Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione sesta, sentenza n. 1619 del 17 gennaio 2023

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione VI, sentenza numero 1619 del 17/01/2023
Circolazione Stradale - Artt. 11 e 12 del Codice della Strada e art. 341-bis del c.p. - Espletamento e servizi di polizia stradale - Oltraggio a pubblico ufficiale - Diritto di critica rispetto all'operato dei pubblici ufficiali - Costituiscono lecita manifestazione del diritto di critica le espressioni che siano immediatamente percepite come un giudizio che investe il provvedimento posto in essere dal pubblico ufficiale; non rientra nella fattispecie la critica che non si pone in un rapporto di immediatezza con l'operato del pubblico agente ma sia indirizzata alla sua persona, con fare ed espressioni munite di vigore offensivo e idonee a sminuirne la dignità, quale l'insinuazione concernente presunti favoritismi degli operanti e sul disprezzo manifestato con il gesto di strappare il documento dalle mani dell'operante.


RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di fiducia di (Soggetto 1) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Messina con la quale è stata confermata la condanna alla pena di mesi tre di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale, per il reato di cui all'art. 341-bis cod. pen. Secondo la concorde ricostruzione delle due sentenze di merito l'imputato, fermato dai Carabinieri di (Omissis) a seguito di un'infrazione del codice della strada, offendeva l'onore e il prestigio degli operanti, che stavano procedendo alla contestazione, dicendo " ora non vi darò più pace.. tu dove vedi e dove non vedi.. ve ne dovete andare..." e strappando dalle mani di uno degli operanti i documenti appena consegnati.

Il ricorrente deduce tre motivi di ricorso, di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 

Con il primo motivo deduce la nullità della sentenza per violazione del termine a comparire di cui all'art. 601, comma 3, cod. proc. pen. atteso che il decreto di citazione a giudizio è stato notificato all'imputato otto giorni prima dell'udienza, tenutasi in forma non partecipata, impedendo, così, all'imputato di esercitare il suo diritto alla discussione orale.

Con il secondo motivo deduce la violazione dell'art. 341-bis cod. pen. essendosi l'imputato limitato ad esercitare il suo diritto di critica rispetto all'operato dei pubblici ufficiali.

Con il terzo motivo deduce il vizio di inadeguatezza, manifesta illogicità, contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova avendo la Corte formato il proprio convincimento sulla base di generici elementi circostanziali ed omettendo di valutare il contenuto delle dichiarazioni dei testi a discarico che hanno riferito di condotte irriguardose tenute dai pubblici ufficiali e, comunque, di una discussione dai toni accesi, ma mai offensivi, intercorsa tra l'imputato e gli operanti.

2. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in mancanza di richiesta nei termini di discussione orale, le parti hanno depositato conclusioni scritte come in epigrafe riportate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

Giova, innanzitutto, premettere che nella giurisprudenza di legittimità sono emersi due orientamenti in merito alla qualificazione giuridica della nullità conseguente al mancato rispetto del termine a comparire di venti giorni stabilito dall'art. 601, comma 3, cod. proc. pen.; secondo un primo indirizzo tale violazione integra una nullità di ordine generale, relativa all'intervento dell'imputato, che deve essere rilevata o dedotta entro i termini previsti dall'art. 180 cod. proc. pen. ovvero prima della deliberazione della sentenza di secondo grado (cfr. Sez. 6, n. 28408 del 23/06/2022, F., Rv. 283349); altro indirizzo ritiene, invece, che si tratta di una nullità relativa che va eccepita subito dopo l'accertamento della costituzione delle parti (Sez. 2, n. 55171 del 25/09/2018, M., Rv. 275113).

Nel caso di specie, dall'esame degli atti cui il Collegio può accedere in ragione della natura processuale del motivo dedotto, risulta effettivamente la violazione del termine a comparire. Tuttavia, a prescindere dall'adesione all'una o all'altra delle soluzioni ermeneutiche sopra esposte, va rilevato che l'eccezione difensiva è tardiva in quanto dedotta per la prima volta in questa Sede. Dal momento che il giudizio di appello è stato trattato con rito cartolare, stante l'assenza di un'istanza di discussione orale, anche aderendo al primo orientamento, più favorevole all'imputato, l'eccezione relativa alla violazione del termine a comparire doveva essere dedotta nelle conclusioni scritte, trattandosi di termine funzionale all'esercizio del diritto di difesa, da depositare cinque giorni prima dell'udienza (cfr. Sez. 5, n. 5739 del 07/02/2022, M., Rv. 282970).

3. Il secondo motivo è inammissibile in quanto meramente reiterativo del motivo di appello, generico ed aspecifico. Il ricorrente, infatti, senza confrontarsi criticamente con le argomentazioni della sentenza - che ha posto l'accento sull'insinuazione, concernente presunti favoritismi degli operanti, sottesa all'espressione "tu dove vedi e dove non vedi" e sul disprezzo manifestato con il gesto di strappare il documento dalle mani di uno dei due Carabinieri - si limita a invocare genericamente un esercizio del diritto di critica da parte del ricorrente rispetto all'operato dei pubblici ufficiali. Va, al riguardo ribadito, che ai fini dell'esclusione del reato di oltraggio, costituiscono lecita manifestazione del diritto di critica le espressioni che siano immediatamente percepite come un giudizio che investe il provvedimento posto in essere dal pubblico ufficiale; allorché, invece, come nel caso in esame, la critica non si ponga in un rapporto di immediatezza con l'operato del pubblico agente ma sia indirizzata alla sua persona, con espressioni munite di vigore offensivo e idonee a sminuirne la dignità, non si vede più nei limiti consentiti di un dissenso scriminato (Sez. 6, n. 15871 del 16/03/2022, V., Rv. 283147).

4. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato e generico.

La sentenza impugnata, con argomentazioni immuni da vizi, con le quali il ricorrente omette il dovuto confronto critico, ha considerato inattendibili le dichiarazioni rese dai testi a discarico sia in ragione dei rapporti personali con l'imputato che, con riferimento al teste (Soggetto 2), presente a bordo dell'auto condotta dall'imputato, in considerazione del contrasto tra la dovizia di particolari resi nel descrivere i presunti atteggiamenti violenti dei pubblici ufficiali e l'omissione che ha, invece, connotato la circostanza, particolarmente rilevante ai fini della valutazione della condotta ascritta, relativa alla contestazione della violazione del codice della strada commessa dall'imputato, avendo il teste riferito che gli operanti avevano redatto il verbale di contestazione. Tale ultima circostanza è stata valorizzata dalla Corte territoriale per escludere l'attendibilità del teste (Soggetto 2) dal momento che sia dalle dichiarazioni degli operanti, che hanno riferito di avere provveduto alla sola contestazione orale in quanto il ricorrente iniziò ad aggredirli nel momento in cui si accingevano a redigere il verbale, che dalle risultanze probatorie non è emerso alcun formale atto di contestazione. Rileva, inoltre, il Collegio che, sulla base della stessa prospettazione del motivo di ricorso in merito al contenuto delle dichiarazioni dei testi a discarico, queste non sono, comunque, idonee ad influire, stante le considerazioni già esposte nel precedente paragrafo in merito all'insussistenza nel caso in esame di un legittimo esercizio del diritto di critica, sulla configurabilità del reato.

5. All'inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 23 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2023.

 

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