Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 5896 del 13 febbraio 2023

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 5896 del 13/02/2023
Circolazione Stradale - Art. 186 del Codice della Strada - Guida in stato di ebbrezza alcolica - Sinistro stradale in ore notturne - Particolare tenuità - Elementi per l'esclusione - In tema di guida in stato di ebbrezza alcolica sotto l'influenza dell'alcool, le modalità della condotta del conducente, rappresentate dall'elevatissimo tasso alcoolico accertato con un prelievo effettuato ben 6 ore dopo il sinistro, che induce a ritenere che al momento della guida il tasso fosse di gran lunga superiore unitamente alla perdita di controllo del veicolo, a causa del quale provoca un incidente stradale, non consentono che il fatto possa essere ritenuto di particolare tenuità per la gravità del fatto e del pericolo alla circolazione stradale che, solo per fortuite circostanze, non ha coinvolto altri utenti della strada.


RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di (Omissis), con sentenza del 14/1/2022, sull'appello proposto dall'imputato, ha confermato la sentenza con cui il GUP del Tribunale di (Omissis) il 10/5/2019 ha condannato (Soggetto 1), all'esito di giudizio abbreviato, alla pena di mesi 8 di arresto e 3.500 euro di ammenda (pena base mesi 8 ed euro 3.000, raddoppiata per l'aggravante ex co. 2 bis ad anni 1 mesi 4 ed euro 6.000; aumentata la sola pena pecuniaria per il co. 2 sexies ad euro 7.000; ridotta per il rito alla pena indicata) con il beneficio della pena sospesa e della non menzione, con revoca della patente di guida, in quanto riconosciutolo colpevole del reato p. e p. dall'art. 186 co. 2 lett. c, co. 2-bis e co. 2-sexies D.lgs 285/1992, per avere circolato alla guida dell'autovettura Fiat (Omissis) targata (Omissis) in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche, essendo stato accertato, mediante prelievo ed analisi dei liquidi biologici, un tasso alcolemico superiore al limite stabilito dalla legge (1,64 g/l) e nello stesso contesto provocato un incidente stradale. Con l'aggravante di aver commesso il fatto in orario compreso tra le ore 22.00 e le ore 7.00.

In (Omissis), loc. (Omissis), il 17/12/2017.

A tale decisione - come ricorda la sentenza impugnata - il primo giudice è pervenuto sulla scorta degli accertamenti della pattuglia dei CC che alle ore 4.45 del 17/12/2017 è intervenuta sul luogo del sinistro stradale identificando il conducente alla guida della vettura Fiat (Omissis) nell'imputato e accertando che il prevenuto aveva perso il controllo del veicolo andando ad urtare contro una vettura Fiat (Omissis 2) ferma e regolarmente parcheggiata al margine della carreggiata. L'imputato veniva stato trasportato al pronto soccorso di (Omissis) e, su richiesta dei CC, informato sulle proprie facoltà e garanzie difensive, prestava il proprio consenso al prelievo ematico, rinunciando alla facoltà di farsi assistere da un difensore. I sanitari su richiesta dei CC hanno accertato un tasso alcolemico pari a 1,64 g/l.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il (Soggetto 1), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen.

Con un primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio motivazionale laddove La Corte territoriale non ha pronunciato una sentenza di assoluzione, quanto meno ai sensi del secondo comma dell'articolo 530 del codice di procedura penale.

Il ricorrente ritiene che non risultino integrati oltre ogni ragionevole dubbio gli elementi del reato contestato.

Il ricorso si sofferma analiticamente su quelli che sono gli accertamenti previsti nel caso di guida in stato di ebbrezza e afferma che nel caso di specie l'imputato è stato sottoposto al prelievo di liquidi biologici (urine e sangue) per l'accertamento del tasso alcolemico, ma la richiesta della polizia giudiziaria, sebbene sia riportata nel verbale di contestazione del 17 gennaio 2018 (laddove si legge che presso la struttura sanitaria di (Omissis) su nostra richiesta ha effettuato l'accertamento del tasso alcolemico....") non risulterebbe in alcun modo provata.

Tra l'altro - si sottolinea in ricorso - risulta che, pur essendo l'incidente avvenuto alle 4:45, l'imputato è stato visitato alle 10:44, circostanza che rende evidente che non presentava lesioni per le quali si rendevano necessarie cure mediche e che dunque il prelievo di liquidi biologici per l'accertamento del tasso alcolemico è stato effettuato dal personale medico esclusivamente su richiesta della polizia giudiziaria, non provata.

In particolare, si ritiene non provata la richiesta via fax di accertamenti urgenti sulla persona che sarebbe stata inviata dalla polizia giudiziaria alla struttura sanitaria, non risultando agli atti il rapporto di trasmissione di tale fax.

Secondo il ricorrente ci troveremmo, perciò, di fronte a prove inutilizzabili ai sensi dell'articolo 191 del codice di procedura penale e, quindi, non vi sarebbe alcuna prova dello stato di ebbrezza dell'imputato.

Ininfluente sarebbe anche l'eventuale consenso prestato dall'imputato e incontestata, come dalle risultanze documentali, sarebbe la circostanza che egli avrebbe dichiarato di non voler avvalersi di tutela legale.

Il ricorrente, peraltro, evidenzia che alla condanna seguirebbe la revoca della patente di guida ma che, nel frattempo, a seguito di ricorso presentato al giudice di pace di (Omissis), la patente in questione è stata restituita.

Con un secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis del codice penale. Ciò in quanto si trattava di un fatto del tutto isolato e, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, non costituente espressione di una spiccata pericolosità criminale del prevenuto.

Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui all'articolo 62-bis del codice penale e alla mancata concessione dell'attenuante di cui all'articolo 62 numero 6 cod. pen. In particolare, il difensore ricorrente sottolinea che il proprio assistito è un soggetto incensurato, serio lavoratore, che si trova per la prima volta coinvolto in un procedimento penale.

Chiede, pertanto, "annullare e/o riformare la sentenza della Corte d'appello di (Omissis)" con ogni ulteriore conseguenza.

3. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale - non essendo stata chiesta la trattazione in pubblica udienza - il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene il Collegio che i motivi proposti siano inammissibili in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, C. non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, S., Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, P., Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, L. P., Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, S., Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, B., Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, P., Rv. 221693). E, ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, C. e altri, Rv. 260608).

2. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile.

Ne è indice, peraltro, il fatto che nel petitum del ricorso il ricorrente formuli richieste, come evidenziato in premessa, quale quella di riforma della sentenza di Corte d'appello di (Omissis), che sono tipiche di un gravame nel merito. Oppure che dichiari di "non condividere" la decisione del giudice di prime cure confermata dalla Corte (Omissis) (così a pag. 15 del ricorso).

Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.

La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato tutte le tesi oggi riproposte oggi riproposta. Quanto al primo motivo, corretto appare il rilievo operato dalla Corte territoriale secondo cui vero è che il prelievo ematico è avvenuto al di fuori di un protocollo sanitario, ma vi è agli atti la prova (cfr. dichiarazione datata 17/12/2017 di consenso informato agli accertamenti previsti dagli artt. 186 e 187 cds e richiesti dalla P.G.) che l'odierno ricorrente sia stato ritualmente richiesto di prestare il proprio consenso al prelievo, previo avviso delle facoltà di farsi assistere da un difensore, facoltà alla quale ha dichiarato di rinunciare e ha prestato il proprio consenso, sicché non vi è stata alcuna restrizione della libertà personale, né invasione della sfera corporale della persona.

Peraltro questa Corte di legittimità è andata recentemente orientandosi nel condivisibile senso che In tema di guida in stato di ebbrezza, la mancanza del consenso al prelievo di campioni biologici compiuto su richiesta della polizia giudiziaria presso una struttura sanitaria non per motivi terapeutici, ma ai fini dell'accertamento del tasso alcolemico, non sarebbe stata causa di inutilizzabilità degli esami compiuti, posto che la specifica disciplina dettata dall'art. 186 cod. strada, nel dare attuazione alla riserva di legge stabilita dall'art. 13, comma 2, Cost., non prevede alcun preventivo consenso dell'interessato al prelievo dei campioni, oltre a quello eventualmente richiesto dalla natura delle operazioni sanitarie strumentali a detto accertamento. Sez. 4, n. 27107 del 15/9/2020, T. Rv. 280047).

La sentenza impugnata dà anche atto non esservi dubbio che il prelievo ematico sia stato eseguito dai sanitari su richiesta della PG sia perché vi è in atti un documento inviato via fax alla struttura sanitaria, benché manchi il rapporto di trasmissione, sia perché dagli atti non risultano come evidenziato anche dalla difesa, motivi sanitari che giustificassero il prelievo da parte del personale del pronto soccorso.

Infine, correttamente i giudici (Omissis) rilevano che l'avviso della facoltà prevista dall'art. 114 disp. att. cod. proc. pen. attiene alla possibilità che il soggetto ritenga di farsi assistere da un suo difensore di fiducia, ma non è un atto che impone la nomina di un difensore d'ufficio da parte della PG operante.

3. La sentenza impugnata ha anche già motivatamente risposto alla richiesta di applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis del codice penale sul rilievo che, sebbene in astratto non sia incompatibile la predetta causa di non punibilità, ai fini della sussistenza è necessaria la presenza congiunta dei presupposti previsti dalla norma: un'offesa particolarmente tenue per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, e non certo la mancanza di una "spiccata pericolosità criminale" del soggetto.

Invero, nel caso di specie o giudici del merito hanno motivatamente ritenuto le modalità della condotta, rappresentate dall'elevatissimo tasso alcoolico (pari a 1,64 g\l ed accertato con un prelievo effettuato ben 6 ore dopo il sinistro, il che induce legittimamente a ritenere che al momento della guida il tasso fosse di gran lunga superiore). In tali condizioni di ebbrezza il prevenuto ha perso il controllo del veicolo andando ad urtare una vettura in sosta sul margine della carreggiata. Circostanze che, dunque, per la Corte territoriale non consentono che il fatto possa essere ritenuto di particolare tenuità sia per la gravità del fatto, sia per la gravità del pericolo alla circolazione stradale che solo per fortuite circostanze non ha coinvolto altri utenti della strada.

La sentenza, dunque, si colloca nell'alveo del dictum delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. Un. n. 13681 del 25/2/2016, T., Rv. 266590).

4. Infine, immune dalle denunciate censure di legittimità appare la sentenza impugnata in punto di motivazione del diniego sia delle circostanze attenuanti generiche, negate sul rilievo dell'assenza in atti di qualunque elemento a sostegno delle stesse (non rappresentando utili a tal fine l'assenza di precedenti specifici e la regolare condotta di vita del soggetto su cui torna nuovamente l'odierno ricorso) che in punto di diniego dell'attenuante di cui all'articolo 62 numero 6 del codice penale.

Quanto alle prime, il provvedimento impugnato appare collocarsi nell'alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, B. e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell'imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).

In caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell'articolo 62-bis c.p. operata con il d.l. 23.5.2008 n. 2002 convertito con modif. dalla l. 24.7.2008 n. 125 che ha sancito essere l'incensuratezza dell'imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione va ribadito che è assolutamente sufficiente, come avvenuto nel caso che ci occupa, che il giudice si limiti a dare conto in motivazione di avere ritenuto l'assenza di elementi o circostanze positive a tale fine.

In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza univoca di questa Corte Suprema, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (così, ex plurimis, Sez. 1, n. 29679 del 13/6/2011, C. ed altri, Rv. 219891; Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, G, Rv. 192381; Sez. 1 n. 12496 del 21/9/1999, G. ed altri, Rv. 214570; Sez. 6, n. 13048 del 20/6/2000, O. ed altri, Rv. 217882).

Quanto alla seconda, correttamente la Corte (Omissis) rileva che la circostanza attenuante dell'integrale riparazione del danno non è applicabile al reato di guida in stato di ebbrezza anche nel caso in cui ne sia conseguito un incidente stradale, perché l'oggetto giuridico della contravvenzione non va individuato nel patrimonio dei soggetti coinvolti nell'incidente, bensì nella tutela dell'incolumità pubblica messa a rischio dalla guida di un autoveicolo in stato di alterazione psicofisica. In questa prospettiva, poiché rilevano ai fini dell'attenuante in questione anche i danni mediati e indiretti, purché però costituiscano effetti normali dell'illecito secondo il criterio della cosiddetta "regolarità causale", ne deriva che il nesso meramente "occasionale" tra la causazione dell'incidente che ha provocato il danno e il reato contravvenzionale di che trattasi esclude si possa parlare di risarcimento di un danno rilevante a fini dell'articolo 62, numero 6, cod. per., derivante da una relazione di "regolarità causale" con il reato di guida in stato di ebbrezza (Sez. 4, n. 39736/2019).

Se è vero, infatti, che la responsabilità per il danno derivante da reato comprende anche i danni mediati ed indiretti, nondimeno assumono rilievo ai fini dell'invocata attenuante ex art. 62 n. 6 cod. pen. i soli danni che costituiscono effetti normali dell'illecito secondo il criterio della cosiddetta regolarità causale (cfr. anche Sez. 5, n. 4701 del 21/12/2016, dep. 2017, Rv. 269271), per tale dovendosi intendere la sequenza costante dello stato di cose posto in essere dal soggetto attivo.

L'oggetto giuridico della contravvenzione prevista dall'art. 186 co. 2 cod. strada - va ribadito - non va individuato nel patrimonio dei soggetti coinvolti nell'incidente, bensì nella tutela dell'incolumità pubblica messa a rischio dalla guida di un autoveicolo in stato di alterazione psicofisica.

Il rimprovero mosso dall'ordinamento nel reato di guida in stato di ebbrezza, aggravato dall'aver provocato un incidente, é rivolto a colui che, versando in stato d'ebbrezza, si sia messo alla guida, così ponendo in essere una condizione di pericolo per la collettività; e il fatto che egli, in tali condizioni, abbia "provocato" un incidente appare qualificabile come la concretizzazione di quel rischio che aggrava intrinsecamente il disvalore del comportamento del conducente.

Ne deriva che il nesso meramente "occasionale" tra la causazione dell'incidente che ha provocato il danno e il reato oggetto di imputazione esclude che, nel caso di che trattasi, si possa parlare di risarcimento di un danno, rilevante ai fini dell'art. 62 co. 6 cod. pen., derivante da una relazione di "regolarità causale" con il reato oggetto di addebito (Sez. 4, n. 31634 del 27/4/2018, Rv 273083; vedasi anche Sez. 4, n. 5050 del 17.01.2019 rv 275117-01).

Bene ha fatto, pertanto, la Corte territoriale, che, rispondendo alle sia pure generiche deduzioni difensive, ha affermato che non può trovare riconoscimento la dedotta attenuante attesa la estraneità dei profili risarcitori alla struttura del reato e al bene giuridico protetto.

5. Ne' può porsi in questa sede la questione di un'eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, D. L., Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, B., Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, N., Rv. 239400; Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, C., Rv. 256463).

6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, 25 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2023.

 

DISCLAMER: Il testo della presente sentenza o odinanza non riveste carattere di ufficialità e non sostituisce in alcun modo la versione pubblicata dagli organismi ufficiali. Vietata la riproduzione, anche parziale, del presente contenuto senza la preventiva autorizzazione degli amministratori del portale.


Canale TELEGRAM

   Per essere sempre aggiornati sulle novità e sulle attività di Circolazione Stradale, è possibile iscriversi liberamente al canale pubblico Telegram di Circolazione Stradale attraverso questo link: https://t.me/CircolazioneStradale