Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 4151 del 1 febbraio 2023

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 4151 del 01/02/2023
Circolazione Stradale - Artt. 186 e 187 del Codice della Strada - Guida in stato di ebbrezza alcolica ed in stato di alterazione psico fisica per uso di sostanze stupefacenti - Conducente sottoposto a cure mediche presso una struttura sanitaria - Prelievo ematico effettuato a fini terapeutici - Rifiuto di sottoporsi a nuovi accertamenti ospedalieri a fini di indagine - Reato - Insussistenza - Il reato di guida in stato di alterazione psico fisica per uso di sostanze stupefacenti non è configurabile a carico del conducente coinvolto in un incidente stradale e sottoposto a cure mediche presso una struttura sanitaria che, dopo un precedente prelievo ematico effettuato a fini terapeutici, rifiuti l'ulteriore prelievo richiesto dalla polizia stradale esclusivamente a fini di indagine, integrando tale condotta l'esercizio del diritto di opporsi ad un accertamento invasivo e contra legem, in quanto l'accertamento della presenza di sostanze stupefacenti nel sangue ben può essere svolto, senza il consenso dell'interessato, sul prelievo ematico già effettuato a fini terapeutici.


RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di (Omissis) appellata da (Soggetto 1), ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti dell'imputato in relazione al reato di rifiuto di sottoporsi agli esami ematochimici per l'accertamento del tasso alcolemico previsti dalla legge in quanto estinto per prescrizione; quanto al reato di omicidio colposo, ha escluso la circostanza aggravante di cui all'art. 589 comma 3 n. 2 cod. pen., relativa alla guida in stato di alterazione per l'assunzione di sostanze stupefacenti e, riconosciuto il concorso di colpa della vittima nella misura del 25%, ha rideterminato la pena in relazione a tale reato in mesi dieci di reclusione.

2. Il giudice di appello, nel confermare il giudizio di responsabilità in capo al (Soggetto 1), il quale alla guida del motoveicolo aveva attinto il pedone in fase di attraversamento della sede stradale in Viale (Omissis) in (Omissis) in prossimità di crocevia regolamentato da impianto semaforico, riteneva di accedere alle conclusioni del consulente tecnico del pubblico ministero secondo le cui valutazioni il motocilista si era approssimato all'incrocio ad una velocità di 89 km/h, valorizzando il dato delle tracce di frenata e di scarrocciamento impresse sull'asfalto e le dichiarazioni assunte dai testi, che erano in procinto di attraversare a loro volta. Escludeva peraltro la circostanza aggravante della guida in stato di alterazione del conducente per non essere emerso, all'esito del dibattimento, che l'assunzione delle sostanze stupefacenti rilevata dagli esami effettuati in ospedale, avesse determinato uno stato di alterazione persistente al momento della guida.

2.1 Quanto alla ipotesi di rifiuto a sottoporsi agli esami per l'accertamento della condizione alcolica, assumeva che doveva dichiararsi la prescrizione del reato in quanto, pure riconosciuta l'erroneità della imputazione (che richiamava il rifiuto a sottoporsi ad esami per l'accertamento del tasso alcolico), a fronte di decisione che lo aveva ritenuto responsabile del rifiuto a sottoporsi ad esami ematochimici per l'accertamento della presenza di sostanze stupefacenti, ne riconosceva la sostanziale omogeneità e quindi non riteneva ricorresse una ipotesi di fatto diverso con le conseguenze di cui agli art. 521 e 522 cod. proc. pen.

3. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa del (Soggetto 1) mediante l'articolazione di 6 motivi di ricorso.

Con i primi due motivi di ricorso deduce violazione di legge, anche processuale, erronea valutazione della prova e travisamento del fatto in relazione al riconoscimento della responsabilità penale dell'imputato, con particolare riferimento alle asserite violazioni delle disposizioni relative alla circolazione della strada e all'accertamento del rapporto di causalità in presenza di condotta della persona offesa che aveva assunto rilievo assorbente. In particolare evidenzia che l'attraversamento era intervenuto quando il segnale semaforico era divenuto rosso per il pedone il quale aveva anche attraversato con andamento diagonale e che, sulla base di una serie di elementi testimoniali, tecnici, riportati nell'accertamento di PG sul luogo del sinistro e confermato in dibattimento dal teste (Soggetto 2), che aveva proceduto alla esecuzione dei rilievi sui luogo del sinistro, inducevano a ritenere che la velocità del veicolo investitore fosse molto più moderata di quella evidenziata dal consulente del pubblico ministero, tenuto conto del verosimile punto di partenza della motocicletta e della effettiva lunghezza della traccia riscontrata sull'asfalto (inferiore a dieci metri) come indicato dall'agente di PG intervenuto. La marcia della motocicletta era poi ostacolata dalla presenza di altri veicoli ripartiti dall'impianto semaforico e comunque resa più difficile in ragione delle chiome degli alberi aggettanti sulla sede stradale e dalla mancanza di una illuminazione efficiente. Doveva pertanto ritenersi affidabile il dato fornito dal consulente tecnico di parte secondo il quale la velocità tenuta dalla motocicletta, al momento dell'investimento era di poco superiore ai limiti di legge ma che, il comportamento tenuto dalla persona offesa, in uno alle difficoltà di visibilità e alle caratteristiche della sede stradale, avessero inciso nella tempestiva percezione della situazione di pericolo e reso molto più limitato lo spazio, indicato dal consulente tecnico in 49 metri, per procedere ad una efficace manovra di salvataggio. In particolare la condotta del pedone, che aveva proceduto all'attraversamento in modo scorretto, fuori dalle strisce pedonali, con andamento diagonale e allorquando l'impianto semaforico precludeva la marcia, si era inserita nel determinismo della serie causale, costituendo fattore eccezionale e imprevedibile da solo sufficiente a determinare l'evento.

3.1 Con un terzo motivo di ricorso deduce analoghe violazioni e vizi motivazionali della motivazione nell'avere determinato, in assenza di alcuna plausibile spiegazione, il concorso di colpa della persona offesa nella misura, molto limitata del 25%.

3.2 Con un quarto motivo di ricorso deduce violazione di legge per non essere stata pronunciata sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato in relazione all'omicidio colposo laddove, una volta esclusa la ipotesi aggravata di cui alla originaria formulazione dell'art. 589 comma 3 cod. proc. pen., e riconosciuta invece la ipotesi di cui all'art. 589 comma 2 cod. pen., il termine necessario a prescrivere era spirato ben prima della pronuncia della sentenza in appello.

3.3 Con il quinto motivo di ricorso assume violazione di legge e vizio motivazionale in ragione della omessa pronuncia di sentenza assolutoria di liquida declaratoria ai sensi dell'art. 129 comma 2 cod. proc. pen. in relazione al reato di rifiuto di sottoposizione agli esami ematochimici risultando agli atti elementi evidenti della insussistenza della prova di accusa, sia in ragione della formulazione del capo di imputazione, che afferiva a tutt'altra contestazione (accertamenti relativi alla rilevazione del tasso alcolico) sia in ragione del fatto che risultava pacifico agli atti del processo che il (Soggetto 1) era già stato sottoposto ad esami ematochimici in sede di accertamenti protocollari e che pertanto non sarebbe stato necessario il consenso dell'interessato per estendere tali accertamenti alla presenza di tracce di sostanze stupefacenti. Rilevava inoltre che, trattandosi di trattamento sanitario invasivo il rifiuto poteva essere opposto dal paziente e che comunque nessun avviso ai sensi dell'art. 114 disp. att. cod. proc. pen. era stato fornito al ricorrente, con conseguente irrilevanza penale del rifiuto opposto al prelievo.

3.4 Con un ultimo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla misura del trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo e comunque per violazione delle regole in materia di bilanciamento tra circostanze di segno opposto atteso che, una volta esclusa la circostanza aggravante di cui all'art. 589 comma 3 cod. pen., le circostanze attenuanti generiche avrebbero dovuto comportare una riduzione del trattamento sanzionatorio base e comunque la pena avrebbe dovuto essere proporzionalmente ridotta, rispetto a quella stabilita dal giudice di primo grado in ragione del riconosciuto concorso di colpa della persona offesa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Infondati sono i primi tre motivi di ricorso della difesa del (Soggetto 1) che attengono al riconoscimento della responsabilità penale dell'imputato in relazione al reato di omicidio colposo aggravato dalla inosservanza della disciplina della circolazione stradale con particolare riferimento all'ordito motivazionale che assume la ricorrenza del rapporto di causalità tra la condotta ascritta al motociclista e l'investimento del pedone, nonché in punto di determinazione del concorso di colpa della persona offesa dal reato.

1.1 Deve considerarsi che la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado che ha dichiarato l'imputato responsabile del reato ascritto commesso di concorso in omicidio colposo, configurandosi quindi, nel caso che occupa, una c.d. "doppia conforme" di condanna, avendo entrambi i giudici di merito affermato la responsabilità del (Soggetto 1) in ordine al reato oggetto di contestazione. Ne deriva che le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Ulteriore conseguenza della "doppia conforme" di condanna è che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione solo nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L e altro, Rv. 27201801). Nessuna di queste condizioni appare ravvisabile nel caso in disamina, in cui il ricorso, sotto l'apparenza del vizio motivazionale, pretende di asseverare, su alcuni punti specifici, una diversa valutazione del compendio probatorio, richiamando aspetti di merito non deducibili in sede di legittimità.

2.1 È noto infatti che esulano dal numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità le doglianze che investano profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto, che sono riservati alla cognizione del giudice di merito le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (sez. U. n. 930 del 13/12/1995 - dep. 1996, C., Rv. 203428-01; sez. 4, n. 4842 del 2/12/2003, E. e altri, Rv. 229369). Più recentemente è stato riconosciuto che ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice - conducenti ad esiti diversi - siano state poste a base del suo convincimento (sez. 5, n.19318 del 20/01/2021, C., Rv. 281105)

3. Tanto chiarito, nel caso di specie, la Corte di Appello ha ricostruito la vicenda fattuale in modo logico e coerente, evidenziando in termini analitici e coerenti tutti i passaggi salienti, in termini causali, che hanno determinato la verificazione del sinistro.

3.1 A tale proposito la difesa del ricorrente, deduce travisamento della prova in relazione a tre profili, che assume decisivi per affermare il vizio logico delle conclusioni assunte dalle sentenze di merito che attengono a: 1) la effettiva lunghezza delle tracce di frenata impresse sull'asfalto dal motociclo, prese in considerazione dal consulente del pubblico ministero per determinare la velocità del mezzo e che invece, secondo la deposizione del teste (Soggetto 2), non era superiore a 7,5 m.; 2) la visibilità presente sul tratto stradale ove si è verificato il sinistro, che il ricorrente assume non buona per la presenza di folta vegetazione che avrebbe ostacolato la percezione del pedone in fase di attraversamento da parte del motociclista; 3) la posizione di partenza del motociclo da un precedente incrocio, pure riconosciuta dal teste (Soggetto 2), laddove il consulente del PM aveva calcolato la forza cinetica del motociclo al momento dell'impatto sul presupposto che il motociclista possedeva una forza originaria per avere attraversato con il verde un precedente incrocio.

3.2 I primi due rilievi risultano smentiti dallo stesso contenuto della sentenza impugnata, che costituisce il punto di riferimento per la verifica del vizio denunciato la quale, da un lato, rileva la incertezza e il tenore dubitativo della deposizione del (Soggetto 2) sulla lunghezza delle tracce di frenata, e dall'altra testualmente afferma, quanto alle tracce, che "i rilievi tecnici effettuati nell'immediato e acquisiti agli atti consegnano uno stato dei luoghi perfettamente conforme a quello preso dal c.t. del P.M. a base delle proprie conclusioni" e, quanto al profilo della visibilità ambientale, che "nonostante l'ora notturna e la presenza della vegetazione ai bordi della sede stradale, la visibilità era tuttavia ottimale, anche in virtù della buona illuminazione pubblica esistente in quel tratto". Il terzo rilievo invece attiene alla valutazione delle conclusioni assunte dalla consulenza del pubblico ministero in quanto non è emerso con certezza, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, se il motociclista sia ripartito da fermo dall'incrocio ovvero se abbia attraversato l'incrocio in velocità, ma tale ultima inferenza è stata logicamente tratta dal consulente, e avallata dai giudici di merito sulla base di una serie di indici sintomatici tratti dagli atti del processo, quali la lunghezza delle tracce di frenata (pari a circa 15 metri), il successivo scarrocciamento del motociclo in fase di caduta, per ulteriori 65 metri, la violenza dell'impatto con il pedone (sbalzato in avanti per otto metri), il rombo potente del motociclo in fase di avvicinamento riferito dai testimoni presenti, la quantità di forza cinetica dissipata dal motociclo in fase di decelerazione e al momento dell'impatto, accertato dal consulente del pubblico ministero, elementi da cui il consulente risaliva ad una velocità superiore a 90 km/h.

3.3 Depurate pertanto le censure del ricorrente dalle suggestioni relative ad asseriti profili di travisamento della prova e riconosciuta dal giudice di appello, con adeguato e non illogico iter motivazionale, la validità del giudizio logico espresso dal consulente tecnico sul fatto che il (SOGGETTO 1) sia pervenuto al tragico impatto con un rilevante potere cinetico che gli derivava dal non essersi arrestato al precedente incrocio, i motivi di ricorso finiscono per esaurire il loro rilievo censorio, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, laddove le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

4. Il ricorso, in concreto, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità in quanto il giudice territoriale ha rappresentato, in termini del tutto coerenti con le risultanze processuali che il ricorrente, pure a fronte del concorso di colpa della persona offesa, si era trovato a transitare in prossimità di un incrocio, nottetempo ad una velocità che era decisamente superiore al limite consentito dalla disciplina della circolazione stradale e comunque inadeguata ed eccessiva in ragione delle condizioni ambientali, di traffico e di presenza di un incrocio, laddove una condotta aderente al rispetto di tali regole, in ragione degli spazi-tempi di avvistamento e al fatto che il pedone aveva quasi ultimato l'attraversamento, gli avrebbero consentito di evitare l'urto aderendo sul punto alle valutazioni del consulente tecnico del PM.

4.1 Sotto questo profilo pertanto il giudice di appello ha svolto buon governo delle risultanze processuali escludendo la ricorrenza di elementi eccezionali perturbatori che possano avere precluso all'imputato la possibilità di percepire la presenza della persona offesa intento nell'attraversamento pedonale, laddove la giurisprudenza del S.C. esclude la responsabilità del conducente, in ipotesi di investimento del pedone che attraversi la sede stradale, solo allorquando lo stesso si trovi nella oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso e imprevedibile (sez. 4, n. 33207 del 2/07/2013, C., Rv. 255995; n. 20027 del 16/4/2008, D. C., Rv. 240221; 37622 del 20/09/2021, Rv. 281929). In particolare in ipotesi del tutto analoga alla presente è stato affermato che per escludere la responsabilità del conducente per l'investimento del pedone è necessario che la condotta di quest'ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile dell'evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo (fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità di un motociclista per l'investimento di un anziano pedone i cui movimenti erano agevolmente avvistabili sez. 4, n. 10635 del 20/02/2013, C., Rv. 255288).

5. Tenuto pertanto conto dei principi sopra evidenziati manifestamente destituita di fondamento appare altresì la censura concernente la determinazione del concorso di colpa della persona offesa nella misura del 25% del totale, in ragione della rilevanza dei profili di colpa riconosciuti al conducente del motoveicolo (velocità pari a quasi il doppio dei limiti consentiti in centro urbano, nonché del tutto inadeguata al tempo notturno, alla presenza di incroci, alla presenza di un attraversamento pedonale e di una fermata dell'autobus in prossimità della quale stazionavano alcuni pedoni), se confrontati alla inosservanza delle regole cautelari riconosciute in capo al pedone in ragione di un attraversamento anticipato della semicarreggiata, in corrispondenza di incrocio e di una fermata dell'autobus. La valutazione operata dal giudice distrettuale appare priva di illogicità evidenti e di contraddittorietà e pertanto non si presta ad essere ulteriormente sindacata in sede di legittimità.

6. Infondato è poi il quarto motivo di ricorso che assume il compimento del termine prescrizionale prima della pronuncia della sentenza di appello. Invero pure esclusa la circostanza aggravante di cui all'art. 589 comma 3 n. 2 cod. pen., il fatto reato rimane sussunto ai sensi dell'art. 589 comma 2 cod. pen. risultando pur sempre riconosciuta la circostanza aggravante della inosservanza della disciplina della circolazione stradale, come successivamente trasformata nella ipotesi tipica di omicidio stradale, punito con la pena da due a sette anni di reclusione. Peraltro l'art. 157 comma 6 cod. pen. prevede che il termine di prescrizione ordinario indicato al comma i (nella specie pari a sette anni), deve essere raddoppiato per i reati di cui all'art. 589 commi 2 e 3 cod. pen. e 589 bis cod. pen., di talché il termine necessario a prescrivere, escluso l'aumento per gli atti interruttivi, non è inferiore a 14 anni, termine che non è ancora venuto a compimento.

7. Fondato risulta invece il quinto motivo di ricorso per un duplice ordine di motivi. Manifestamente illogica è infatti la motivazione della sentenza impugnata ravvisa una omogeneità sostanziale tra la contestazione elevata in imputazione (che consiste nel rifiuto di sottoporsi agli accertamenti sulla condizione di ebbrezza alcolica) e quella per cui è intervenuta pronuncia di condanna (rifiuto di sottoporsi agli esami emato-chimici ai fini dell'accertamento della condizione di alterazione per l'assunzione di sostanze stupefacenti), laddove trattasi di ipotesi di reato del tutto distinte e il cui accertamento impone valutazioni del tutto differenti. Peraltro risulta dagli atti processuali che il (Soggetto 1), al momento del ricovero presso il pronto soccorso, era stato sottoposto al prelievo del sangue per gli ordinari esami diagnostici protocollari, anche ai fini dell'accertamento della presenza di metaboliti di cannabinoidi e che tali esami avevano fornito esito positivo. Sul punto questa corte ha affermato, con argomenti del tutto condivisibili in questa sede che il reato di cui all'art. 187 comma 8 Cod. della Strada "non è configurabile a carico del conducente coinvolto in un incidente stradale e sottoposto a cure mediche presso una struttura sanitaria che, dopo un precedente prelievo ematico effettuato a fini terapeutici, rifiuti l'ulteriore prelievo richiesto dalla polizia stradale esclusivamente a fini di indagine, integrando tale condotta l'esercizio del diritto di opporsi ad un accertamento invasivo e contra legem, scriminato ai sensi dell'art. 51 cod. pen., in quanto l'accertamento della presenza di sostanze stupefacenti nel sangue ben può essere svolto, senza il consenso dell'interessato, sul prelievo ematico effettuato a fini terapeutici" (sez. 4, n. 21559 del 11/05/2021, C., Rv. 281401-01). In conclusione, per entrambe le ragioni esposte, deve essere annullata senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'art. 186 C.d.S. perché il fatto non sussiste.

8. Infondato è poi il motivo di ricorso concernente il trattamento sanzionatorio in presenza di pena determinata su valori edittali prossimi ai minimi (mesi dieci di reclusione a fronte di forchetta edittale compresa tra mesi sei e anni cinque di reclusione dall'art. 589 cod. pen.). Sotto un primo profilo la Corte di legittimità ha più volte precisato che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (così sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, S., rv. 256197; conf. sez. 2, n. 28852 dell'8/5/2013, T. e altro, rv. 256464; sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, D. P., rv. 276288), potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (così sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, D., rv. 245596).

8.1 Sotto diverso profilo il giudice di appello ha altresì motivato le ragioni per cui non è stata riconosciuta una pena ancora inferiore, previo riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, in ragione delle modalità del fatto e della condotta di guida particolarmente imprudente.

8.2 Manifestamente infondato è poi il rilievo che non avrebbe dovuto essere svolto un giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto in quanto, pure esclusa dalla corte distrettuale la circostanza aggravante relativa allo stato di alterazione per l'assunzione di sostanze stupefacenti (art. 589 comma 3 cod. pen.), risulta comunque riconosciuta in sentenza e contestata in fatto in imputazione la circostanza aggravante della inosservanza della disciplina sula circolazione stradale ("violando le norme della circolazione stradale art. 140, 141 e 142 dlgs. 285/92"), prevista dall'art. 589 comma 2 cod. pen., con la conseguenza che il giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno opposto era comunque indispensabile.

8.3 Manifestamente infondata è poi l'articolazione in base alla quale avrebbe dovuto essere applicata una riduzione in ragione del concorso di colpa riconosciuto nei confronti della persona offesa, ai sensi dell'art. 589 bis comma 7 cod. pen. laddove, esclusa la possibilità di una contaminazione tra due ipotesi criminose distinte, quali i reati di cui agli art. 589 e 589 bis cod. pen., di cui il secondo ha come ipotesi semplice la fattispecie che figurava come ipotesi aggravata dell'art. 589 (comma 2) cod. pen., la richiesta del ricorrente ha come necessario presupposto che la disciplina di cui all'art. 589 bis cod. pen., nel suo complesso normativo, debba ritenersi più favorevole per l'imputato (sez. 3, n. 41621 del 23/11/2006, P.; n. 14198 del 25/05/2016, D. G.) quantomeno in presenza del concorso di colpa della persona offesa. L'argomento è chiaramente fallace in quanto la disciplina di cui all'art. 589 cod. pen. è certamente più favorevole per il condannato in quanto la forchetta edittale della ipotesi base del reato di omicidio colposo è compresa tra sei mesi e cinque anni di reclusione, mentre la ipotesi semplice di omicidio stradale ha come forchetta edittale una pena compresa tra due e sette anni di reclusione e che pertanto, pure riconosciuta la riduzione per il concorso di colpa di cui all'art. 589 bis comma 7 cod. pen. nella massima estensione (fino alla metà) e ritenuto applicabile il minimo edittale della pena base (anni due di reclusione) si perverrebbe in ogni caso ad una pena (anni uno di reclusione) superiore alla sanzione minima prevista dall'art. 589 comma 1 cod. pen. (mesi sei di reclusione) e comunque superiore alla pena applicata nel caso in specie (mesi dieci di reclusione) (in motivazione sez. 4, n. 29721 del 1/03/2017, V., Rv. 270918).

9. Il ricorso deve pertanto essere rigettato in relazione ai motivi di ricorso diversi dal quinto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo due (186 C.d.S.) perché il fatto non sussiste. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, 18 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2023.

 

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