Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 17186 del 26 aprile 2023

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 17186 del 26/04/2023
Circolazione Stradale - Artt. 186 e 187 del Codice della Strada - Guida in stato di ebbrezza alcolica sotto l'influenza dell'alcool e in stato di alterazione psico fisica per uso di sostanze stupefacenti - Esame del capello ed assunzione di psicofarmaci - Interazioni - Al fine di stabilire l'eventuale stato di alterazione psico fisica per uso di sostanze stupefacenti, gli esiti delle analisi del c.d. test del capello apparentemente divergenti da quello del sangue offre indicazioni relative ad abusi abituali o ripetuti di sostanze e non riveste invece alcuna valenza rispetto ad uno specifico episodio di intossicazione, mentre è esclusa qualsiasi interazione tra l'eventuale assunzione di psicofarmaci ed il responso degli accertamenti alcolimetrici.


RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 27/10/2022, pronunciando sull'appello proposto dall'odierna ricorrente (Soggetto 1), ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di (Omissis), in composizione monocratica, il 22/10/2021, riconosciute le circostante attenuanti generiche equivalenti all'aggravante ex art. 186 C.d.S., comma 2 bis, l'aveva condannata alla pena di mesi cinque e giorni dieci di arresto ed Euro 1.600 di ammenda, con pena sospesa e non menzione e con revoca della patente di guida. in quanto ritenuta colpevole della contravvenzione p. e p. dall'art. 186 C.d.S., comma 1 e 2, lett. c) e comma 2 bis - e art. 186 bis C.d.S., comma 3, perché si poneva alla guida del veicolo del veicolo targato (Omissis) in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcooliche (tasso alcolemico accertato pari a 1,68 g/l come accertato tramite esame su prelievo ematico presso il Centro Antidoping di (Omissis)). Con l'aggravante di avere commesso il fatto nei primi tre anni dal conseguimento della patente di guida di categoria B (patente rilasciata il 4.10.2017). Con l'aggravante di aver provocato un sinistro stradale. In (Omissis).

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, (Soggetto 1), deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, manifesta illogicità e mancanza della sentenza in ordine alla ritenuta insussistenza del ragionevole dubbio legittimante la pronuncia della sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p., comma 2.

La ricorrente ricorda che, con l'atto di appello si era censurata la sentenza di primo grado per carenza della prova della sussistenza del reato, evidenziando un patente contrasto tra gli esiti delle analisi del prelievo ematico (da cui risultava la presenza di etanolo nel sangue per 1,68 g/l) e quelli dell'esame su campione pelifero (cui ebbe a sottoporsi (Soggetto 1) in data (Omissis)) che avevano dato esito negativo, nonché con quelli relativi agli esami delle urine (effettuati ai fini dell'accertamento dell'uso di cannabinoidi) pressoché contestualmente sia presso il pronto soccorso dell'Ospedale di (Omissis) che presso il Centro Antidoping di (Omissis) che avevano dato elementi tutt'altro che univoci. Inoltre, con il gravame di merito si evidenziava che le dichiarazioni rese dal prof. (Soggetto 2) avevano incrementato la confusione probatoria e che gli agenti della polizia municipale intervenuti avevano escluso che l'odierna ricorrente manifestasse, nella circostanza, sintomatologie proprie di un'ebbrezza alcolica.

A tali censure si sostiene che la Corte territoriale abbia fornito una risposta contraddittoria ed illogica, se non addirittura mancante, in particolar modo quanto al rilievo dell'esame da campione pilifero ed in merito alle osservazioni mosse alle dichiarazioni del prof. (Soggetto 2).

Si evidenzia che, diversamente da quanto sostengono i giudici del gravame del merito, a fronte di un tasso di ebbrezza quale quello rilevato non è verosimile che non faccia riscontro alcun sintomo, come dichiarato dagli agenti accertatori.

Pertanto, si ritiene che la sentenza, di fronte a un quadro tutt'altro che univoco, sarebbe manifestamente illogica quanto al profilo del ragionevole dubbio (a sostegno di tale tesi, in relazione al concetto di ragionevole dubbio, si richiamano i dicta di Sez. 4 n. 30862/2011 e n. 22257/2014).

In ultimo si sottolinea come la sentenza sarebbe totalmente carente di motivazione circa il rilievo di negatività dell'esame da campione pilifero e circa le dichiarazioni del prof. (Soggetto 2).

Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.

Le parti hanno conclusioni scritte come riportato in epigrafe in epigrafe.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati tendono a sollecitare a questa Corte una rivalutazione del fatto non consentita in questa sede di legittimità. Peraltro, gli stessi si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito.

Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

3. La ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della torte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto - e pertanto immune da vizi di legittimità.

Ed invero, non pare sussistere la denunciata illogicità o contraddittorietà della motivazione.

L'apprezzamento delle dichiarazioni rese dal prof. (Soggetto 2) in merito agli esiti delle analisi del sangue e a quelli apparentemente divergenti del c.d. test del capello era stato già operato con motivazione congrua dalla sentenza di primo grado, che aveva ricordato come il teste avesse chiarito che il test del capello offre indicazioni relative ad abusi abituali o ripetuti di sostanze e non riveste invece alcuna valenza rispetto ad uno specifico episodio di intossicazione.

Lo stesso Professor (Soggetto 2) - aveva ricordato ancora il giudice di primo grado - aveva escluso qualsiasi interazione tra l'eventuale assunzione di psicofarmaci (nel caso di specie lo Xanax) e il responso degli accertamenti alcolimetrici.

Il giudice di primo grado - con una sentenza che, trattandosi di doppia conforme affermazione di responsabilità, va letta come un tutt'uno con quella oggi impugnata - aveva evidenziato come, pertanto, alla luce dei risultati del prelievo ematico, il quadro probatorio apparisse del tutto univoco nel dimostrare la responsabilità dell'imputata che, peraltro, sottoponendosi all'esame, aveva riferito di essersi addormentata mentre era alla guida ed aveva spiegato che la sera precedente aveva assunto tre bicchieri di vino e un gin lemon, fornendo in tal modo una versione almeno in parte ammissiva dell'accaduto.

Con tali rilievi l'atto di appello dell'11/4/2022 in atti non si era confrontato criticamente ma si era limitato a ribadire la linea difensiva già espressa nel corso del giudizio di primo grado.

Pertanto, a fronte di motivi così generici, del tutto congrua è la risposta che offre la Corte territoriale con il provvedimento impugnato.

La Corte piemontese offre una motivazione parimenti logica e congrua quanto al dato dell'assenza di evidente sintomatologia correlabile all'ubriachezza, anche alla luce della complessiva valutazione delle modalità dell'incidente.

4. Ne' appare violata la regola del ragionevole dubbio, stante il principio consolidato secondo il quale in sede di legittimità, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall'imputato che intenda far valere l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di un'ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (Sez. 2, n. 3817 del 9/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278237).

In tema di prova, il dubbio idoneo ad introdurre un'ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti è soltanto quello "ragionevole", ovvero quello che trova conforto nella logica, sicché, in caso di prospettazioni alternative, occorre comunque individuare gli elementi di conferma dell'ipotesi ricostruttiva accolta, non potendo il dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (cfr. Sez. 3, n. 5602 del 21/1/2021, S., Rv. 281647; conf. Sez. 5, n. 18999 del 19/2/2014, C. e altro Rv. 260409).

La regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio" rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (Sez. 2, n. 28957 del 3/4/2017, D.U. e altri Rv. 270108).

E così non è nel caso che ci occupa.

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2023.

 

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