Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione prima, sentenza n. 133 del 5 gennaio 2023
Corte di Cassazione Penale, Sezione I, sentenza numero 133 del 05/01/2023
Circolazione Stradale - Artt. 11, 12 e 186 del Codice della Strada e art. 56 c.p. - Semaforo rosso - Sono utilizzabili nella fase procedimentale, e dunque nell'incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta quale il rito abbreviato, le dichiarazioni spontanee che la persona sottoposta alle indagini abbia reso - in assenza di difensore ed in difetto degli avvisi di cui all'art. 64 cod. proc. pen. - alla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 350, comma 7, cod. proc. pen., purché emerga con chiarezza che la medesima abbia scelto di renderle liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 25 febbraio 2021 la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma di quella dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Cremona il 24 gennaio 2019, ha rideterminato in tre anni ed otto mesi di reclusione la pena inflitta a (Soggetto 1) per i reati di tentato omicidio e guida in stato di ebbrezza e lo ha, al contempo, assolto dalla contestazione di omissione di soccorso.
2. Il 2 settembre 2016, intorno alle ore 16,30, in (Omissis), (Soggetto 1), procedendo a bordo di una Fiat (Omissis), urtò la bicicletta condotta da (Soggetto 2), che, rovinando in terra, patì lesioni alla testa tanto gravi da determinare invalidità totale e permanente.
Il fatto è stato concordemente qualificato come tentato omicidio dai giudici di merito, i quali hanno preso le mosse dal postulato che (Soggetto 1) era stato coinvolto, pochi minuti prima, all'intersezione tra Piazza (Omissis) e Via (Omissis), in un diverbio, originato da motivi legati alla circolazione stradale, con un ciclista, mai identificato, il quale, ad un certo punto, aveva scagliato il mezzo contro il parabrezza della Fiat, infrangendolo, per poi allontanarsi lungo Piazza (Omissis), a piedi e conducendo per mano il velocipede.
(Soggetto 1), dopo avere ripreso la marcia, aveva notato, di lì a poco, un ciclista, che, stando all'impostazione accusatoria, avallata da Giudice dell'udienza preliminare e Corte di appello, aveva erroneamente identificato in quello con cui era intercorso, qualche minuto prima, il battibecco; intenzionato a sanzionare, a suo modo, l'offensivo e, nella sua prospettiva, intollerabile contegno dell'uomo, aveva, quindi, improvvisamente invertito la direzione percorsa (da periferia-centro a centro-periferia) e si era posto all'inseguimento della bicicletta, che era, invece, guidata da (Soggetto 2), il quale, colpito con violenza sul lato sinistro, era stato scaraventato alla distanza di alcuni metri e, battendo la testa contro il terreno, aveva subito gravissime lesioni encefaliche.
(Soggetto 1), che, prima di attingere il bersaglio, non aveva decelerato ne' attivato il sistema frenante, si era subito dileguato ed era stato rintracciato solo grazie all'intervento del testimone (Soggetto 3) il quale, avendo assistito alla scena, era riuscito ad annotare il numero di targa del pirata della strada e lo aveva comunicato alle forze dell'ordine, prontamente sopraggiunte.
L'odierno imputato era stato, quindi, sottoposto all'alcoltest, che aveva rivelato la concentrazione, nel sangue, di alcol nella misura di 1,15 g/l, largamente superiore al limite stabilito dalla norma incriminatrice.
3. (Soggetto 1) propone, con l'assistenza degli avv.ti M. T. ed A. R., ricorso per cassazione affidato a due motivi, con il primo dei quali eccepisce violazione della legge processuale per essere Giudice dell'udienza preliminare e Corte di appello pervenuti all'affermazione della sua penale responsabilità sulla base, tra l'altro, delle spontanee dichiarazioni da lui rese alle ore 18,55 del 2 settembre 2016, atto processualmente inutilizzabile perché assunto nei confronti di soggetto già gravato, in quel frangente, da corposi ed univoci indizi di reità e, per di più, privo, a ben vedere, del connotato di spontaneità che ne consente, secondo l'indirizzo seguito da una parte della giurisprudenza di legittimità, l'utilizzazione nei giudizi a prova contratta.
Con il secondo motivo, lamenta vizio di motivazione in relazione all'accertamento degli elementi costitutivi del reato, materiale e psicologico.
Sotto il primo profilo, evidenzia, tra l'altro, che i giudici di merito hanno ricostruito la vicenda di interesse partendo dall'assunto della sovrapponibilità tra gli esiti dell'espletata consulenza tecnica, dai quali è emesso che l'impatto tra il veicolo e la vittima fu laterale, e l'apporto di (Soggetto 3), il quale ha, invece, parlato di un contatto da tergo, nonché stimando, erroneamente, in alcune centinaia di metri (piuttosto che, come reso evidente dalle immagini registrate dall'impianto video installato nell'area e dagli accertamenti eseguiti dalla Polizia municipale e dal suo consulente di parte, in qualche decina) la distanza tra i due mezzi, calcolata nel momento in cui egli avviò la manovra di avvicinamento a (Soggetto 2).
In ordine al dolo, il ricorrente sottopone ad analitica revisione critica gli argomenti sottesi alla decisione impugnata e contesta, in primo luogo, che le sue spontanee dichiarazioni, qualora pure se ne reputi l'utilizzabilità, valgano ad accreditare la tesi secondo cui egli, caduto in errore circa l'identità del ciclista che aveva avuto modo di scorgere, sarebbe rimasto preda di uno stimolo alla violenta ritorsione, la cui marcata debolezza è dato cogliere, segnala, ove si consideri la totale diversità dei due soggetti per mezzo usato ed abbigliamento.
Né, aggiunge, l'individuazione del movente può giovarsi delle dichiarazioni del teste (Soggetto 4), che solo in apparenza riscontrano le sue.
Il ricorrente si duole, ancora, della valenza assegnata, in funzione della dimostrazione dell'elemento soggettivo del reato, a circostanze di fatto che, a ben vedere, si rivelano neutre o inconferenti, quali quelle che attengono, rispettivamente: all'avere egli mantenuto il veicolo in prossimità del margine destro della carreggiata; all'impressione riferita dal teste (Soggetto 3), il quale ha sostenuto, in contrasto con i dati tecnici e documentali, univoci nell'attestare che l'interferenza tra i mezzi fu tangenziale, che il veicolo fu direttamente proiettato verso la bicicletta; alla compatibilità tra la natura tangenziale del contatto e la volontarietà della condotta lesiva; alla possibilità che, in un torno di tempo ristrettissimo, egli abbia abbandonato il contegno, passivo e remissivo, serbato a fronte dell'esagitato ciclista, che non aveva avuto esitazioni e scagliare il suo veicolo contro il vetro anteriore della Fiat, ed assunto un'iniziativa di gratuita ed inaudita violenza; alla plausibilità, sul piano statistico, del suo coinvolgimento, del giro di pochissimi minuti, in vicende, comunque afferenti alla circolazione stradale, con due distinti ciclisti; alla compatibilità tra la situazione dei luoghi, l'andamento sinistrorso della strada e l'assenza di tracce di frenata e l'alternativa qualificazione dell'incidente in chiave colposa, cioè quale portato di disattenzione ed imprudenza e non già di franca intenzione lesiva o, addirittura, omicida.
4. Disposta la trattazione scritta ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto, il 23 settembre 2022, dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, mentre il ricorrente, con atto del 5 ottobre 2022, ha insistito per il suo accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché vertente su censure manifestamente infondate.
2. In ordine al primo motivo, di ordine processuale, sostiene il ricorrente che le circostanze che precedettero e seguirono la redazione del verbale di spontanee dichiarazioni attestano che egli - essendo raggiunto da indizi in ordine ai reati di lesioni personali (o tentato omicidio), guida in stato di ebbrezza (l'alcoltest, al quale egli era già stato sottoposto, era stato, infatti, effettuato in ragione dell'«alito vinoso» da lui palesato) ed omissione di soccorso (reato per il quale, dopo essere stato condannato in primo grado, egli è stato, invece, assolto in appello) - avrebbe dovuto essere sentito in qualità di indagato, con le garanzie difensive, in tal senso dovendosi privilegiare il criterio sostanziale della qualità oggettivamente attribuibile al soggetto in base alla situazione esistente nel momento in cui le dichiarazioni sono state rese.
L'eccezione è inammissibile in quanto è stata sollevata, per la prima volta, con il ricorso per cassazione e presuppone, per la sua delibazione, accertamenti, in fatto, che ricadono nell'esclusiva competenza del giudice di merito, cui devono essere necessariamente demandati, e non possono essere compiuti nella sede di legittimità, tanto più in ragione dell'omessa allegazione al ricorso dei verbali relativi all'alcoltest, al ritiro della patente ed all'identificazione, evocati dal ricorrente, dai quali dovrebbe evincersi la condizione di «indagato sostanziale» che egli avrebbe assunto all'atto di rendere dichiarazioni spontanee.
Tanto, in ossequio al condiviso indirizzo ermeneutico secondo cui «La questione dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese senza le necessarie garanzie difensive da chi sin dall'inizio doveva essere sentito in qualità di imputato o indagato non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità se richiede valutazioni di fatto su cui è necessario il previo vaglio, in contraddittorio, da parte del giudice di merito» (Sez. 6, n. 18889 del 28/02/2017, T., Rv. 269891 - 01).
La doglianza appare peraltro, infondata oltre che tardiva, giacché non tiene conto dell'opzione, da parte dell'imputato, per il giudizio abbreviato, alla quale consegue l'applicazione del principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, stando al quale «Sono utilizzabili nella fase procedimentale, e dunque nell'incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta (quale, nella specie, il rito abbreviato), le dichiarazioni spontanee che la persona sottoposta alle indagini abbia reso - in assenza di difensore ed in difetto degli avvisi di cui all'art. 64 cod. proc. pen. - alla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 350, comma 7, cod. proc. pen., purché emerga con chiarezza che la medesima abbia scelto di renderle liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione» (Sez. 1, n. 15197 del 08/11/2019, dep. 2020), F., Rv. 279125 - 01; nello stesso senso, cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 22962 del 31/05/2022, N., Rv. 283409 - 01; Sez. 4, n. 2124 del 27/10/2020, dep. 2021), M., Rv. 280242 - 01).
Parimenti, e manifestamente, infondata si rivela, a quest'ultimo proposito, l'ulteriore obiezione difensiva che, nel sottolineare che (Soggetto 1), «privo di informazioni, privo di cognizioni tecniche, in assenza di difensore, ingenuamente e in modo maldestro» ha tentato «di sminuire la propria riconosciuta responsabilità colposa», non introduce argomenti atti a dimostrare che le dichiarazioni de quibus agitur siano state frutto, in tutto o in parte, di influenze esterne piuttosto che della libera ed autonoma determinazione del loro autore.
3. Per quanto concerne il secondo motivo di ricorso, avendo il ricorrente articolato censure ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., appare opportuno rilevare che detta disposizione, nel prevedere il sindacato sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, non abilita il giudice di legittimità ad effettuare un'indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo la Corte di cassazione limitarsi a verificare l'adeguatezza delle considerazioni svolte dal giudice di merito per motivare il suo convincimento.
La mancanza, la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono, invero, possedere una consistenza tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato al riguardo essere circoscritto a rilievi di macroscopica evidenza, mentre restano ininfluenti le minime incongruenze e devono considerarsi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano concettualmente incompatibili con la decisione adottata; sempre che, ovviamente, siano spiegate in modo razionale ed adeguato, e senza vizi giuridici, le ragioni del convincimento (in tal senso, conservano validità i principi affermati da Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, P., Rv. 226074; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, J., Rv. 216260; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, S., Rv. 214794).
Deve, ancora, escludersi per il giudice di legittimità la possibilità di «un'analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati» e quindi «di fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi», ciò che «si risolverebbe in una impropria riedizione del giudizio di merito e non assolverebbe alla funzione essenziale del sindacato sulla motivazione» (Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, V., Rv. 233621), ovvero di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o di adottare nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, F., Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, M., Rv. 253099; Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006, L., Rv. 234559).
3. La sentenza impugnata è esente dai vizi denunziati, in quanto affronta funditus tutte le questioni salienti in termini che, come si vedrà, si sottraggono alle obiezioni del ricorrente perché frutto di ineccepibile applicazione delle norme sostanziali e processuali che vengono in rilievo e scevri da profili di manifesta illogicità e contraddittorietà.
La Corte di appello, invero, ha analizzato e respinto il motivo di impugnazione vertente sulle modalità di svolgimento degli accadimenti di interesse processuale e, precipuamente, sul requisito psicologico che ha sorretto la condotta illecita di (Soggetto 1), muovendo dal presupposto, condiviso dal ricorrente e desunto anche dalle considerazioni svolte dal suo consulente tecnico, ing. (Soggetto 5), che la Fiat (Omissis), procedendo alla velocità di circa 40 km/h, ha colpito la vittima tangenzialmente, potendosi ritenere, dunque, che l'impatto ha interessato il fianchetto anteriore destro della vettura (ossia la parte anteriore laterale di destra) ed il lato sinistro del corpo di (Soggetto 2), sporgente dalla sagoma della bicicletta nella misura di circa 60 cm., il quale ha subito una spinta obliqua in avanti, per effetto della quale è stato sbalzato di alcuni metri.
Il giudice di secondo grado ha, altresì, stimato la compatibilità tra i dati testé esposti e l'apporto del testimone oculare (Soggetto 3) il quale, avendo avuto modo di assistere de visu al tragico episodio, ha ricordato (il verbale delle dichiarazioni da lui rese nel corso del giudizio abbreviato è stato allegato da (Soggetto 1) al ricorso) di avere (cfr. pag. 4) notato la Fiat (Omissis) «che affrontava la curva abbastanza ad alta velocità prendendo in pieno questa bicicletta che stava passandogli davanti senza accennare minimamente a cercare di schivarla» ed aggiunto che l'impatto è avvenuto a distanza di 30-40 metri dalla fine della precedente curva a sinistra e che il ciclista è stato «scaraventato via», mentre l'investitore si è immediatamente allontanato, sicché egli ha avuto giusto il tempo di annotare il numero di targa, che ha memorizzato sul telefonino e comunicato, di lì a poco, alle forze dell'ordine.
Il ricorrente eccepisce, in proposito, che il giudizio di attendibilità riservato dai giudici di merito all'apporto di (Soggetto 3) è inficiato dalla contraddizione tra la riconosciuta natura tangenziale dell'urto e l'indicazione, da parte del testimone, di un urto posteriore, cioè da tergo.
L'obiezione è manifestamente infondata, perché proposta sulla base di una fallace interpretazione delle parole di (Soggetto 3) il quale, nel riferire, in risposta ad apposita domanda del giudice, che la bicicletta è stata colpita (cfr. pag. 5) «sul laterale dietro», ha offerto un contributo che appare complessivamente coerente con l'assunto, del quale si è detto, che individua nella parte sinistra del velocipede, in corrispondenza del corpo del conducente, il punto di impatto con il veicolo condotto da (Soggetto 1).
Ne', va opportunamente aggiunto, rilevano, al riguardo, il fatto che (Soggetto 3) abbia esposto, in termini di inevitabile e comprensibile genericità, che la macchina attinse, in prima battuta, il mezzo piuttosto che il corpo del suo conducente o l'imprecisa quantificazione della distanza esistente tra i veicoli nel frangente in cui (Soggetto 1), invertita la marcia, si mise alla caccia del ciclista, restando, comunque, incontestato che l'automobilista fruì di una visuale tale da consentirgli di individuare il bersaglio, verificarne il percorso ed avviare il conseguente inseguimento.
Considerato, poi, che la natura obliqua e tangenziale dell'urto non appare, di per se', incompatibile con i devastanti effetti descritti da (Soggetto 3), sui quali hanno, con ogni evidenza, inciso la proiezione diretta dell'auto sulla bicicletta, la velocità del mezzo e, vieppiù, l'assenza di frenata, del tutto inconsistenti appaiono le perplessità espresse dal ricorrente in ordine all'attendibilità di (Soggetto 3) il quale, è bene rammentare, ha avuto una percezione dell'accaduto tanto nitida da consentirgli di acquisire un elemento di conoscenza (la targa dell'auto investitrice), rivelatosi decisivo per il prosieguo dell'attività investigativa e presupponente, logicamente, piena lucidità nell'apprezzamento di circostanze di fatto che, del resto, egli ha esposto, nel contraddittorio processuale, in termini nitidi e costanti quanto sereni.
Assolutamente sterile appare, in conclusione, l'obiezione difensiva che si appunta su una presunta «non corretta percezione» e su una pretesa «esposizione "emotiva" e "valutativa"» e che discende dall'illazione, non assistita da riscontri di sorta, che vuole (Soggetto 3) collocato, al momento dell'impatto, in posizione tale da precludergli la visuale del sinistro.
4. Non meno infondate sono le censure che il ricorrente dedica all'elemento soggettivo del contestato delitto di tentato omicidio, che i giudici di merito hanno ritenuto sulla scorta, in primis, del combinato e sinergico vaglio delle dichiarazioni rese dal teste (Soggetto 4) e da quelle da lui stesso spontaneamente rilasciate.
In specie, pacifico che (Soggetto 1) era stato impegnato, quel pomeriggio, in una contesa con un ignoto ciclista, dalla quale era derivato il danneggiamento del parabrezza della Fiat (Omissis), di proprietà del padre e nella sua contingente disponibilità, la Corte di appello ha logicamente rinvenuto nella finalità ritorsiva il movente dell'inconsulto gesto compiuto dall'imputato il quale, pensando, a torto, che il ciclista nel quale si era imbattuto poco dopo che il suo contraddittore si era allontanato dal teatro della contesa fosse proprio quello che aveva provocato la rottura del parabrezza, è stato colto da un impeto vendicativo, che lo ha condotto ad invertire il senso di marcia e ad appropinquarsi, a velocità relativamente sostenuta, alla vittima, che ha colpito con violenza (ciò che, è utile notare incidenter tantum, trova ulteriore riscontro nei danni provocati alla carrozzeria della Fiat), senza frenare, cagionandone lo sbalzamento e dandosi, quindi, a fuga, contegno, quest'ultimo, pure sintomatico di dolo omicida alternativo.
Al cospetto di un iter argomentativo lineare, coerente ed ossequioso delle emergenze istruttorie, il ricorrente replica attraverso una critica, analitica ma parcellizzata, delle singole proposizioni sottese alla motivazione del provvedimento impugnato, che appare del tutto inidonea ad evidenziare fratture razionali o momenti di contraddittorietà.
Rivolge attenzione, per un verso, ai diversi connotati dei due ciclisti coinvolti nella vicenda e dei mezzi da loro rispettivamente condotti, ovvero ad un profilo che, pure sussistente, non ha impedito a (Soggetto 1) - la cui impressione è risultata, significativamente, comune a (Soggetto 4), lui pure tratto in inganno - di cadere in errore circa l'identità del soggetto nei cui confronti egli riversò il proprio impulso omicida.
Rivendica, per altro verso, la neutralità di ulteriori aspetti della vicenda - attinenti, via via: alle ragioni che lo hanno indotto ad invertire il senso di marcia; all'avere egli mantenuto il veicolo in prossimità del margine destro della carreggiata; alla astratta compatibilità tra la natura tangenziale dell'urto e la qualificazione della sua condotta in chiave colposa invece che dolosa; alla credibilità della lettura dei fatti che lo vede mutare radicalmente atteggiamento nel giro di pochi secondi; alla probabilità, dal punto di vista statistico, del suo coinvolgimento, in rapidissima successione, in due distinti ed autonomi accadimenti in occasione dei quali egli è entrato in relazione, per motivi afferenti alla circolazione stradale, con due diversi ciclisti; alla compatibilità tra la situazione dei luoghi ed il percorso seguito con l'alternativa prospettazione difensiva - che non toccano il cuore della motivazione che sorregge la decisione impugnata.
Ed invero, una volta appreso, dalla viva voce dello stesso imputato, che egli si è volontariamente diretto verso (Soggetto 2) nella fallace convinzione che questi fosse il soggetto che, poco prima, aveva scaraventato la sua bicicletta contro il parabrezza della [Fiat] (Omissis), appare logico desumere, in accordo con Giudice dell'udienza preliminare e Corte di appello, che il proditorio contegno di (Soggetto 1) - il quale, è bene ricordare, proiettò la macchina da lui guidata in direzione di (Soggetto 2), lo urtò, senza attivare il sistema frenante, con forza tale da farlo sbalzare a metri di distanza e si diede, infine, alla fuga - abbia costituito l'attuazione di un proposito criminoso, la cui insorgenza è stata, presumibilmente, favorita dalla condizione di ebbrezza alcolica e che deve essere logicamente e storicamente ricollegato al precedente litigio, esitato nel danneggiamento del parabrezza, cui il ricorrente ha inteso, evidentemente, porre rimedio con una odiosa e gravissima condotta ritorsiva.
Le contestazioni difensive non si emancipano, dunque, da un approccio ispirato alla confutazione ed alla controargomentazione, in quanto tale inidoneo a mettere in luce deficit logici di consistenza sufficiente ad integrare il vizio indicato all'art. 606, lett. e), cod. proc. pen..
5. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 11/10/2022.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2023.
DISCLAMER: Il testo della presente sentenza o odinanza non riveste carattere di ufficialità e non sostituisce in alcun modo la versione pubblicata dagli organismi ufficiali. Vietata la riproduzione, anche parziale, del presente contenuto senza la preventiva autorizzazione degli amministratori del portale.