Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 15112 del 11 aprile 2023

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 15112 del 11/04/2023
Circolazione Stradale - Art. 186 del Codice della Strada - Guida in stato di ebbrezza alcolica - Avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore - Nel reato di guida in stato di ebbrezza alcolica sotto l'influenza dell'alcool, qualora l'omessa spunta della casella sul verbale indicante la facoltà di farsi assistere da un difensore sia dipesa da mero errore materiale e, soprattutto, palesa in modo inequivoco che il ricorrente era a conoscenza della facoltà in oggetto, irrilevante risultando, pertanto, il formale rispetto della procedura poiché la nullità non discende direttamente dal mancato avvertimento, ma dalla presunta non conoscenza da parte dell'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore, alla quale l'avvertimento è preordinato.


RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, pronunciata a seguito di c.d. patteggiamento, il Tribunale di (Omissis) condannava (Soggetto 1) per i delitti di cui all'art. 186 C.d.S., comma 7, all'art. 341-bis c.p., all'art. 337 c.p., in continuazione tra loro, disponendo altresì la sospensione della patente per la durata di un anno.

2. Avverso tale sentenza l'imputato presenta ricorso per cassazione, per il tramite del suo difensore, avvocato F. M., articolando tre motivi.

2.1. Erronea applicazione della legge penale con riferimento al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186 (c.d. C.d.S.). Sostiene il ricorrente che il rifiuto dell'imputato di sottoporsi all'accertamento con etilometro fosse legittimo, non essendo stato preceduto dall'avviso della facoltà di non farsi assistere dall'avvocato, come invece previsto dal comma 3 dello stesso articolo. Di conseguenza, il giudice sarebbe incorso in una erronea qualificazione giuridica del fatto ed avrebbe irrogato una pena illegittima.

2.2. Violazione del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 7, e, in subordine, vizio di motivazione poiché, ove si concordi nel ritenere legittimo il rifiuto di sottoposi alla prova dell'etilometro, non avrebbe potuto essere disposta la sospensione della patente; diversamente, non si sarebbe dovuto, comunque, tener conto della precedente condanna per guida in stato di ebbrezza, pronunciata a seguito di patteggiamento e i cui effetti penali sono estinti, ai sensi dell'art. 445 c.p.p., non avendo (Soggetto 1) compiuto reati nei due anni successivi.

2.3. Erronea applicazione della legge penale con riguardo agli artt. 337 e 81 c.p., per ritenuta duplicità dei reati di resistenza a pubblico ufficiale; mancata correlazione tra richiesta di applicazione penale e sentenza. Nel capo di imputazione si addebitava all'imputato una generica condotta intimidatoria rivolta ad entrambi gli agenti di polizia stradale che avevano fermato (Soggetto 1); nella sentenza, invece, sulla base di una errata qualificazione giuridica dei fatti, (Soggetto 1) è stato condannato per due fatti nei confronti dell'agente (Soggetto 2) e dell'agente (Soggetto 3), con conseguente riconoscimento della continuazione.

In subordine, nell'ipotesi in cui si ritenga la sussistenza di due distinti reati, il ricorrente (che anche sul punto cita Corte Sez U. n. 40981 del 22/02/2018, A., Rv. 273771), chiede che si riconosca il concorso omogeneo, ai sensi dell'art. 81 c.p., comma 1.

3. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e del D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, comma 1, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Premesso che la sentenza in epigrafe è stata pronunciata a seguito di applicazione della pena su richiesta delle parti, i motivi di ricorso esulano da quelli tassativamente indicati dall'art. 448 c.p.p., comma 2-bis e per i quali è proponibile ricorso in cassazione.

1.1. Nella specie, per quel che riguarda la dedotta erronea qualificazione giuridica del fatto, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell'art. 448 c.p.p., comma 2-bis, introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 50, l'erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato (ex multis, Sez. 6, n. 25617 del 25/06/2020, A., Rv. 27957; Sez. 6, ord. n. 3108 del 08/01/2018, A., Rv. 272252).

La qualificazione del fatto, nel caso oggetto di giudizio, non è palesemente eccentrica, di talché il motivo risulta inammissibile e, comunque, sarebbe manifestamente infondato.

Lo stesso ricorrente, dopo aver lamentato come nel verbale di accertamenti urgenti redatto dagli agenti della polizia stradale non risulti sbarrata la casella riguardante l'avviso preventivo di farsi assistere da un difensore di fiducia, riconosce, infatti, che dal medesimo verbale risultava che (Soggetto 1), seppure "in modo illegittimo e sommario", aveva "dichiarato di "non volersi fare assistere da un difensore"". Ciò rende altamente verosimile l'ipotesi che l'omessa spuntatura della casella sia dipesa da mero errore materiale e, soprattutto, palesa in modo inequivoco che il ricorrente era a conoscenza della facoltà in oggetto, irrilevante risultando, pertanto, il formale rispetto della procedura. In tal senso, per esempio, Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015, B., Rv. 263025, là dove afferma che "la nullità (...) non discende direttamente dal mancato avvertimento di cui all'art. 114 disp. att. c.p.p. ma dalla presunta non conoscenza da parte dell'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore, alla quale l'avvertimento è preordinato. Sicché se per avventura l'indagato comunicasse ai pubblici ufficiali operanti la sua intenzione di avvisare il difensore dell'atto urgente che si sta per compiere nessuna nullità deriverebbe da un mancato previo avviso di tale facoltà da parte della polizia giudiziaria". A fortiori, dunque, la nullità non sussiste quando il conducente abbia espressamente dichiarato di non volersi fare assistere da un difensore.

D'altronde, è appena il caso di notare che l'omesso avviso non avrebbe comunque reso legittimo il rifiuto di sottoporsi alla prova dell'etilometro, potendo esso determinare soltanto la nullità dell'accertamento: nullità generale, a regime intermedio che, come precisato da Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015, B., poc'anzi citata, avrebbe dovuto essere eccepita dal difensore entro la deliberazione della sentenza di primo grado e che oltre tale termine risulta sanata.

1.2. Il secondo motivo, in cui si lamenta l'applicazione della sanzione accessoria della sospensione della patente, risulta conseguentemente assorbito.

La censura relativa alla durata della sospensione medesima (un anno, "tenuto conto che il prevenuto ha già riportato condanna per guida in stato di ebbrezza") è invece inammissibile, esulando anch'essa dall'ambito applicativo dell'art. 448 c.p.p., comma 2-bis.

Per un verso, infatti, non appare pertinente il richiamo a Sez. U n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, S., Rv. 279348, che concerne la confisca e non già le sanzioni accessorie. Per altro verso, ammesso che si sia al cospetto di una pena (piuttosto che di una semplice sanzione amministrativa) accessoria, essa non sarebbe certamente illegale, configurandosi, al più - in via meramente eventuale -, un errore nella determinazione della sua durata, insuscettibile, come tale, di legittimare il ricorso in cassazione ex art. 448 c.p.p., comma 2-bis.

1.3. Il terzo motivo è parimenti irricevibile, poiché esula da quelli tassativamente previsti nell'art. 448 c.p.p., comma 2-bis, ed appare comunque manifestamente infondato, poiché non sussiste violazione alcuna dell'art. 522 c.p.p..

Premesso che, ai fini della contestazione dell'accusa, ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto, non l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati (Sez. 6, n. 437 del 16/09/2004, dep. 2005, V., Rv. 230858, relativa a fattispecie concernente la ritenuta sussistenza del nesso della continuazione tra i reati in assenza della menzione, nel capo di imputazione, dell'art. 81 c.p.. Analogamente, tra le altre, Sez. 5, n. 9706 del 30/01/2015, R., Rv. 26259), nel capo di imputazione riportato nella sentenza impugnata: risultano analiticamente descritte le condotte dell'imputato; si precisa all'indirizzo di chi erano rivolte le frasi fortemente offensive pronunciate dall'imputato; si specifica, infine, che la seconda condotta seguiva temporalmente alla prima ("e poi").

La circostanza, da ultimo, che siano state contestate ed accertate due distinte condotte, in successione temporale tra loro, rende poi - a tacere dei più volte rilevati profili di inammissibilità - irricevibile la richiesta di ravvisare un concorso omogeneo formale, piuttosto che la continuazione dei reati, per il quale, essendo prevista legislativamente la medesima pena, il ricorrente non ha nemmeno interesse.

2. Alla luce di quanto rilevato, il ricorso si conferma inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2023.

 

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