Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 17180 del 26 aprile 2023

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 17180 del 26/04/2023
Circolazione Stradale - Art. 186 del Codice della Strada - Guida in stato di ebbrezza - Aggravante dell'aver provocato un incidente stradale con violazione - Lesioni personali stradali gravi o gravissime - Accertamento del tasso alcolemico - Rifiuto - Giudizio abbreviato - Utilizzabilità - In tema di guida in stato di ebbrezza alcolica sotto l'influenza dell'alcool, riguardo all'inutilizzabilità degli esiti dell'esame alcolemico, non rileva la non espressione del consenso dell'indagato a tale accertamento alcolemico, ma ai fini di tale inutilizzabilità rileva solo la presenza di un esplicito rifiuto dell'indagato a tale esame alcolemico, ed in sede di giudizio abbreviato la norma prevede che l'ammissione al richiesto istituto implica processualmente la sanatoria di eventuali nullità non assolute e la non rilevabilità d'ipotetiche inutilizzabilità derivanti non da un divieto probatorio.


RITENUTO IN FATTO

1. Il GUP del Tribunale di (Omissis), in data 12/1/2018, all'esito di giudizio abbreviato, ha dichiarato (Soggetto 1) colpevole dei reati ascrittigli, e riconosciutagli l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, quanto al reato di cui al capo A dell'imputazione, e operata la riduzione per il rito, lo ha condannato alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione in relazione al delitto di cui al capo A, nonché alla pena di mesi otto di arresto ed Euro 2.700,00 di ammenda in relazione alla contravvenzione di cui al capo B della rubrica, oltre al pagamento delle spese processuali, con la sanzione accessoria amministrativa della revoca della patente di guida e dichiarando non luogo a provvedere sulla confisca del mezzo, in quanto già oggetto di rottamazione in quanto riconosciutolo colpevole:

A) del reato p. e p. dall'art. 590 bis c.p., commi 1, 2, 5 n. 3) e 8, perché, mentre procedeva alla guida del veicolo Rover (Omissis) tg. (Omissis), percorrendo via della (Omissis), con direzione di marcia (Omissis) in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche, con un tasso alcolemico accertato pari a 1.71 g/l, giunto nel tratto tra il rondò di (Omissis) ed il km 4+280. per colpa determinata da imprudenza, negligenza ed imperizia e dalla violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 140, art. 146 comma 2 e art. 148 commi 2 e 15 e segnatamente, nonostante la presenza di linea continua di mezzeria, dopo aver superato un'autovettura modello Hyundai che lo precedeva e nel tentativo di non collidere frontalmente con il veicolo Suzuki tg. (Omissis) guidato da (Soggetto 2) (con a bordo in qualità di trasportati (Soggetto 3) e (Soggetto 4)) che proveniva nell'opposto senso di marcia, nel tentativo di rientrare nella propria corsia di marcia e non avendo spazio sufficiente in relazione alla propria velocità, tamponava la parte sinistra dell'autovettura Nissan (Omissis) tg. (Omissis) che lo precedeva, condotta da (Soggetto 5) (con a bordo in qualità di trasportati (Soggetto 6), (Soggetto 7) e (Soggetto 8)), e colpiva in seguito frontalmente il veicolo condotto da (Soggetto 2), terminando la propria corsa al centro della carreggiata, mentre la Nissan (Omissis) condotta da (Soggetto 5) si arrestava a pochi metri dal punto d'impatto e la Suzuki condotta da (Soggetto 2), dopo aver ruotato su se stessa, veniva sbalzata fuori dalla sede stradale a circa 7 metri dalla linea di margine, cagionando in tal modo lesioni personali gravi a (Soggetto 2), consistite in "politrauma, ematoma surrenale, fratture di entrambi i piedi, escoriazione contusioni multiple, frattura polso dx" dalle quali derivava una malattia giudicata guaribile in gg. 60 s.c., a (Soggetto 3) lesioni personali gravi consistite in un "politrauma rottura di milza, trauma cranico commotico" dalle quali derivava una malattia giudicata guaribile in gg. 30 s.c. e a (Soggetto 4) lesioni personali consistite in una "frattura clavicola sx" dalle quali derivava una malattia giudicata guaribile in gg. 20 s.c. Con le aggravanti di aver commesso il fatto ponendosi alla guida in stato di ebbrezza alcolica ai sensi del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2, lett. c), effettuando un sorpasso di altro mezzo in corrispondenza di linea continua e cagionando lesioni a più persone.

In (Omissis).

B) del reato p. e p. dal D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2, lett. c) e comma 2 bis per aver condotto il veicolo di cui al capo sub a) in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche, con un tasso alcolemico accertato pari a 1.71 g/l provocando il sinistro stradale con feriti di cui al capo che precede.

In (Omissis).

La Corte di Appello di Brescia, con sentenza dell'11/1/2022, in parziale riforma della sentenza appellata dal (Soggetto 1), ritenuto l'assorbimento del reato di cui al capo B) nel reato di cui al capo A), ha escluso la pena di mesi otto di arresto ed Euro 2700 di ammenda irrogata per tale reato, confermando nel resto la sentenza impugnata.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, (Soggetto 1), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Con un primo motivo il ricorrente lamenta violazione dell'art. 441 c.p.p., comma 5 e 6 e art. 442 c.p.p., comma 2, 3 e 4, in quanto sarebbero state illegittimamente utilizzate le sommarie informazioni delle persone informate dei fatti e le dichiarazioni spontanee dell'imputato perché acquisite in giudizio dopo la richiesta dell'imputato di giudizio abbreviato, con violazione del diritto di difesa.

Il ricorrente sottolinea che aveva posto la questione con il primo motivo di appello sottolineando che i verbali di sommarie informazioni e di spontanee dichiarazioni dell'imputato redatti dalla P.G. non facevano parte del fascicolo del PM e quindi non erano allegati agli atti al momento della richiesta di giudizio abbreviato.

Si contesta la risposta fornita in motivazione sul punto dalla Corte territoriale, che fa riferimento alla circostanza che tali atti non erano nel fascicolo del PM per una mera disfunzione organizzativa, ma erano comunque citati nella comunicazione di notizia di reato basata anche su tali verbali e quindi erano stati utilizzati dal PM per formulare la richiesta di rinvio a giudizio.

Secondo il ricorrente, diversamente da quanto opina la Corte d'appello, si tratterebbe di prove nuove perché non facenti parti degli atti del fascicolo. Sarebbe stata illegittima l'acquisizione di tali atti anche ai sensi dell'art. 441 c.p.p., comma 5, che prevede poteri integrativi d'ufficio del giudice dell'abbreviato, perché tali poteri sarebbero esercitabili rispetto a prove nuove ma non ad atti di polizia giudiziaria che erano già stati compiuti ma non acquisiti al fascicolo precedentemente alla richiesta di giudizio abbreviato.

il ricorrente richiama, a sostegno della propria tesi, le sentenze nn. 32099/2004 e 35247/2005 di questa Corte.

Con un secondo motivo, si lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non si è tenuto conto del concorso di colpa di altro conducente coinvolto nel sinistro.

Con tale motivo il ricorrente si duole della risposta che i giudici del gravame del merito hanno fornito al terzo motivo di appello, laddove per i giudici bresciani non emerge dagli atti un concorso di colpa della persona offesa nella causazione dell'evento.

Per il ricorrente non è così, soprattutto alla luce della ricostruzione planimetrica del sinistro che, tenuto conto che il (Soggetto 5) ebbe a mantenere il controllo del proprio veicolo arrestandosi nella marcia pochi metri oltre il punto d'impatto, proverebbe che l'odierno ricorrente non andava a forte velocità.

In ogni caso il difensore ricorrente pone in evidenza l'insussistenza di una responsabilità esclusiva del (Soggetto 1), in quanto (Soggetto 2), conducente l'auto Suzuki, non ha attivato alcuna cautela e non ha in alcun modo rallentato la marcia della sua autovettura, neppure frenando nell'imminenza dello scontro.

Per il difensore ricorrente dagli atti emergerebbe che il proprio assistito non ha responsabilità alcuna, ma comunque, in subordine, ci troveremmo di fronte ad un suo mero ed eventuale concorso di colpa nella causazione del sinistro.

Con il terzo motivo si lamentano violazione dell'art. 590 bis c.p. e dell'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c) e comma 5 per l'inutilizzabilità degli esami alcolemici per mancanza del previo consenso dell'imputato.

Segnala il ricorrente che l'accertamento del tasso alcolemico è stato eseguito dai sanitari esclusivamente in ragione della richiesta da parte della polizia locale di (Omissis), senza, tuttavia, acquisirne il consenso.

Dal referto degli esami ematici in atti si evince che il prelievo di sangue è stato eseguito il 4/7/2016, a seguito di espressa richiesta della PG, ma il medesimo documento, tuttavia, alla voce "annotazioni" riporta l'espressione "il consenso è pervenuto il 14/7/2016". si sottolinea peraltro che il 4/7/2016 l'odierno ricorrente era ricoverato presso il reparto di rianimazione con la diagnosi di "politrauma lesione epatica e frattura tibia dx. Trauma cranico con flc suturata".

Con il quarto motivo, erroneamente rubricato come quinto, si lamenta mancanza di motivazioni in punto di omessa concessione delle attenuanti generiche nonché dell'attenuante ad effetto speciale dell'art. 590 bis c.p., comma 7.

Si sottolinea che i reati oggetti del presente giudizio sono di natura colposa, per cui non è ravvisabile una volontà a delinquere del prevenuto. E che bisogna tenere conto dei 9 anni trascorsi dal fatto e della circostanza che l'odierno ricorrenti vanta proprio carico un solo precedente.

Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.

Le parti hanno concluso come riportato in epigrafe.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati tendono a sollecitare a questa Corte una rivalutazione del fatto non consentita in questa sede di legittimità. Peraltro, gli stessi si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito.

Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

2. In premessa va rilevato che, in ragione dell'inammissibilità del ricorso, non assume rilievo l'entrata in vigore, dopo la proroga, del decreto legislativo che ha dato attuazione alle L. 27 settembre 2021, n. 134 (la cosiddetta "riforma Cartabia") che ha previsto che il reato di cui all'imputazione sia procedibile soltanto a querela di parte.

Ciò in quanto le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità, alla cui condivisibile motivazione si rimanda, hanno chiarito che, in tema di condizioni di procedibilità, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela (in quel caso per effetto del D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36, ma il principio ha portata generale) ed ai giudizi pendenti in sede di legittimità, l'inammissibilità del ricorso esclude che debba darsi alla persona offesa l'avviso previsto dall'art. 12, comma 2, del predetto decreto per l'eventuale esercizio del diritto di querela (Sez. Un. 40150 del 21/6/2018, S., Rv. 273551).

3. Quanto al dedotto primo motivo, di natura processuale lo stesso è inammissibile in ragione della sua totale genericità ed aspecificità.

Ciò dovendosi tener conto dell'insegnamento di questa Corte di legittimità secondo cui, nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si deduca l'inutilizzabi-lità della prova introdotta ai sensi dell'art. 441 c.p.p., comma 5, il motivo di impugnazione, a pena di inammissibilità per difetto di specificità, deve illustrare l'incidenza della sua eventuale eliminazione sul complessivo compendio probatorio, ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", atteso che, in sede di ammissione di nuove prove, il giudice formula una mera prognosi di decisività della fonte di cui ordina l'acquisizione, che deve trovare conferma nell'effettivo risultato derivato dalla assunzione della prova stessa" (così Sez. 2 n. 8136 del 12/11/2021, dep. 2022).

Non sembra pertinente, inoltre, la giurisprudenza citata nel ricorso (pag. 8) sempre a sostegno dell'inutilizzabilità dei verbali di sommarie informazioni e delle dichiarazioni spontanee dell'imputato (acquisite dal giudice dell'abbreviato nell'esercizio dei poteri officiosi ex art. 441 c.p.p., comma 5) che concerne la diversa ipotesi dell'uso di atti di diverso procedimento (Sez. 3, n. 16793/2015).

Nel caso, in esame, invero si tratta di atti del medesimo procedimento "citati espressamente nella comunicazione di notizia di reato redatta dalla PG, presente nel citato fascicolo del P.M. al momento della richiesta di giudizio abbreviato", per quanto ivi non materialmente presenti (p. 6 della sentenza): il che, come correttamente rilevato nella decisione impugnata, non pare violare i diritti della difesa, in quanto atti come tali conoscibili per l'imputato.

Ne’ ricorre il divieto, indicato da ricorrente (p. 8 del ricorso), di procedere ad ulteriori acquisizioni probatorie d'ufficio sulla ricostruzione storica del fatto e sull'attribuibilità del reato all'imputato, atteso il consolidato orientamento giudiziario in senso contrario a tale divieto (cfr., tra le altre, Sez. 4 n. 34702/2015).

4. Va ricordato, quanto ai poteri di integrazione del giudice dell'abbreviato, che lo stesso è preordinato alla tutela dei valori costituzionali che devono presiedere, anche nei giudizi a prova contratta, all'esercizio della funzione giurisdizionale e risponde, pertanto, alle medesime finalità cui è preordinato il potere previsto dall'art. 507 c.p.p. in dibattimento, per cui il giudice può esercitare un potere di integrazione officiosa delle prove identico a quello previsto da tale ultima norma per il dibattimento e non incontra, quindi, alcun ostacolo nell'acquisizione delle prove ritenute necessarie, essendo, in questa prospettiva, irrilevante che l'azione penale sia stata esercitata in via ordinaria o nella forma della richiesta di giudizio immediato (così Sez. 2, n. 40724 del 18/9/2013, R., Rv. 256730, che ha ritenuto legittima l'escussione di un collaboratore di giustizia in ordine a circostanze già riferite al P.M. in sede di indagini, ma ritenute inutilizzabili in quanto assunte oltre il termine di centottanta giorni previsto dal D.L. n. 8 del 1991, art. 16 quater conv. in L. n. 82 del 1991).

Ed è consolidata, ormai, l'affermazione che l'integrazione probatoria disposta dal giudice, ex art. 441 c.p.p., comma 5, può riguardare anche la ricostruzione storica del fatto e la sua attribuibilità all'imputato, in quanto gli unici limiti cui è soggetto l'esercizio del relativo potere sono costituiti dalla necessità, ai fini della decisione, degli elementi di prova di cui viene ordinata l'assunzione e dal divieto di esplorare itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti (Sez. 5, n. 49568 del 18/6/2014, E. K., Rv. 261338).

In proposito, occorre considerare la mutata natura del giudizio speciale a seguito dell'incisiva riforma della L. n. 479 del 1999, giudizio oggi rimesso alla esclusiva volontà dell'imputato, a meno che questi non opti per la forma di richiesta c.d. condizionata, rispetto alla quale il giudice ha, solo in questo caso, la possibilità di negare l'ammissione al rito in presenza di determinate condizioni.

L'abolizione del consenso del pubblico ministero assieme al venir meno della valutazione giudiziale sulla possibilità di definire il processo allo stato degli atti ha avuto come conseguenza quella di attribuire all'imputato un vero e proprio "diritto" al rito e, conseguentemente, quella di prevedere un "obbligo" del giudice ad introdurlo.

Il giudizio abbreviato non presuppone come condizione di ammissibilità la definibilità allo stato degli atti e, quindi, non potrà mai essere rifiutato in presenza di carenze del quadro probatorio od istruttorio.

In questo nuovo assetto svolge un ruolo fondamentale la previsione sui poteri di integrazione del giudice, intesi come una forma di bilanciamento rispetto alla inevitabilità del giudizio abbreviato, rimesso alla scelta unilaterale dell'imputato.

Infatti, l'art. 441 c.p.p., comma 5 attribuisce al giudice poteri di integrazione probatoria di natura officiosa ogni qual volta ritenga di non poter decidere allo stato degli atti.

Ed è quanto accaduto nel caso di specie, in cui, su sollecitazione del pubblico ministero, il G.u.p. ha disposto d'ufficio l'acquisizione dei verbali di sommarie informazioni delle persone informate sui fatti e le dichiarazioni spontanee rese dall'imputato nell'immediatezza degli stessi, che erano pertanto specificamente richiamate nella comunicazione di notizia di reato, reputando tale documentazione necessaria ai fini della decisione.

La valutazione della "necessità" dell'integrazione probatoria nel rito abbreviato, sia d'ufficio che su richiesta delle parti, non è condizionata alla sua complessità od alla lunghezza dei tempi dell'accertamento probatorio, e non si identifica con l'assoluta impossibilità di decidere o con l'incertezza della prova, ma presuppone, da un lato, l'incompletezza di un'informazione probatoria in atti, e, dall'altro, una prognosi di positivo completamento del materiale a disposizione per il tramite dell'attività integrativa. (cfr. ex multis Sez. 6, n. 11558 del 23/1/2009, T. e altri, Rv. 243063 che, nell'affermare tale principio, ha precisato che il potere di integrazione probatoria non è soggetto a limiti temporali, potendo intervenire in ogni momento e fase della procedura, anche prima della discussione e le valutazioni circa l'attività integrativa, qualora congruamente e logicamente motivate, sono insindacabili in sede di legittimità; conf. Sez. 1, n. 47710 del 18/6/2015, B., Rv. 265422).

In ogni caso, si tratta di valutazione insindacabile in sede di legittimità se, come nella specie, congruamente e logicamente motivata (Sez. 2, n. 43329/2007).

Ne' il ricorrente può dolersi dei tempi dell'acquisizione, in quanto la norma non fissa alcun termine al riguardo, per cui deve ritenersi che il potere di integrazione probatoria riconosciuto al giudice non è soggetto a limiti temporali e può intervenire in qualsiasi momento e fase della procedura, quindi anche prima della discussione, come è avvenuto nel caso in esame.

5. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso, avente ad oggetto asseriti vizi di motivazione nella parte in cui la sentenza non tiene conto dell'asserito concorso di colpa dell'altro conducente, che appare anch'esso generico, non essendo stati allegati gli atti i "rilievi tecnici" della Polizia locale oggetto di asserito erroneo apprezzamento, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso. Il che comporta anche la genericità della doglianza in merito all'omessa applicazione dell'art. 590 bis c.p.p., comma 7, oggetto del quinto articolato motivo.

Con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto -e, pertanto, immune dalle proposte censure di legittimità- la Corte territoriale ha ritenuto che dagli atti non emerge un concorso di colpa delle persone offese nella causazione dell'evento, e che quanto affermato nell'atto di appello fosse privo di riscontri probatori, come d'altronde già condivisibilmente argomentato sul punto dalla sentenza appellata.

Peraltro, va ricordato che, per assunto pacifico, la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia - valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell'efficienza causale di ciascuna colpa concorrente - è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione (ex multis Sez. 4, n. 54996 del 24/10/2017, B., Rv. 271679; Sez. 4, n. 10335 del 10/2/2009, P., non mass.; Sez. 4, n. 43403 del 17/10/2007, A., Rv. 238321). E in altra condivisibile pronuncia si è chiarito che sono sottratti al sindacato di legittimità, se sorretti da adeguata motivazione, gli apprezzamenti di fatto necessari alla ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia quali la valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, l'accertamento delle relative responsabilità e la determinazione dell'efficienza causale di ciascuna colpa concorrente (Sez. 4, n. 37838 del 1/07/2009, T., Rv. 245294).

6. Il terzo motivo di ricorso, anch'esso manifestamente infondato, appare riproporre le medesime doglianze, già confutate puntualmente dalla decisione impugnata (p. 6), senza indicarne la manifesta illogicità o argomentarne specificamente la difformità rispetto alla giurisprudenza consolidata, i cui principi vengono richiamati nella detta decisione.

Ricorda correttamente la Corte bresciana come sia principio stabilito dalla giurisprudenza anche di questa Corte di legittimità che, riguardo all'inutilizzabilità degli esiti dell'esame alcolemico, non rileva la non espressione del consenso dell'indagato a tale accertamento alcolemico, ma ai fini di tale inutilizzabilità rileva solo la presenza di un esplicito rifiuto dell'indagato a tale esame alcolemico (in tale senso Sez. 4, n. 6755 del 6/11/2012, dep. 2013, G., Rv. 254931, conf. Sez. F, n. 52877 del 25/8/2016, I., Rv. 268807).

Nel caso in oggetto - come rileva la sentenza impugnata- non risulta dagli atti tale esplicito rifiuto da parte dell'indagato, consegue l'utilizzabilità processuale dell'esame alcolemico effettuato dalla P.G.; inoltre in sede di giudizio abbreviato l'art. 438 c.p.p., comma 6 bis, prevede che l'ammissione al richiesto giudizio abbreviato implica processualmente la sanatoria di eventuali nullità non assolute e la non rilevabilità d'ipotetiche inutilizzabilità derivanti non da un divieto probatorio.

Dunque, il ricorrente non si confronta con il disposto dell'art. 438 c.p.p., comma 6 bis, ai fini della sanatoria delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio, correttamente anch'esso richiamato.

7. Infine, l'ultimo articolato motivo appare del tutto generico ed in parte tardivo, poiché, salvo che per la doglianza relativa all'omessa applicazione dell'art. 590 bis c.p., comma 7 (strettamente connessa all'omessa considerazione della condotta colposa di altro conducente) e per un generico richiamo a pag. 38 alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, le altre censure ivi descritte appaiono proposte per la prima volta in sede di legittimità, come si evince dall'atto di appello a firma degli Avv. A. G. ed E. N. del 27/4/2018 in atti.

Quanto all'art. 590 bis c.p., comma 7, si è detto in precedenza che entrambi i giudici di merito escludono motivatamente il concorso di colpa delle persone offese, mentre quanto al diniego delle generiche il ricorrente non si era confrontato nell'atto di gravame del merito con l'ampia motivazione del giudice di primo grado sul punto che, come avevano ricordato gli stessi appellanti, aveva fondato il diniego sulla valutazione dei precedenti penali dell'odierno ricorrente e, soprattutto, sulla pluralità delle lesioni personali, anche gravi, cagionate, circostanze che vengono ampiamente richiamate nell'ambito complessivo della sentenza oggi impugnata, da cui si desume una implicita conferma della valutazione operata sul punto dal giudice di primo grado.

8. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2023.

 

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