Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quinta, sentenza n. 11694 del 20 marzo 2023
Corte di Cassazione Penale, Sezione V, sentenza numero 11694 del 20/03/2023
Circolazione Stradale - Art. 186 del Codice della Strada - Guida in stato di ebbrezza alcolica - Patteggiamento - Estinzione del reato - Nuovo reato - Sospensione condizionale - Rifiuto - In tema di patteggiamento, l'avvenuta estinzione del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica sotto l'influenza dell'alcool, dichiarata in relazione a sentenza di applicazione di pena pecuniaria o di sanzione sostitutiva condizionalmente sospesa, non è ostativa al successivo rigetto della richiesta di sospensione condizionale, in quanto la norma non esclude che il giudice possa tener conto di tale precedente, motivando specificamente perché, in concreto, tale pronuncia offra elementi rilevanti ai fini di un negativo giudizio prognostico.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10.1.2022 la Corte di Appello di (Omissis) ha confermato la pronuncia emessa in primo grado nei confronti di (Soggetto 1), che lo aveva dichiarato colpevole del reato di violenza privata di cui all'art. 610 c.p., condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.
2. Ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo quattro motivi.
2.1. Col primo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 610 c.p. nonché la mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine a quanto dedotto nell'atto di appello con particolare riferimento al fatto che (Soggetto 2), ossia la presunta persona offesa, non fosse stata in alcun modo bloccata e potesse agevolmente divincolarsi e allontanarsi inserendo la retromarcia - proprio come ebbe poi a fare - tenuto anche conto delle dimensioni della strada e dei veicoli coinvolti, essendo la macchina condotta dalla persona offesa più grande di quella dell'imputato; la persona offesa non subiva pertanto alcuna riduzione della libertà di movimento ne’ della capacità di autodeterminazione; ne’ alla stessa stregua dell'emergenze processuali può ritenersi essere stata intimorita dal comportamento dell'imputato, avendo allertato le forze del dell'ordine solo in un secondo momento ossia quando rivedeva l'auto che l'aveva bloccata.
2.2. Col secondo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 131-bis c.p.. Sussistono in particolare nel caso di specie tutti i presupposti per l'applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto: l'offesa di particolare tenuità, date le modalità della condotta consistita esclusivamente nell'avere l'imputato costretto la persona offesa a fermarsi impedendole di proseguire, avendo peraltro egli agito a fronte di una manovra scorretta da parte di quest'ultima che avrebbe potuto causare un incidente, come quello per cui (Soggetto 1) aveva appena prestato soccorso; l'esiguità del danno tanto che (Soggetto 2) non decideva neppure di costituirsi parte civile nel processo; a ciò si aggiunga che il comportamento non è abituale non avendo l'imputato commesso reati della stessa indole di quello. per cui si procede.
2.3. Col terzo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 164 c.p. Nel caso di specie, nonostante l'imputato avesse già usufruito una volta della sospensione condizionale della pena con la sentenza di condanna per esercizio abusivo di una professione, avrebbe ciò nondimeno potuto nuovamente goderne dal momento che la pena da infliggere cumulata con quella irrogata con la precedente condanna a pena sospesa non supera, nel caso di specie, i limiti stabiliti dall'art. 163 c.p. ossia gli anni due. Peraltro, come risulta dal casellario giudiziale, l'imputato fruiva della riabilitazione in ordine alla sentenza di condanna per esercizio abusivo di una professione e il reato veniva dichiarato estinto ex art. 167 c.p..
Il giudice riteneva altresì di non poter concedere all'imputato la sospensione condizionale in quanto dopo la condanna per esercizio abusivo di una professione veniva condannato per guida in stato di ebbrezza con decreto, con cui l'ammenda era sostituita col lavoro di pubblica utilità, con successiva dichiarazione di estinzione del reato; così operando il giudice applicava nuovamente in maniera erronea l'art. 164 c.p., per come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di disciplina della circolazione stradale la precedente condanna per un reato estinto a seguito del positivo espletamento del lavoro di pubblica utilità non può essere ritenuta causa ostativa al riconoscimento della sospensione condizionale della pena in relazione ad altro reato giudicato separatamente. giudice negava altresì la concessione della sospensione condizionale della pena sulla base del fatto che due anni dopo il reato per cui è processo l'imputato abbia commesso i reati di lesione personale colposa grave e di violazione dell'obbligo di prestare assistenza alle persone ferite in caso di incidente, in relazione ai quali veniva disposta la sospensione del processo con messa alla prova. Anche tale statuizione contrasta con il disposto di cui all'art. 164; la medesima massima sopraindicata afferma in motivazione l'equiparazione dell'estinzione del reato per positivo esito dei lavori di pubblica utilità con quella per superamento della prova ex art. 464-ter c.p. (che pure non prevede la condanna), quindi la non sovrapponibilità anche di quest'ultima con l'ipotesi di cui all'art. 167 c.p..
2.4. Col quarto motivo deduce l'erronea applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 58, comma 2, nonché la contraddittorietà della motivazione; il giudice sulla base della "sfrontata insensibilità ai benefici in precedenza concessi, dimostrata dall'imputato ricadendo più volte nella commissione di reati", riteneva di non poter applicare la sanzione sostitutiva della libertà controllata poiché "egli non adempirebbero le prescrizioni"; tuttavia, così motivando il giudice non applicava correttamente l'art. 58 citato, non avendo tenuto conto di quanto già enunciato nel precedente motivo, in particolare del fatto risultante da casellario giudiziale che il reato di esercizio abusivo di una professione, per il quale veniva concessa la sospensione condizionale, fosse stato dichiarato estinto ex art. 167 c.p. e che quindi l'imputato avesse rispettato le condizioni relative al beneficio; inoltre non considera l'intervenuta estinzione del reato di guida in stato di ebbrezza tramite i lavori di pubblica utilità nonché il fatto che per gli altri delitti di lesione colposa grave e di violazione dell'obbligo di prestare assistenza alle persone ferite fosse stata disposta la sospensione del processo con messa alla prova; sicché il giudice non poteva, alla stregua di tutto quanto osservato, formulare alcuna prognosi negativa sull'adempimento delle prescrizioni relative alla libertà controllata da parte dell'imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Preliminarmente, quanto alla richiesta di rinvio avanzata sul presupposto che, essendo stata già esercitata l'azione penale, a norma dello stesso art. 85 comma 2 disp. trans. D.Lgs. n. ISO/2022, il Giudice avrebbe dovuto informare la persona offesa della facoltà di esercitare il diritto di querela, si osserva che in realtà tale avviso non è più previsto a seguito della modifica di tale disposizione normativa intervenuta con il D.L. n. 162 del 2022 e relativa legge di conversione, con modificazioni, n. 199/2022. In ogni caso nella fattispecie in esame risulta già agli atti la querela - all'epoca - sporta dalla persona offesa.
1.1. Il primo motivo è aspecifico e deduce peraltro aspetti che impingono il fatto. Adduce peraltro circostanze di fatto che non trovano corrispondenza nella ricostruzione svolta nelle conformi pronunce di merito e in particolare in quella della corte di appello, che, nel rispondere alle speculari doglianze già svolte in quella sede, ha chiarito - sgomberando il capo da tutto ciò che implicava valutazioni su aspetti ulteriori ed ultronei - che il reato dovesse ritenersi consumato nel momento in cui la persona offesa fu costretta a fermarsi per avere l'imputato posto in essere la condotta ivi descritta, che fu certamente di ostacolo alla normale prosecuzione del veicolo.
Tale impostazione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il reato in questione è reato istantaneo.
Sicché la circostanza che la persona offesa sia poi riuscita ad allontanarsi inserendo la retromarcia rimane del tutto ininfluente ai fini che occupano dal momento che ciò che rileva è che quando ella fu costretta ad arrestare la marcia e a fermarsi a causa del comportamento dell'imputato - che su una strada a scorrimento veloce le si era parato davanti con la propria macchina - non aveva avuto di certo la possibilità di effettuare uno scarto di direzione per superare l'impasse creato dal veicolo dell'imputato, perché una siffatta manovra avrebbe potuto mettere a repentaglio la propria come l'altrui incolumità.
Ed invero, come ha già avuto modo di affermare questa Corte, non esclude la configurabilità del delitto di violenza privata, di cui all'art. 610 c.p., il fatto che con una manovra di retromarcia più o meno complessa la persona offesa possa riprendere la marcia, dopo che la propria autovettura sia stata costretta a fermarsi, affiancata e sopravanzata da altro autoveicolo posto dal conducente di traverso rispetto al flusso della circolazione. Infatti, il delitto di violenza privata, che è reato istantaneo, deve considerarsi consumato nel momento stesso della coartazione all'arresto, poiché è irrilevante che gli effetti dell'imposizione si siano protratti nel tempo e che la vittima possa successivamente eliminarli (Sez. 5, n. 10834 del 06/04/1988, Rv. 179650 - 01).
1.2. Il secondo motivo è inedito, non risultando oggetto di richiesta in appello l'applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, chiesta solo col ricorso in scrutinio, applicazione che, a differenza di quanto assume il ricorrente, non è operabile di ufficio da parte di questa Corte.
Ne’ potrebbe assumere rilievo, nel presente caso specifico, il nuovo criterio valutativo afferente la condotta susseguente al reato - introdotto dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, art. 1, comma 1, lett. c) realizzato in attuazione della Legge Delega 27 settembre 2021, n. 134, ed entrato in vigore nella pendenza del ricorso per cassazione in scrutinio, in virtù del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, art. 6 (c.d. decreto rave), convertito in legge dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, che inserendo nel D.Lgs., n. 150 del 2022 il nuovo art. 99-bis, ha differito dal 1 novembre 2022 al 30 dicembre 2022 l'entrata in vigore dell'intera riforma. Sebbene tale criterio costituisca un novum sostanziale idoneo ad incidere sulla qualificazione del fatto e sulla sua punibilità, anche a fronte di ricorso che come nel caso in esame - è inammissibile (cfr. Sezioni Unite n. 13681 del 25 febbraio 2016, Tushaj, Rv. 266594) in quanto sopravvenuto rispetto alla proposizione del ricorso, deve escludersi che nel caso in esame trovi spazio tale nuovo criterio valutativo. Alcun rilievo positivo in ordine alla condotta successiva al reato è invero rinvenibile nelle conformi pronunce di merito - chè anzi in quella di secondo grado si rappresenta piuttosto come i comportamenti tenuti dall'imputato dopo il fatto integrassero altri reati (minacce ed eventualmente danneggiamento dal momento che egli, una volta bloccata la persona offesa aveva insultato e minacciato la stessa mentre prendeva a calci e pugni la sua autovettura) ne’ esso è stato svolto dalla difesa - la quale pur presentando istanza tesa ad ottenere alla luce della stessa riforma Cartabia il rinvio per consentire alla persona offesa di presentare la querela, nulla ha osservato - pur potendolo ancora fare perché ancora in termini per una presentazione di motivi aggiunti - circa eventuali atteggiamenti positivi tenuti dall'imputato (ne’ ad essi faceva cenno in sede di discussione orale); tutto ciò a conferma della insussistenza di un profilo positivo in tal senso valorizzabile nel caso in scrutinio.
1.3. Quanto alla reclamata sospensione condizionale della pena vale la pena di osservare, preliminarmente, che la questione era stata formulato in maniera del tutto aspecifica già in appello, ove si affermava genericamente che ai fini del riconoscimento della sospensione condizionale della pena occorre fare riferimento a tutti i criteri soggettivi ed oggettivi di cui all'art. 133 c.p., per poi limitarsi ad evidenziare che l'esistenza di sole due condanne - una delle quali risalente al 1977 - non fosse sufficiente ai fini di una prognosi negativa.
In ogni caso va osservato che le ragioni indicate nel motivo in scrutinio sono state del tutto mal poste avendo la corte di appello rigettato la richiesta di riconoscimento della sospensione condizionale della pena non già perché le pene di cui alle due sentenze indicate, quella relativa al reato di abusivo esercizio della professione rispetto al quale era stata già concessa la pena sospesa e quella inflitta nel presente procedimento, nel loro complesso, superassero gli anni due, quanto piuttosto perché all'esito della valutazione svolta ha ritenuto di non poter formulare una prognosi positiva in ordine al futuro comportamento dell'imputato. E ciò in buona sostanza, la corte, ha argomentato soprattutto sulla base del fatto che - di là delle intervenute estinzioni dei reati rispettivamente ex art. 167 c.p.p. e per lo svolgimento di lavoro di pubblica utilità - emergesse come l'imputato avesse fatto clamoroso malgoverno della fiducia ripetutamente accordatagli dal giudice (concedendogli dapprima la sospensione condizionale della pena e poi la sostituzione della pena col lavoro di pubblica utilità), avendo ciò nonostante posto poi in essere l'ulteriore reato di lesione colposa grave e di violazione dell'obbligo di prestare assistenza alle persone ferite (rispetto al quale evidentemente non rileva la circostanza della intervenuta ammissione alla messa alla prova di cui pure ha fatto cenno la corte di appello, rimanendo in ogni caso il dato della commissione di ben altri due reati, dopo due anni dalla perpetrazione di quello per cui è processo).
Tale impostazione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte che ha, condivisibilmente, affermato che, ad esempio, in tema di patteggiamento, l'avvenuta estinzione del reato, dichiarata in relazione a sentenza di applicazione di pena pecuniaria o di sanzione sostitutiva condizionalmente sospesa, non è ostativa al successivo rigetto della richiesta di sospensione condizionale, in quanto l'art. 445 c.p.p., comma 2, non esclude che il giudice possa tener conto di tale precedente, motivando specificamente perché, in concreto, tale pronuncia offra elementi rilevanti ai fini di un negativo giudizio prognostico (cfr. Sez. 6, n. 46400 del 13/09/2017, Rv. 271389 - 01; Sez. 3, n. 43095 del 12/10/2021, Rv. 282377 - 01); allo stesso modo l'art. 167 c.p. - al pari dell'art. 464-septies c.p.p. e dell'art. 186 C.d.S., comma 9-bis, - non prevede che l'estinzione del reato precluda al giudice di poter tener conto di tale precedente ai fini della prognosi in questione (lo stesso dicasi, quindi, in relazione all'ipotesi dell'estinzione del reato in esito allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità).
Nè tale prognosi potrebbe essere posta in discussione alla stregua dei rilievi posti in ricorso che ruotano sempre intorno a circostanze evidentemente non ritenute decisive dalla corte di appello.
D'altronde, in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice può fondare, in modo esclusivo o prevalente, il giudizio prognostico negativo circa la futura astensione del soggetto dalla commissione di nuovi reati sulla capacità a delinquere dell'imputato, desumendola ad esempio - anche - da precedenti giudiziari non definitivi (Sez. 3, n. 18386 del 19/03/2021 Ud. (dep. 12/05/2021) Rv. 281296 - 01 Sez. 3, n. 44458 del 30/09/2015, Rv. 265613 - 01).
1.4. Con riferimento alla prognosi svolta dalla corte di appello in relazione all'applicazione della sanzione sostitutiva non possono che valere gli argomenti già sopra esposti a proposito della negata sospensione condizionale della pena che hanno parimenti indotto il giudice a non ritenere affidabile l'imputato sotto il profilo dell'adempimento delle prescrizioni della sanzione sostitutiva richiesta (libertà controllata).
Anche tale impostazione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte che ha più volte avuto modo di affermare che la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice e che la prognosi di inadempimento, ostativa alla sostituzione in forza della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 58, comma 2, si riferisce - soltanto - alle pene sostitutive di quella detentiva accompagnate da prescrizioni, ossia alla semidetenzione e alla libertà controllata (Sez. 4, n. 37533 del 09/06/2021, Rv. 281928 - 01), rispetto alle quali si rende dunque necessaria la prognosi.
2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2023.
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