell'annullamento di un atto amministrativo postulasse, per consolidato intendimento, la sussistenza del requisito dell'"omogeneità dell'interesse (diffuso) rappresentato" - il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

3.- Ciò posto, a fronte delle doglianze di parte appellante (intese alla complessiva negazione della effettiva conflittualità di posizioni intercategoriali), osserva il Collegio che, in termini generali, la questione della legittimazione attiva dei c.d. enti collettivi è stata oggetto di un ampio dibattito, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza.

Si tratta di quei soggetti che hanno come fine statutario la tutela di interessi collettivi, ovvero interessi comuni a più soggetti che si associano come gruppo o come categoria per realizzare i fini del gruppo stesso. Tali enti si distinguono tanto dai singoli associati quanto dalla comunità generale. L'interesse collettivo, dunque, deve essere un interesse riferibile al gruppo in sé, che, da parte sua, non può avere una dimensione occasionale.

Si è, in materia, evidenziato (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2023, n. 7925, sulla scia di Cons. Stato, ad. plen., 20 febbraio 2020, n. 6, cui adde Id., sez. III, 2 novembre 2020, n. 6697) che l'interesse diffuso concreta un interesse sostanziale che eccede la sfera dei singoli per assumere una connotazione condivisa e non esclusiva, quale interesse di "tutti" in relazione ad un bene dal cui godimento individuale nessuno può essere escluso, ed il cui godimento non esclude quello di tutti gli altri.

In tale prospettiva, l'interesse sostanziale del singolo, inteso quale componente individuale del più ampio interesse diffuso, non assurge ad una situazione sostanziale "personale" suscettibile di tutela giurisdizionale (non è cioè protetto da un diritto o un interesse legittimo) posto che l'ordinamento non può offrire protezione giuridica ad un interesse sostanziale individuale che non è in tutto o in parte esclusivo o suscettibile di appropriazione individuale. È solo proiettato nella dimensione collettiva che l'interesse diviene suscettibile di tutela, quale sintesi e non sommatoria dell'interesse di tutti gli appartenenti alla collettività o alla categoria, e che dunque si dota della protezione propria dell'interesse legittimo, sicché - a superamento di una prospettiva ricostruttiva incentrata su una interpretazione eccessivamente restrittiva dell'art. 81 cod. proc. civ.- seppur è lecito opinare circa l'esistenza o meno, allo stato dell'attuale evoluzione sociale e ordinamentale, di un interesse legittimo collettivo, deve invece recisamente escludersi che le associazioni, nel richiedere in nome proprio la tutela giurisdizionale, azionino un "diritto" di altri. La situazione giuridica azionata è la propria. Essa è relativa ad interessi diffusi nella comunità o nella categoria, i quali vivono sprovvisti di protezione sino a quando un soggetto collettivo, strutturato e rappresentativo, non li incarni. L'interesse deve essere, cioè, differenziato e, conseguentemente, la lesione di tale interesse legittima al ricorso l'organizzazione in quanto tale.

Ne discende, a guisa di corollario, il principio, oggetto di consolidato intendimento, secondo cui nel processo amministrativo per la legittimazione attiva di associazioni rappresentative di interessi collettivi si rivela necessario che: a) la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell'associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale, e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati; b) l'interesse tutelato con l'intervento sia comune a tutti gli associati, sì che non vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e che non siano, in definitiva, configurabili conflitti interni all'associazione (anche con gli interessi di uno solo dei consociati), che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio; restando, infine, preclusa ogni iniziativa giurisdizionale sorretta dal solo interesse al corretto esercizio dei poteri amministrativi, occorrendo un interesse concreto ed attuale (imputabile alla stessa associazione) alla rimozione degli effetti pregiudizievoli prodotti dal provvedimento controverso (cfr. anche Cons. Stato, ad. plen., 2 novembre 2015, n. 9; Id., 27 febbraio 2019, n. 2).

Va, per tal via ribadita la predicabilità di forme di tutela di interessi diffusi ove suscettivi di un processo di cd. collettivizzazione a mezzo della entificazione della comunità di riferimento laddove non sussista un atto di rango legislativo che ciò esplicitamente riconosca.

D'altra parte, in relazione al concorso delle condizioni dell'azione (che postula, accanto alla legittimazione, un effettivo interesse ad agire), vale rimarcare, in una luce teorica generale (cfr., da ultimo, Cons. Stato, n. 7925/2023 cit.), che la argomentata natura "diffusa" degli interessi di cui è latore, per opzione statutaria, l'ente che se ne faccia "esponente" (ovvero, con l'invalsa terminologia, "esponenziale") postula, in certo modo per definizione, una logica "estensiva" che, sul piano propriamente remediale, guadagna al criterio (orizzontale, astratto e generale) della "legittimazione" (ad agire) una primazia, quand'anche né assoluta né totalitaria, sul concorrente criterio (verticale, concreto e speciale) dell'"interesse" (processuale).

In qualche misura, cioè, per perpetuare l'efficace ed invalsa metafora spaziale cui si appoggia il vocabolario giuridico, la diluizione del profilo (soggettivo ed individualistico) della stretta "personalità" dell'interesse (sostanziale) guadagna in estensione, nel prisma delle condizioni per la sua tutela in giudizio, ciò che perde in intensione.

Ancorché non si tratti, con ciò, di postulare (quando fosse, in premessa, riconosciuta la legittimazione esponenziale) una sorta di (finzionistico) interesse in re ipsa, neppure si può pretendere (ché sarebbe in contraddizione con il dato sostanziale, che rappresenta il prius logico delle condizioni dell'azione) una stringente dimostrazione della specifica utilità dell'iniziativa processuale.

In altri termini: l'azione a tutela di interessi diffusi si colloca, sotto il profilo in questione, al crocevia tra una "mera azione" (concessa ex lege con riguardo alla attitudine abilitativa della mera posizione legittimante) e l'"azione in concreto" a tutela di diritti strettamente "soggettivi" e di "propri" (e strettamente "personali") interessi legittimi (arg. ex art. 24 Cost.).

4.- È alla luce del riassunto prisma concettuale che va risolta la controversia: e ciò nel senso - immediato corollario della peculiare coloritura o torsione propria delle condizioni dell'azione esponenziale - che l'omogeneità degli interessi categoriali (che è requisito necessario alla legittimazione in abstracto) va apprezzata caso per caso (in relazione alla concretezza dell'utilità prospetticamente rinveniente, sotto il profilo dell'interesse, dall'ipotetico accoglimento della domanda).

Se così è, l'appello è in parte fondato, laddove non tutte le disposizioni regolamentari impugnate, per come prefigurate, appiano idonee, a dispetto della generalizzazione operata dal primo giudice, una situazione di disomogeneità (o potenziale conflittualità).

Vale, invero, osservare, in parziale adesione alla critica prospettazione di parte appellante, che, relativamente alla impugnazione dell'articolo 29, comma 1, del nuovo Regolamento (con il primo motivo di ricorso in primo grado), con il quale era stato disposto il generalizzato divieto agli operatori NCC della possibilità di stazionare fuori dalle rimesse (anche qualora lo stazionamento fosse finalizzato all'attesa di nuove prenotazioni effettuate mediante strumenti tecnologici), il ricorso - di là, beninteso, dalla sua fondatezza nel merito, che rappresenta un posterius di cui dovrà dirsi infra - si presenta, ex ante, potenzialmente vantaggioso per tutti gli appartenenti alla categoria, in quanto preordinato, in tesi, alla rimozione tout court di un obbligo asseritamente reintroduttivo, in forma pretesamente surrettizia, del rientro vincolato in rimessa, già dichiarato incostituzionale da Corte Cost. n. 56/2020: e ciò indipendentemente dal fatto che lo stesso obbligo fosse da riferire ad operatori che avessero conseguito la propria autorizzazione da Roma Capitale (disponendo, con ciò, di una rimessa nel territorio comunale) o da altre Amministrazioni comunali (disponendo, allora, di una rimessa fuori del territorio comunale). Sotto questo (primo) profilo, perciò, il ricorso - che va acquisito come obiettivamente scindibile, quanto alle (singole ed autonome) disposizioni regolamentari in contestazione - deve essere dichiarato, in parziale riforma della sentenza impugnata, ammissibile.

La decisione risulta, per contro, corretta relativamente alle altre ragioni di doglianza, posto che:

a) la disposizione (articolo 8, comma 3 del regolamento, impugnata con il terzo motivo del ricorso di prime cure) intesa ad imporre ai (soli) operatori autorizzati dai Comuni dell'Area metropolitana il plurimo aggravio procedimentale correlato alla certificazione di una (autonoma) disponibilità di una rimessa (anche) sul territorio capitolino non solo non pregiudica (nella logica dell'apprezzamento ex ante propria, nei sensi chiariti, delle condizioni dell'azione), ma anzi appare tale da recare un potenziale vantaggio, in termini di restrizione della concorrenza, agli operatori autorizzati da Roma Capitale, sottratti come tali a tali adempimenti e condizioni aggiuntive: con il che la posizione legittimante dell'associazione viene senz'altro meno;

b) identico discorso vale, a dispetto delle non centrate doglianze dell'appellante, per l'impugnazione della previsione di cui all'articolo 29, comma 2, del regolamento (correlata al secondo motivo di ricorso in primo grado), la quale ha inteso subordinare, per i soli operatori autorizzati da altri Comuni, l'accesso al territorio di Roma Capitale ad un'autocertificazione legata alla durata dei servizi, nonché l'accesso alle ZTL, alle corsie preferenziali e alle altre facilitazioni previste per il servizio pubblico sul territorio di Roma Capitale: condizione, all'evidenza, cui sono sottratti, in principio, gli operatori autorizzati da Roma Capitale, in concreto avvantaggiati, sul piano concorrenziale, e non svantaggiati dalla misura;

c) per distinto ordine di ragioni, ma con analogo esito di inammissibilità, la previsione di cui agli articoli 21, comma 1, lett. b) e 49, comma 2, del contestato Regolamento (correlata al quarto motivo di ricorso in primo grado), appare foriera - avuto riguardo alla scolpita introduzione di un requisito di capacità minima del bagagliaio (360 litri) per NCC e taxi, prevedendo solo per questi ultimi un periodo transitorio per l'adeguamento delle vetture già in servizio da oltre dieci anni e, per contro, l'immediata interruzione dell'attività per gli operatori NCC non conformi - di una discriminazione intracategoriale, correttamente valorizzata dal primo giudice, tra operatori in possesso di un veicolo rispettoso del neointrodotto requisito ed operatori che ne fossero privi.

5.- Alla luce delle esposte considerazioni, l'appello è fondato con esclusivo riguardo alla erronea declaratoria di inammissibilità del primo motivo del ricorso di prime cure, che va per tal via - in quanto ritualmente riproposto, con ampia prospettazione devolutiva ex art. 101 cod. proc. amm. - esaminato nel merito.

5.1.- Esso è infondato.

Osserva il Collegio che, con la disposizione in contestazione (art. 29, comma 1, del nuovo Regolamento), Roma Capitale ha previsto che: "Lo stazionamento delle autovetture di N.C.C., la cui autorizzazione è stata rilasciata da Roma Capitale, deve avvenire esclusivamente all'interno delle rimesse, comunicate al gestore del servizio individuato dall'Amministrazione capitolina mediante la piattaforma T.N.W., in cui i veicoli devono sostare, a disposizione dell'utenza, salvo i casi nei quali durante lo svolgimento di un servizio, ovvero alla fine di uno stesso ovvero al termine dell'ultimo servizio prenotato, mentre si fa ritorno in rimessa, si riceva una nuova richiesta di servizio. Le prenotazioni di trasporto per il servizio N.C.C. sono effettuate presso le rimesse o la sede, anche mediante l'utilizzo di strumenti tecnologici. Nell'esercizio del servizio di noleggio da rimessa, è fatto divieto di stazionamento su suolo pubblico in attesa di prenotazione. È invece consentita in ogni caso la fermata su suolo pubblico durante l'attesa del cliente che ha effettuato la prenotazione del servizio e nel corso dell'effettiva prestazione del servizio stesso".

In altri termini, si è sancito che le vetture NCC debbano stazionare nelle rimesse previamente autorizzate per restare a disposizione dell'utenza, salvo i casi in cui durante il servizio (o al termine dell'ultima corsa prenotata) si riceva una nuova richiesta di prestazione. È stata, inoltre, vietata la 'sosta' su suolo pubblico in attesa delle prenotazioni, fermo restando che si potrà comunque effettuare la 'fermata' in attesa del cliente.

Orbene, contrariamente all'avviso della associazione appellante, le disposizioni in questione, lungi dal porsi in contrasto con il pronunciamento della Corte costituzionale n. 56/2020, appaiono ripetitive (e confermative) di limiti di ordine positivo fissati, dalla legge quadro n. 21/1992, all'esercizio dell'attività di noleggio con conducente.

La disciplina di settore (non attinta dalla richiamata declaratoria di illegittimità costituzionale) prevede, infatti che:

a) "lo stazionamento dei mezzi deve avvenire all'interno delle rimesse o presso i pontili di attracco" (art. 3, comma 2 L. n. 21 del 1992 cit.);

b) "è vietata la sosta in posteggio di stazionamento su suolo pubblico nei comuni ove sia esercito il servizio di taxi. In detti comuni i veicoli adibiti a servizio di noleggio con conducente possono sostare, a disposizione dell'utenza, esclusivamente all'interno della rimessa. I comuni in cui non è esercito il servizio taxi possono autorizzare i veicoli immatricolati per il servizio di noleggio con conducente allo stazionamento su aree pubbliche destinate al servizio di taxi. Ai veicoli adibiti a servizio di noleggio con conducente è consentito l'uso delle corsie preferenziali e delle altre facilitazioni alla circolazione previste per i taxi e gli altri servizi pubblici" (art. 11, comma 3 L. n. 21 del 1992 cit.);

c) "le prenotazioni di trasporto per il servizio di noleggio con conducente sono effettuate presso la rimessa o la sede, anche mediante l'utilizzo di strumenti tecnologici" (art. 11, comma 4 L. n. 21 del 1992 cit.);

d) "è in ogni caso consentita la fermata su suolo pubblico durante l'attesa del cliente che ha effettuato la prenotazione del servizio e nel corso dell'effettiva prestazione del servizio stesso" (art. 11, comma 4-ter L. n. 21 del 1992 cit.).

Alla luce di ciò, deve escludersi che la disposizione in questione si risolva nella (surrettizia) reintroduzione di un generalizzato "obbligo di rientro in rimessa", trattandosi di una mera regolamentazione del "divieto di stazionamento" sul suolo pubblico, ferma la possibilità di effettuare fermata e la facoltà di 'restare su strada' se tra un servizio di trasporto e l'altro si riceve una nuova prenotazione, anche grazie all'impiego di strumenti tecnologici.

Da qui, in definitiva, la legittimità dell'articolo 29, comma 1 in esame che, da un lato, riproduce il testo di norme di legge pacificamente in vigore e, dall'altro, non reintroduce disposizioni già dichiarate incostituzionali.

6.- Alla luce delle complessive considerazioni che precedono, l'appello deve essere in parte qua accolto, discendendone, peraltro, in parziale riforma della sentenza impugnata, la reiezione, per quanto di ragione, del ricorso di prime cure.

Sussistono giustificati motivi per disporre, tra le parti costituite, l'integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge, per quanto di ragione, il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Angela Rotondano, Consigliere

Giovanni Grasso, Consigliere, Estensore

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere

Annamaria Fasano, Consigliere.

 

DISCLAMER: Il testo della presente sentenza o odinanza non riveste carattere di ufficialità e non sostituisce in alcun modo la versione pubblicata dagli organismi ufficiali. Vietata la riproduzione, anche parziale, del presente contenuto senza la preventiva autorizzazione degli amministratori del portale.


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