Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 566 del 11 gennaio 2023

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 566 del 11/01/2023
Circolazione Stradale - Artt. 140, 190 e 191 del Codice della Strada - Principio informatore della circolazione - Comportamento dei pedoni - Comportamento dei conducenti nei confronti dei pedoni - Rischio di un investimento - Prevenzione - Obblighi comportamentali - Il dovere di attenzione del conducente teso all'avvistamento del pedone si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: l'obbligo di ispezionare la strada costantemente, anche in assenza di strisce pedonali; l'obbligo di mantenere sempre il controllo del veicolo e l'obbligo di prevedere tutte le situazioni di pericolo che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada, tenendo altresì conto di eventuali imprudenze altrui, purché ragionevolmente prevedibili.


RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale del G.U.P. del Tribunale di (Omissis) del 12 marzo 2019, con cui (Soggetto 1) era stata condannata alla pena di mesi otto di reclusione, coi benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel certificato del casellario giudiziale, in relazione al reato di cui all'art. 589 bis cod. pen. (perché, alla guida di un'autovettura (Omissis) con l'estremità anteriore destra del veicolo investiva (Soggetto 2), la quale era proiettata a terra e subiva lesioni dalla quali successivamente derivava la sua morte) (con la colpa specifica consistita nella violazione degli artt. 141 e 191 C.d.S. in quanto teneva una velocità pari a 32 km/h, in zona dove il limite era fissato a 30 km/h, ed urtava la persona offesa, mentre questa era intenta ad impegnare un attraversamento pedonale).

2. La (Soggetto 1), a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.

2.1. Vizio di motivazione con riferimento alla valutazione delle risultanze dell'elaborato del c.t. di difesa, alla valenza probatoria della comunicazione della notizia di reato e agli atti indicati nella sentenza impugnata. Si deduce che la Corte di merito si è basata esclusivamente sulle valutazioni del c.t. del P.M. dr. L. e non ha considerato gli esiti della consulenza difensiva dell'ing. (Soggetto 3).

La (Soggetto 1) procedeva ad una velocità di 32 km/h, pressoché conforme al limite di 30 km/h operante nel tratto stradale percorso.

In ordine all'attraversamento sulle strisce pedonali, la Corte territoriale è giunta a conclusioni contrastanti coi dati processuali per le seguenti ragioni: a) dalla comunicazione della notizia di reato della Polizia Stradale di (Omissis) del (Omissis) emergeva che, dopo aver oltrepassato l'attraversamento pedonale, la (Soggetto 1) aveva colpito con la propria auto il pedone presumibilmente in corrispondenza di un'apertura della siepe situata alla distanza di m. 5,6 dal passaggio pedonale; b) la Polizia Municipale contestava alla (Soggetto 2) la violazione dell'art. 190, comma 2, C.d.S., per aver attraversato la carreggiata senza servirsi dell'attraversamento pedonale situato a meno di m. 100; c) nell'immediatezza del fatto la (Soggetto 1) dichiarava agli agenti operanti che la (Soggetto 2) era sbucata dalla siepe, fuori dalle strisce stradali, per cui si era fermata immediatamente.

Il c.t. di difesa dr. (Soggetto 3) sottolineava che la (Soggetto 1) non aveva avuto la possibilità di percepire tempestivamente il sopraggiungere della (Soggetto 2), in quanto ostacolata dall'albero posto all'inizio dell'isola rialzata adiacente al margine destro del corso e dalla repentina immissione della stessa all'interno della sede stradale; inoltre, le strisce pedonali erano scarsamente visibili in quanto usurate e non era stata posizionata la segnaletica verticale indicante l'attraversamento pedonale.

La Corte di merito ha smentito la tesi difensiva, secondo cui il pedone avrebbe utilizzato il "secondo varco" posto a m. 7,7 dalle strisce pedonali e largo cm. 180, perché all'interno di esso si trovava un cestino metallico per rifiuti fisso largo cm. 35. In realtà, la comunicazione di notizia di reato conteneva un riferimento al "primo varco", cioè ad un'apertura della siepe distante m. 5,6 dal passaggio pedonale, nella quale erano collocati un palo ed un albero ad alto fusto e non un cestino.

La presenza di un albero in prossimità del quale era sbucata la (Soggetto 2) era confermata dal dato che la strada del sinistro consisteva in un viale alberato con alberi ad alto fusto, circostanza menzionata dalla Corte torinese nel paragrafo immediatamente successivo della sentenza.

Secondo il c.t. dr. (Soggetto 3), sulla base dei dati tecnici la posizione d'urto risultava compatibile con la manovra di emergenza attuata dalla conducente e con quanto da lei riferito in sede di spontanee dichiarazioni.

2.2. Violazione degli art. 521 e 522 cod. proc. pen..

Si rileva che all'imputata erano stati contestati quali profili di colpa specifica l'eccesso di velocità e l'investimento sulle strisce stradali, mentre nella sentenza impugnata erano stati addebitati l'incapacità di tempestivo arresto del veicolo dinanzi ad un ostacolo prevedibile e il mancato rallentamento dell'andatura in prossimità di un incrocio e di un attraversamento pedonale.

2.3. Con memoria del 26 settembre 2022, la difesa della (Soggetto 1) evidenzia che l'iter motivazionale utilizzato dalla Corte di appello nella valutazione delle prove era del tutto nuovo rispetto dalla "scarna" e lacunosa sentenza di primo grado e concerneva un aspetto di essenziale e di grande rilevanza rispetto all'affermazione di responsabilità dell'imputata, ovvero se la vittima stesse attraversando corso (Omissis) sulle strisce pedonali, ovvero se fosse "sbucata" da un varco esistente nella siepe, come affermato dal consulente della difesa e come dava espressamente atto l'annotazione della Polizia Municipale redatta nell'immediatezza del fatto, in data 29 agosto 2017.

Inoltre, la Corte territoriale, dopo aver escluso che la vittima stesse procedendo ad una velocità superiore al limite consentito, ha introdotto un elemento di colpa nuovo, non oggetto di contestazione, ovvero la violazione dell'art. 141, comma 4, C.d.S., secondo il quale il conducente deve ridurre la velocità e, occorrendo anche fermarsi in prossimità degli incroci e degli attraversamenti pedonali. Tale scelta, operata solo nella sentenza di appello, contrasta con l'art. 521 cod. proc. pen., poiché il ricorrente non era stato posto in condizione di interloquire sulla modificazione del fatto di reato e del differente profilo di colpa, individuato quale violazione della norma giuridica.

La Corte di appello, a fronte del riscontrato fatto nuovo emerso nel corso del processo, avrebbe dovuto trasmettere gli atti al P.M., affinché procedesse per una nuova imputazione, come previsto dall'art. 521 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 22368 del 23/04/2013, C., Rv. 25594101; Sez. 5, n. 9347 del 30/01/2013, B., Rv. 25523001).

Come riportato nella consulenza del P.M., la (Soggetto 1) procedeva alla moderata velocità di 30 km/h, per cui tale contestazione, rispetto alla quale non aveva potuto difendersi, era ultronea ed aveva l'obiettivo di ampliare un'imputazione debole e smentita dalle risultanze processuali quali, in primis, la citata annotazione della Polizia Municipale e la conseguente sanzione amministrativa comminata alla vittima il giorno del sinistro per la violazione dell'art. 190, comma 2, C.d.S., "per aver attraversato la carreggiata senza servirsi dell'attraversamento pedonale situato a meno di 100 metri".

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

1.1. In ordine alla problematica del sinistro in esame, come è noto, le principali norme che presiedono il comportamento del conducente del veicolo, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, vanno rinvenute nell'art. 140 C.d.S., che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l'obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale, e negli articoli seguenti, laddove si sviluppano, puntualizzano e circoscrivono le specifiche regole di condotte. Tra queste ultime, di rilievo, con riguardo al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni, sono quelle dettagliate nell'art. 191 C.d.S., che trovano il loro pendant nel precedente art. 190 C.d.S., che, a sua volta, dettaglia le regole comportamentali cautelari e prudenziali che deve rispettare il pedone.

In questa prospettiva, la regola prudenziale e cautelare fondamentale, che deve presiedere al comportamento del conducente, è sintetizzata nell'obbligo di attenzione" che questi deve tenere al fine di "avvistare" il pedone sì da potere porre in essere efficacemente gli opportuni (rectius, i necessari) accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento.

Il dovere di attenzione del conducente teso all'avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali (Sez. 4, n. 10635 del 20/02/2013, Calarco., Rv. 255288; Sez. 4, n. 44651 del 12/10/2005, L., Rv. 232618): 

- l'obbligo di ispezionare la strada costantemente, dove si procede o che si sta per impegnare; persino l'assenza di strisce pedonali non può indurlo a ritenere che nessun pedone si accingerà ad attraversare la strada, giacché è sufficiente un minimo di esperienza per conoscere perfettamente l'effettiva realtà del traffico e sapere quanto spesso i pedoni attraversano la strada indipendentemente dalle strisce pedonali (Sez. 4, n. 4834 del 23/03/1992, B., Rv. 190029).

- l'obbligo di mantenere sempre il controllo del veicolo;

- l'obbligo di prevedere tutte le situazioni di pericolo che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada; in particolare, il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresì conto di eventuali imprudenze altrui, purché ragionevolmente prevedibili (Sez. 4, n. 25552 del 27/04/2017, L., Rv. 270176).

Affinché in caso di investimento sia affermata la colpa esclusiva del pedone, deve realizzarsi una duplice condizione (Sez. 4, n. 33207 del 02/07/2013, C., Rv. 255995; Sez. 4, n. 20027 del 16/04/2008, D. C., Rv. 240221; Sez. 4, n. 16842 del 09/11/1990, P., Rv. 186076):

- che il conducente del veicolo investitore si sia venuto a trovare, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza e prudenza, nell'oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati invece in modo rapido e inatteso;

- che, nel comportamento del conducente, non sia riscontrabile alcuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza.

Inoltre, in tema di omicidio colposo, per escludere la responsabilità del conducente per l'investimento del pedone è necessario che la condotta di quest'ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile dell'evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo (Sez. 4, n. 10635 del 2013 cit.; Sez. 4, n. 26131 del 03/06/2008, G., Rv. 241004).

Il limite massimo di velocità, peraltro, non va confuso con l'obbligo di adeguare la velocità del veicolo alle particolari circostanze di tempo e dei luoghi; ne consegue che, mentre detto limite non può in alcun caso essere superato, anche una velocità inferiore può ben risultare inadeguata alle circostanze e costituisce ragione di responsabilità penale per colpa, se si ponga come causa di infortunio alle persone (Sez. 4, n. 2539 del 15/02/1996, C., Rv. 204178).

1.2. Ciò posto sui principi operanti in materia, il giudice a quo ha dato conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, la quale è sorretta da motivazione lineare e coerente e, pertanto, è sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità.

Dalla logica ricostruzione della vicenda criminosa emerge che la Corte di appello ha affermato la responsabilità della (Soggetto 1) sulla base di una valutazione complessiva e coordinata dei seguenti plurimi elementi probatori:

a) la Corte territoriale ha ritenuto inesatte le considerazioni dell'annotazione di P.G., perché la supposizione secondo cui il pedone, per attraversare la carreggiata, avrebbe utilizzato un "secondo varco", posto a m. 7,7 dall'inizio delle strisce pedonali, era stata formulata in termini di mera ipotesi ed era stata smentita dalla circostanza che in detto varco, largo cm. 180, si trovava un cestino metallico per rifiuti fisso e solidale al suolo e largo cm. 35;

b) doveva conseguentemente escludersi che la (Soggetto 2) si fosse infilata nell'angusto spazio residuo per attraversare la strada o che potesse essere passata dall'altro lato del cestino, in quanto si trovava esattamente in corrispondenza della traccia ematica presente sull'asfalto ed essendo pacifico che dopo l'attraversamento si era proiettata in avanti e che non poteva aver iniziato ad attraversare la strada, utilizzando il varco indicato dalla Polizia Municipale;

c) la (Soggetto 2), di 84 anni, non poteva aver utilizzato il "primo varco", posto a m. 4,50 dall'inizio delle strisce pedonali, circostanza smentita dallo stesso c.t. di difesa dell'imputata e trattandosi di un passaggio accidentato e disagevole;

d) come desumibile dalla visione delle foto, doveva escludersi che la (Soggetto 2) non fosse visibile a causa della presenza di alberi, in quanto la stessa (Soggetto 1) non aveva mai fatto riferimento a tale particolare nel corso delle dichiarazioni da lei rese agli organi di P.G. e nessun albero era presente in prossimità dell'attraversamento pedonale;

e) la (Soggetto 1) disponeva di un tempo di reazione pari ad 1,5 secondi, per cui se avesse posto in essere una manovra d'emergenza avrebbe evitato l'urto o esso sarebbe avvenuto a velocità quasi nulla, di entità tale da non provocare danni, mentre l'investimento si verificava a piena velocità, come poteva evincersi dalla rottura del gruppo ottico destro della vettura, dalle fratture del femore sinistro e del bacino della vittima e dalla rottura del parabrezza causata dalla proiezione del capo della vittima sulla sua parte centrale.

La Corte torinese, pertanto, ha correttamente riscontrato le violazioni degli artt. 141, comma 2, C.d.S. per mancato tempestivo arresto del veicolo e 141, comma 4, C.d.S. per mancata riduzione tempestiva della velocità o arresto del veicolo in prossimità di incroci ed attraversamenti pedonali.

Nel caso di specie, le doglianze difensive, benché formalmente dirette a denunciare la contraddittorietà e l'illogicità della motivazione della sentenza impugnata, si esauriscono in realtà in una contestazione, nel merito, degli elementi di fatto e delle risultanze d'indagine che il giudice a quo giudicava idonei a integrare il compendio probatorio.

La Corte di merito, infatti, ha fornito una spiegazione immune da censure delle ragioni per le quali si è discostata dalle risultanze dell'annotazione di P.G..

La difesa, peraltro, non si confronta con le argomentazioni difensive inerenti alle ragioni per le quali la Corte di appello ha escluso che il sinistro potesse essersi verificato a causa di un'improvvisa uscita del pedone dalla strada e dell'ostacolo causato dalla visuale di un albero. In particolare, emergono contrasti tra il contenuto della sentenza impugnata e del ricorso in relazione allo stato dei luoghi, all'uscita della (Soggetto 2) dal retro di un albero o di una siepe, ma la difesa non allega i necessari riscontri documentali per confutare la ricostruzione fattuale operata dalla Corte torinese, in violazione del principio di autosufficienza.

2. Quanto al secondo motivo di ricorso, occorre dar seguito al condivisibile orientamento di questa Corte, che ha escluso in simili fattispecie concrete la violazione del principio di correlazione di cui all'art. 521, comma 1, cod. proc. pen., secondo cui per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, C., Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, D. F., Rv. 205619); ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U., n. 31617 del 26/06/2015, L., Rv. 264438, G., Rv. 269666).

L'esigenza sottesa a una tale lettura del principio di correlazione fra accusa e sentenza consiste nell'impedire, che attraverso rivendicazioni meramente formalistiche, l'imputato, abusando delle sue garanzie, pur posto in condizione di difendersi dall'ipotesi accusatoria, si trinceri dietro la non esatta corrispondenza letterale dell'espressione descrittiva del fatto.

Discorso diverso va svolto ove la descrizione dell'accadimento, visto in tutte le sue componenti, per il quale il soggetto viene condannato, venga a trovarsi in rapporto d'incompatibilità, eterogeneità o eccentricità, rispetto alla primigenia accusa, in quanto, pur avendo avuto l'imputato ovvio accesso a tutta la massa del materiale processuale utilizzabile, la sua difesa risulta essersi concentrata sul fatto siccome descritto nel capo d'imputazione, costituente specifica e precipua rappresentazione della vicenda di vita addebitata (Sez. 1, n. 28877 del 04/06/2013, C., Rv. 256785).

Nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice (Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, D. L., Rv. 273265, in fattispecie di omicidio colposo stradale, in cui la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per imperizia e mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse da quelle in contestazione).

L'imputazione, infatti, è da ritenersi completa nei suoi elementi essenziali quando il fatto sia contestato in modo da consentire la difesa in relazione ad ogni elemento di accusa (Sez. 5, n. 10033 del 19/01/2017, I., Rv. 269455; Sez. 4, n. 38991 del 10/06/2010, Q., Rv. 248847).

Si ha, perciò, mancata correlazione tra fatto contestato e sentenza quando vi sia stata un'innmutazione tale da determinare uno stravolgimento dell'imputazione originaria.

Nel caso in esame, la Corte di appello ha comunque confermato che l'investimento era avvenuto sulle strisce pedonali ma, sebbene abbia sviluppato un percorso motivazionale parzialmente diverso da quello seguito dal Tribunale.

Non è, tuttavia, neppure immaginabile un vulnus difensivo, in quanto la tematica in questione formava oggetto di trattazione nel corso dell'istruttoria dibattimentale, era poi ampiamente illustrata nelle sentenze di merito ed approfondita dal perito e dai consulenti tecnici.

L'affermazione di responsabilità penale, pertanto, non ha trovato fondamento nell'accertamento di condotte illecite incompatibili, o anche solo eterogenee od eccentriche con quel che la difesa poteva ragionevolmente attendersi dal materiale processuale; l'imputata ha del resto potuto sul punto muovere le sue osservazioni critiche anche con il proposto ricorso, così escludendosi la sorpresa nella condanna intervenuta (Sez. 6, n. 422 del 19/11/2019, dep. 2020, P., Rv. 278093; Sez. 5, n. 19380 del 12/02/2018, A., Rv. 273204).

3. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non sussistendo ragioni di esonero - al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 4 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2023.

 

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