Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 2635 del 23 gennaio 2023

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 2635 del 23/01/2023
Circolazione Stradale - Art. 187 del Codice della Strada - Guida in stato di alterazione psico fisica per uso di sostanze stupefacenti - Configurabilità del reato - Reperti biologici - Catena di custodia - Ai fini della configurabilità del reato di guida in stato di alterazione psico fisica per uso di sostanze stupefacenti è sufficiente il riscontro delle analisi compiuto sulle urine e i dati sintomatici rilevati dagli organi di P.G. sul conducente al momento del fatto, mentre le modalità operate per la catena di custodia costituiscono prescrizioni meramente indicative e la loro mera inosservanza non è sanzionata da alcuna ipotesi di nullità, ma può incidere unicamente sul diverso profilo della valutazione della genuinità della prova, secondo le regole generali dettate dall'art. 192 c.p.p..


RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di (Omissis) del (Omissis) settembre 2020, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con cui (Soggetto 1) era stato condannato alla pena complessiva di anni due e mesi otto di reclusione in relazione ai reati di cui agli artt. 590 bis, commi secondo e sesto, cod. pen. (perché, ponendosi alla guida di veicolo Fiat (Omissis) in stato di alterazione psico-fisica conseguente all'assunzione di stupefacenti nonché essendo sprovvisto di patente di guida, investiva il pedone (Soggetto 2), cagionandogli lesioni personali consistite in "politrauma con trauma cranico", per cui era giudicato con prognosi riservata, con ricovero presso il reparto di terapia intensiva neurochirurgica, in attesa di sottoposizione ad intervento salvavita; prognosi sciolta in giorni 60 il (Omissis) marzo 2020 con diagnosi "trauma cranico + fracasso maxillo facciale") e 187, commi 1, 1-bis e 1-quater, C.d.S. (perché circolava alla guida di veicolo in stato di alterazione psico-fisica conseguente all'assunzione di stupefacenti, tanto da provocare un incidente stradale).

In risposta ai rilievi difensivi formulati con l'atto di appello, quanto alla presunta insussistenza della prova della circostanza aggravante di aver commesso il fatto in stato di alterazione psicofisica indotta dall'assunzione di sostanza stupefacente, la Corte territoriale ha rilevato che il campione urinario pervenuto al consulente tecnico del P.M. non apparteneva ad un soggetto diverso dall'imputato.

Il (Soggetto 1) era stato condotto presso l'ospedale di (Omissis), per effettuare uno screening urinario ed ematico, in quanto sospettato di essersi messo alla guida dell'auto Fiat (Omissis) in condizioni d'alterazione psicofisica da alcool o da sostanze stupefacenti. Erano eseguiti un prelievo ematico per verificare la positività all'etanolo ed uno urinario per accertare la presenza di stupefacenti. Il campione urinario dava esito positivo, stante il rinvenimento di oltre 5.000 ng/ml metaboliti della cocaina, 139 ng/ml di anfetamine urinarie e 43 ng/ml di metaboliti delle benzodiazepine.

Il c.t. evidenziava che la confezione dei campioni pervenuti era priva di sigilli, di contenitori antimanomissione e di elementi identificativi riconducibili ad una catena di custodia o all'identità del paziente. I Carabinieri avevano posto a disposizione del P.M. i verbali di prelievo e di catena di custodia dell'ospedale di (Omissis), dai quali risultavano la chiusura dei campioni, le modalità di trasporto, la fase di accettazione presso il laboratorio e il sigillo sulle etichette. Non erano state posizionate le etichette sul plico contenente le provette, ma non poteva dubitarsi sulla corrispondenza dei campioni confezionati presso l'ospedale con quelli consegnati al laboratorio del consulente tecnico.

I giudici di merito hanno rilevato che la prova dello stato di alterazione non necessita di una visita medica del conducente dell'auto e non va riscontrata obbligatoriamente attraverso l'espletamento di una specifica analisi medica, ben potendo essere acquisita in base agli accertamenti biologici dimostrativi dell'avvenuta precedente assunzione dello stupefacente, all'apprezzamento delle deposizioni raccolte e al contesto in cui il fatto si è verificato.

In ordine alle censure sull'affermazione di responsabilità del (Soggetto 1), la Corte di appello ha osservato che la significativa entità dei danni riportati dall'autoveicolo e, in particolare, la rientranza del muso anteriore e del cofano e l'infrazione del parabrezza, inducevano a ritenere sproporzionata la velocità tenuta dall'imputato nella circostanza. Il mancato rinvenimento di tracce di frenata dimostrava che, a causa dell'assunzione di stupefacenti, l'imputato non avesse notato la presenza del pedone, segno evidente di una sicurezza alla guida enfatizzata dall'effetto della cocaina.

Costituisce fatto notorio che, sotto l'influsso della cocaina, il conducente sopravvaluta la propria capacità di guidare, con conseguente aumento dell'assunzione dei rischi. La sua concentrazione e la sua attenzione diminuiscono e quando gli effetti si riducono cedono il posto alla fatica (infatti, nel caso in esame, dopo gli accertamenti urgenti, il conducente si addormentava presso gli uffici di P.G.).

La strada, inoltre, non era munita di marciapiedi, per cui sussisteva un concreto pericolo di incontrare pedoni. La condotta di guida non era stata improntata alla prudenza che sarebbe stata necessaria per ispezionare la strada in modo da evitare l'impatto con ostacoli o pedoni operando sui freni.

2. Il (Soggetto 1), a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.

2.1. Vizio di motivazione con riferimento all'art. 590 bis, comma secondo, cod. pen..

Si deduce che, la Corte di appello erroneamente non ha valutato che, per la configurabilità dell'aggravante prevista dall'art. 590 bis, comma secondo, cod. pen., è necessario che lo stato di alterazione psico-fisica sia conclamato e derivi dall'uso di droga. Occorrono, quindi, un adeguato esame chimico su campioni biologici ed un accertamento sintomatologico che certifichi uno stato di alterazione psico-fisica riconducibile all'assunzione di stupefacenti.

La positività accertata su campioni di urine con le tecniche di screening può essere interpretata come riscontro di pregresse assunzioni di stupefacenti, ma non è indicativa delle condizioni dell'agente al momento della guida.

In mancanza di campione ematico l'accertamento può essere effettuato anche su campioni biologici di diversa natura, come l'esame delle urine, ma in tal caso sono necessari ulteriori elementi di riscontro, che nel caso in esame mancavano.

Il campione ematico prelevato era stato utilizzato solo ai fini dello screening sulla presenza di alcool. Al contrario, l'esame di conferma per la ricerca dei metaboliti di sostanze d'abuso era stato effettuato sul solo campione urinario.

In presenza di una vera e propria visita medica, intervenuta nell'immediatezza dei fatti presso l'ospedale (Omissis) di (Omissis), le semplici percezioni riferite da operanti privi delle necessarie competenze, avrebbero dovuto lasciare il passo agli esiti dell'accertamento tecnico. Nel negare la presenza di pupille dilatate, infatti, il medico del Pronto Soccorso aveva riscontrato uno stato di coscienza integro, la sussistenza di orientamento spazio-temporale, un comportamento calmo, collaborante e loquace nonché un linguaggio normale. L'agitazione e l'andatura barcollante non apparivano idonee a dimostrare lo stato di alterazione dovuto all'assunzione di stupefacenti, ben potendo derivare dallo stress emotivo determinato dal grave sinistro.

Il consulente tecnico del P.M. incaricato delle analisi tossicologiche di conferma sui reperti biologici, peraltro, aveva informato della difformità del materiale consegnatogli rispetto al DCA U00288/16 della Regione Lazio, in quanto la confezione era priva di sigilli, di idonei contenitori antimanomissioni e di elementi identificativi riconducibili ad una catena di custodia o all'identità del paziente. La Corte di merito non ha valutato che la catena di custodia serve a garantire la corretta identificazione del campione e la certezza della sua riferibilità al soggetto al quale sia stato prelevato. Le modalità di confezionamento e di trasmissione erano tali da metterne in dubbio la riconducibilità all'identità del paziente.

2.2. Violazione dell'art. 590 bis, comma settimo, cod. pen. e vizio di motivazione.

Si rileva che la velocità del veicolo al momento dell'impatto non poteva essere ritenuta eccessiva, stante la mancanza di qualsiasi accertamento sul punto.

Il mancato avvistamento del pedone non poteva essere ricollegato all'assunzione di cocaina in ragione di quanto sopra esposto. La totale mancanza di illuminazione, l'orario notturno e la mancanza di marciapiede avrebbero dovuto indurre il pedone a prestare attenzione e a non camminare al centro della strada.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato 2.1.

Con un primo profilo di doglianza, la difesa deduce l'insussistenza dell'aggravante prevista dall'art. 590 bis, comma secondo, cod. pen., non risultando dimostrata la situazione di alterazione psico-fisica di (Soggetto 1) o che la stessa derivasse dall'uso di droga.

L'aggravante in questione è integrata dalla condotta di guida in stato di alterazione psicofisica determinato dall'assunzione di stupefacenti e non dalla mera condotta di guida tenuta dopo l'assunzione di stupefacenti, occorrendo al riguardo uno specifico accertamento tecnico biologico.

I giudici del gravame del merito hanno adeguatamente dato conto di tutti gli elementi da cui hanno dedotto, con univocità di indizi, lo stato di alterazione in cui guidava l'odierno ricorrente.

Al riguardo, vanno richiamati i seguenti principi elaborati dalla giurisprudenza in relazione al reato di cui all'art. 187 C.d.S., esplicitamente richiamato dall'art. 590 bis, comma secondo, cod. pen.:
   A) L'alterazione richiesta per l'integrazione del reato previsto dall'art. 187 C.d.S. esige l'accertamento di uno stato di coscienza semplicemente modificato dall'assunzione di sostanze stupefacenti, che non coincide necessariamente con una condizione di intossicazione (Sez. 4, n. 19035 del 14/3/2017, C., Rv. 270168; Sez. 4 n. 16895 del 27/3/2012, A., Rv. 252377).
   B) Ai fini della configurabilità della contravvenzione di guida sotto l'influenza di sostanze stupefacenti (art. 187 C.d.S.), lo stato di alterazione del conducente dell'auto non deve essere necessariamente verificato attraverso l'espletamento di una specifica analisi medica, ben potendo il giudice desumerla dagli accertamenti biologici dimostrativi dell'avvenuta precedente assunzione dello stupefacente, unitamente all'apprezzamento delle deposizioni raccolte e del contesto in cui il fatto si è verificato (Sez. 4, n. 43486 del 13/6/2017, G., Rv. 270929 che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'accertamento dell'assunzione di cannabinoidi, il riscontro dell'analisi compiuto sulle urine in associazione ai dati sintomatici rilevati al momento del fatto sul conducente, costituiti da pupille dilatate, stato di ansia ed irrequietezza, difetto di attenzione, ripetuti conati di vomito, detenzione di involucri contenenti hashish).

Tali considerazioni risultano in perfetta assonanza con le argomentazioni svolte dalla Corte Costituzionale (C. Cost., ord. n. 277 del 2004) la quale, affrontando il tema della legittimità dell'art. 187 C.d.S., ha affermato trovarsi in presenza di una fattispecie che risulta integrata dalla concorrenza dei due elementi, l'uno obiettivamente rilevabile dagli agenti di Polizia Giudiziaria (lo stato di alterazione) e per il quale possono valere indici sintomatici, l'altro, consistente nell'accertamento della presenza, nei liquidi fisiologici del conducente, di tracce di sostanze stupefacenti o psicotrope, a prescindere dalla quantità delle stesse, essendo rilevante non il dato quantitativo, ma gli effetti che l'assunzione di quelle sostanze può provocare in concreto nei singoli soggetti.

Tornando alla fattispecie in esame, in linea coi suesposti principi, la Corte territoriale, disattendendo le censure difensive, ha logicamente ritenuto sufficienti, ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 187 cit., il riscontro delle analisi compiuto sulle urine e i dati sintomatici rilevati dagli organi di P.G. sul conducente al momento del fatto e, cioè, le pupille dilatate, lo stato di ansia ed irrequietezza, il difetto di attenzione, i ripetuti conati di vomito, l'andatura barcollante e l'eloquio sconnesso.

Le considerazioni difensive sull'inidoneità delle analisi sulle urine ad attestare lo stato di alterazione dell'imputato conseguente all'uso di stupefacenti contrastano coi consolidati arresti giurisprudenziali sopra riportati.

Peraltro, l'atto indicato in ricorso contenente le presunte diverse impressioni del medico del Pronto Soccorso in ordine alle condizioni fisiopsichiche del (Soggetto 1) non era stato allegato - o debitamente richiamato - dalla difesa, in violazione del principio di autosufficienza.

2.2. In secondo luogo - sempre in relazione al primo motivo di ricorso - la difesa censura le modalità di custodia dei reperti biologici impiegati per le analisi tossicologiche.

Al riguardo, va ricordato che questa Corte, pronunciandosi su tema sostanzialmente analogo, ha condivisibilmente affermato che le modalità di custodia delle cose sequestrate, descritte negli artt. 259 e 260 cod. proc. pen., costituiscono prescrizioni meramente indicative che, da un lato, sono derogabili per ragioni di impossibilità o di opportunità e, dall'altro lato, non sono astrattamente contestabili, salvo il caso in cui vengano specificamente dedotti inconvenienti sostanziali attinenti ad ipotesi concrete di alterazione, modificazione o sostituzione dei reperti. La mera inosservanza delle disposizioni sopra indicate, pertanto, non è sanzionata da alcuna ipotesi di nullità, ma può incidere unicamente sul diverso profilo della valutazione della genuinità della prova, secondo le regole generali dettate dall'art. 192 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 25383 del 27/05/2010, G., Rv. 247825; Sez. 6, n. 6166 del 14/03/1995, S., Rv. 201824).

Analoghe considerazioni vanno estese anche alla rimozione ed apposizione dei sigilli disciplinata dall'art. 261 cod. proc. pen. La norma prevede che, ai fini dell'attività di rimozione, l'autorità giudiziaria ne verifica prima l'identità e l'integrità con l'assistenza dell'ausiliario e che, una volta compiuto l'atto per cui si è resa necessaria la rimozione dei sigilli, l'ausiliario provvede alla riapposizione dei sigilli sui quali questo e l'autorità giudiziaria appongono la data e la sottoscrizione. Tale disciplina ha carattere generale ed è applicabile a tutti i sequestri, anche se disposti su iniziativa della polizia giudiziaria cosicché, va, in tal senso, corretta la motivazione della sentenza impugnata laddove esclude l'applicabilità della disciplina in esame anche ai sequestri eseguiti su iniziativa della polizia giudiziaria. Va, inoltre, aggiunto che la norma in esame ha una natura eminentemente regolamentare in quanto volta a disciplinare un'attività materiale, che pur rivestendo una naturale importanza ai fini della conservazione della genuinità della prova, non comporta certo un impiego apprezzabile di energie intellettive ed è già sufficientemente assicurata dalla presenza imprescindibile dell'ausiliario del giudice (Sez. 1, n. 2592 del 07/11/1997, dep. 1998, M., Rv. 209955). L'inosservanza dell'art. 261 cod. proc. pen. non determina alcuna nullità dell'atto ne' tantomeno del provvedimento di sequestro, atteso che la norma in esame non prevede espressamente tale sanzione che, peraltro, non può farsi discendere dall'art. 178 cod. proc. pen., non potendo tale violazione inquadrarsi in alcuna delle categorie paradigmatiche previste dall'art. 178 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 37669 del 20/05/2014, N., Rv. 260345; Sez. 1, n. 39686 del 14/10/2010, B., Rv. 248680).

Ciò posto sui principi operanti in materia, applicabili alla fattispecie in esame sebbene affermati riguardo a situazioni non esattamente coincidenti, questa Corte ha fornito una motivazione completa ed esauriente sulle ragioni dell'irrilevanza dell'unico passaggio non rispettato nelle corrette modalità di conservazione, costituito dalla mancata apposizione delle targhette coi numeri identificativi sul plico contenente le provette.

L'inosservanza delle disposizioni regolamentari de quo avrebbe potuto incidere sulla presente decisione solo in presenza di elementi concreti e specificamente acquisiti al processo, sulla valutazione della genuinità della fonte di prova, in caso, ad esempio, di dimostrata alterazione, modificazione o sostituzione del campione, evenienza mai concretamente ipotizzate nel caso in questione.

Peraltro, l'assunto difensivo disatteso nella presente sede afferma implicitamente ed apoditticamente la configurabilità di una sorta di nullità relativa senza, tuttavia, individuare, in assenza di una previsione specifica, a quale delle categorie paradigmatiche individuate dall'art. 178 cod. proc. pen. questa sarebbe riconducibile.

3. Il secondo motivo di ricorso, con cui si deduce l'assenza di responsabilità dell'imputato, è manifestamente infondato.

In ordine alla problematica del sinistro in esame, come è noto, le principali norme che presiedono il comportamento del conducente del veicolo, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, vanno rinvenute nell'art. 140 C.d.S., che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l'obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale, e negli articoli seguenti, laddove si sviluppano, puntualizzano e circoscrivono le specifiche regole di condotta. Tra queste ultime, di rilievo, con riguardo al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni, sono quelle dettagliate nell'art. 191 C.d.S., che trovano il loro pendant nel precedente art. 190 C.d.S., che, a sua volta, dettaglia le regole comportamentali cautelari e prudenziali che deve rispettare il pedone.

In questa prospettiva, la regola prudenziale e cautelare fondamentale, che deve presiedere al comportamento del conducente, è sintetizzata nell'"obbligo di attenzione" che questi deve tenere al fine di "avvistare" il pedone sì da potere porre in essere efficacemente gli opportuni (rectius, i necessari) accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento.

Il dovere di attenzione del conducente teso all'avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali (Sez. 4, n. 10635 del 20/02/2013, C., Rv. 255288; Sez. 4, n. 44651 del 12/10/2005, L., Rv. 232618):
   - l'obbligo di ispezionare la strada costantemente, dove si procede o che si sta per impegnare; persino l'assenza di strisce pedonali non può indurlo a ritenere che nessun pedone si accingerà ad attraversare la strada, giacché è sufficiente un minimo di esperienza per conoscere perfettamente l'effettiva realtà del traffico e sapere quanto spesso i pedoni attraversano la strada indipendentemente dalle strisce pedonali (Sez. 4, n. 4834 del 23/03/1992, B., Rv. 190029);
   - l'obbligo di mantenere sempre il controllo del veicolo;
   - l'obbligo di prevedere tutte le situazioni di pericolo che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada; in particolare, il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresì conto di eventuali imprudenze altrui, purché ragionevolmente prevedibili (Sez. 4, n. 25552 del 27/04/2017, L., Rv. 270176).

Affinché in caso di investimento sia affermata la colpa esclusiva del pedone, deve realizzarsi una duplice condizione (Sez. 4, n. 33207 del 02/07/2013, C., Rv. 255995; Sez. 4, n. 20027 del 16/04/2008, D. C., Rv. 240221; Sez. 4, n. 16842 del 09/11/1990, P., Rv. 186076):
   - che il conducente del veicolo investitore si sia venuto a trovare, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza e prudenza, nell'oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati invece in modo rapido e inatteso; 
   - che, nel comportamento del conducente, non sia riscontrabile alcuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza.

Inoltre, in tema di omicidio colposo, per escludere la responsabilità del conducente per l'investimento del pedone è necessario che la condotta di quest'ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile dell'evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo (Sez. 4, n. 10635 del 2013 cit.; Sez. 4, n. 26131 del 03/06/2008, G., Rv. 241004).

Il limite massimo di velocità, peraltro, non va confuso con l'obbligo di adeguare la velocità del veicolo alle particolari circostanze di tempo e dei luoghi; ne consegue che, mentre detto limite non può in alcun caso essere superato, anche una velocità inferiore può ben risultare inadeguata alle circostanze e costituisce ragione di responsabilità penale per colpa, se si ponga come causa di infortunio alle persone (Sez. 4, n. 2539 del 15/02/1996, C., Rv. 204178).

3.1. Tanto premesso sulla giurisprudenza in materia, la Corte di appello, con motivazione lineare e coerente, ha sottolineato che l'elevata velocità del veicolo, sproporzionata rispetto alle condizioni di tempo e di luogo, era desumibile dalla particolare entità dei danni subiti dall'autovettura e dal mancato rinvenimento di tracce di frenata, circostanze indicative della notevole imprudenza alla guida, tanto da non accorgersi il conducente della presenza del pedone, disattenzione derivante anche dall'effetto dell'assunzione di cocaina. Si è evidenziato che anche l'assenza di marciapiedi avrebbe dovuto indurre ad una maggiore prudenza.

La sentenza impugnata, quindi, ha correttamente riscontrato la violazione dell'art. 141 C.d.S., con particolare riferimento all'obbligo di adeguare la velocità alle concrete condizioni della circolazione e di conservare sempre il controllo del veicolo.

La difesa afferma che non è stata dimostrata l'eccessiva velocità dell'autovettura, senza confrontarsi con l'approfondito apparato argomentativo delle sentenze di merito.

La difesa rappresenta che la totale mancanza di illuminazione, l'orario notturno e la mancanza di marciapiede avrebbero dovuto indurre il pedone a prestare maggiore attenzione e a non camminare al centro della strada, ma non considera che proprio tali condizioni logistiche avrebbero dovuto indurre il (Soggetto 1) a rispettare le norme di prudenza; la difesa, inoltre, non contesta efficacemente il dato più volte rimarcato delle plurime trasgressioni del medesimo alle regole comportamentali.

In caso di lesioni colpose, infatti, il conducente del veicolo va esente da responsabilità per l'investimento di un pedone quando la condotta della vittima configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, da sola sufficiente a produrre l'evento, circostanza questa configurabile ove il conducente medesimo, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell'oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile (Sez. 4, n. 33207 del 02/07/2013, C., Rv. 255995, relativo a fattispecie di omicidio colposo).

4. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non sussistendo ragioni di esonero - al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 27 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2023.

 

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