Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Civile, Sezione sesta, ordinanza n. 5680 del 23 febbraio 2023
Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, ordinanza numero 5680 del 23/02/2023
Circolazione Stradale - Artt. 187 e 193 del Codice della Strada - Guida in stato di alterazione psico fisica per uso di sostanze stupefacenti - Incidente stradale - istituti della rivalsa dell’assicuratore - La sola positività dell’esame delle urine in relazione all’assunzione di sostanze cannabinoidi non vale a comprovare con certezza che il conducente si trovasse, al momento del sinistro, in stato di alterazione psico fisica determinato dall’assunzione di sostanze stupefacenti con la conseguente mancata integrazione dei presupposti di fatto indispensabili ai fini dell’operatività della previsione di polizza suscettibile di legittimare l’azione di rivalsa della compagnia assicurativa nei confronti dell’assicurato responsabile del sinistro.
RILEVATO CHE
con sentenza resa in data 5/7/2021 (n. 4899/2021), la Corte d’appello di (Omissis), in accoglimento dell’appello proposto da (Soggetto 1) e in parziale riforma della decisione di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha accertato l’inesistenza del diritto della (Soggetto 2 Ass.ni) s.p.a. ad agire in via di rivalsa nei confronti del (Soggetto 1) per il recupero delle somme corrisposte dalla medesima compagnia assicuratrice in favore di terzi rimasti danneggiati a seguito del sinistro stradale dedotto in giudizio; sinistro del quale il (Soggetto 1) (assicurato dalla (Soggetto 2 Ass.ni) s.p.a. per la responsabilità civile verso terzi) era stato individuato quale unico ed esclusivo responsabile;
a fondamento della decisione assunta, in contrasto con quanto ritenuto dal primo giudice, la corte territoriale ha evidenziato il mancato raggiungimento, nel caso di specie, di alcuna prova certa che il (Soggetto 1), al momento del sinistro, si trovasse alla guida in stato di alterazione psicofisica determinato dall’assunzione di sostanze stupefacenti; circostanza, quest’ultima, che, secondo le revisioni di polizza, avrebbe legittimato la (Soggetto 2 Ass.ni) s.p.a. ad agire in via di rivalsa nei confronti dell’assicurato;
in particolare, la corte territoriale ha sottolineato come la sentenza di condanna pronunciata in sede penale a carico del (Soggetto 1) in relazione (anche) al reato di cui all’art. 187 c.d.s., oltre a non spiegare alcuna efficacia di giudicato nel caso di specie (trattandosi di sentenza di primo grado impugnata in appello), era stata emessa sulla base della sola documentazione dei risultati dell’esame delle urine condotto sulla persona del (Soggetto 1) immediatamente dopo il sinistro, con la conseguenza che la sola circostanza della positività in ordine all’assunzione di sostanze cannabinoidi non era valsa a comprovare con certezza che il (Soggetto 1) si trovasse, al momento del sinistro, in stato di alterazione determinato dall’assunzione di sostanze stupefacenti, atteso che l’esito di quell’esame avrebbe unicamente dimostrato che, nei giorni precedenti al sinistro, il (Soggetto 1) aveva fatto uso di sostanze stupefacenti, senza assicurare alcuna certezza circa l’eventuale stato di alterazione psicofisica dello stesso al momento della guida, con la conseguente mancata integrazione dei presupposti di fatto indispensabili ai fini dell’operatività della previsione di polizza suscettibile di legittimare l’azione di rivalsa della (Soggetto 2 Ass.ni) s.p.a. nei confronti dell’assicurato responsabile del sinistro;
avverso la sentenza d’appello, la (Soggetto 2 Ass.ni) s.p.a. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi di impugnazione;
(Soggetto 1) resiste con controricorso;
a seguito della fissazione della camera di consiglio, la causa è stata trattenuta in decisione all’odierna adunanza camerale, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.;
la (Soggetto 2 Ass.ni) s.p.a. ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1362 e segg. c.c. (e dei principi e delle norme che disciplinano l’interpretazione del contratto e delle clausole dello stesso); dell’art. 11 lett. e) della polizza di assicurazione stipulata tra le parti (e dei principi e delle norme che regolano gli istituti della rivalsa e i presupposti contrattuali della stessa); nonché dell’art. 187 n. 8 del codice della strada (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare come la circostanza della guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti da parte del (Soggetto 1) al momento del sinistro risultasse in maniera incontrovertibile dall’esito degli esami delle urine effettuati presso l’Ospedale di Tivoli poche ore dopo il fatto (elementi sulla base dei quali era stata successivamente pronunciata la condanna dello stesso (Soggetto 1) per il reato di cui all’art. 589 c.p. in relazione agli artt. 141, 142, 143 e 187 c.d.s.), e per avere erroneamente ritenuto che l’effettiva commissione del reato di cui agli artt. 186 e 187 c.d.s. (e quindi la ricorrenza della relativa ipotesi di reato) fosse requisito essenziale ai fini dell’esercizio della rivalsa nei confronti dell’assicurato, atteso che, secondo le previsioni di polizza, la rivalsa dell’assicuratore risultava in ogni caso consentita, in via alternativa: 1) nel caso in cui il veicolo danneggiante fosse stato condotto da persona in stato di ebrezza, oppure 2) sotto l’influenza di sostanze stupefacenti o psicotrope, oppure 3) da persona alla quale fosse stata applicata la sanzione di cui agli artt. 186 n. 7 e 187 n. 8 c.d.s.;
ciò posto, a prescindere dalla circostanza dell’avvenuta integrazione dei presupposti per il reato di cui all’art. 187 c.d.s., sulla base del disposto contrattuale, doveva ritenersi sufficiente, ai fini della legittimazione all’esercizio della rivalsa, la sola circostanza – nella specie, pienamente comprovata – che il (Soggetto 1) fosse stato còlto, al momento del sinistro, in stato di alterazione determinato dall’assunzione di sostanze stupefacenti;
il motivo è inammissibile;
dev’essere preliminarmente disattesa la censura avanzata dalla società ricorrente con riguardo alla pretesa violazione degli artt. 1362 e seguenti c.c.;
secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione degli atti negoziali deve ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità unicamente nei limiti consentiti dal testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c., ovvero nei casi di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.;
in tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata chiede d’essere necessariamente dedotta con la specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sia discostato dai suddetti canoni, traducendosi altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti, in una mera proposta reinterpretativa in dissenso rispetto all’interpretazione censurata; operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 17427 del 18/11/2003, Rv. 568253);
nel caso di specie, l’odierna società ricorrente si è limitata ad affermare, in modo inammissibilmente apodittico, la pretesa violazione, da parte del giudice a quo, dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, orientando l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della corte territoriale, non già attraverso la prospettazione di un’obiettiva e inaccettabile contrarietà, a quello comune, del senso attribuito ai testi e ai comportamenti negoziali interpretati, o della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell’interpretazione complessiva dell’atto (così come della rilevabilità ictu oculi di un’interpretazione contraria a buona fede o del tutto sconveniente, rispetto alla natura o all’oggetto del contratto), bensì attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilità della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge (ex art. 360, n. 3, c.p.c.) attraverso la sollecitazione della corte di legittimità alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito;
sul punto, è appena il caso di rilevare come la corte territoriale abbia proceduto alla lettura e all’interpretazione delle dichiarazioni negoziali in esame nel pieno rispetto dei canoni di ermeneutica fissati dal legislatore, non ricorrendo ad alcuna attribuzione di significati estranei al comune contenuto semantico delle parole, né spingendosi a una ricostruzione del significato complessivo dell’atto negoziale in termini di palese irrazionalità o intima contraddittorietà (sulla base di un’ipotetica lettura macroscopicamente contraria ai canoni della buona fede o della convenienza oggettiva), per tale via giungendo alla ricognizione di un contenuto negoziale sufficientemente congruo, rispetto al testo interpretato, sì da sfuggire integralmente alle odierne censure avanzate dalla ricorrente in questa sede di legittimità;
varrà peraltro evidenziare come, nella misura in cui la società ricorrente ha denunciato l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto che l’effettiva commissione del reato di cui agli artt. 186 e 187 c.d.s. (e quindi la ricorrenza della relativa ipotesi di reato) costituisse un requisito essenziale ai fini dell’esercizio della rivalsa nei confronti dell’assicurato, la stessa dimostra di non aver còlto con esattezza la ratio della decisione impugnata, atteso che il giudice a quo (lungi dal ritenere indispensabile, ai fini dell’esercizio della rivalsa, il ricorso di quella condanna, o comunque dei presupposti stabiliti dall’art. 187 c.d.s.) si è unicamente limitato ad escludere l’avvenuta dimostrazione, sul piano probatorio, che il (Soggetto 1), in occasione del sinistro, fosse stato còlto in stato di alterazione psicofisica determinata dall’assunzione di sostanze stupefacenti, con la conseguente mancata integrazione dei presupposti indispensabili ai fini della legittimazione della (Soggetto 2 Ass.ni) s.p.a. all’esercizio della rivalsa, essendo mancata la prova, tanto della guida in stato di ebrezza o in stato di alterazione determinato dall’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, quanto dell’avvenuta applicazione (definitiva) delle sanzioni di cui agli artt. 186 n. 7 e 187 n. 8 c.d.s. (secondo il testo dell’art. 11 lett. e) delle condizioni di polizza, riportato alla pag. 12 del ricorso, che prevede le ipotesi di legittimazione alla rivalsa dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato);
a tale ultimo riguardo, varrà considerare come ogni questione eventualmente concernente la dimostrazione di fatti rilevanti ai fini della decisione dell’odierna controversia, in quanto sollevata per la prima volta in questa sede con la memoria da ultimo depositata dalla società ricorrente, deve ritenersi nuova e, come tale, non ammissibilmente affrontabile in sede di legittimità in assenza di alcuna specifica indicazione circa il momento o la fase del processo in cui tale questione sarebbe stata concretamente e tempestivamente sollevata dalla parte interessata;
dev’essere infine rilevata l’inammissibilità della censura concernente la pretesa erroneità della sentenza impugnata per aver omesso di rilevare come la circostanza della guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti da parte del (Soggetto 1), al momento del sinistro, risultasse in maniera incontrovertibile dall’esito degli esami delle urine effettuati presso l’Ospedale di Tivoli poche ore dopo il fatto;
con tale doglianza, infatti, la società ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – si è unicamente limitata ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa (lo stato di alterazione o meno del (Soggetto 1) al momento del sinistro): operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l'aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in se' incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;
nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna società ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale dell’esito dell’esame delle urine eseguito sulla persona del (Soggetto 1) in relazione alla circostanza del suo stato di alterazione al momento del fatto;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
con il secondo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione falsa applicazione dell’art. 166 c.p.c. e dei principi e norme che regolano la valutazione delle prove (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che la sentenza penale di condanna pronunciata nei confronti del (Soggetto 1) fosse stata impugnata in sede di appello, senza tuttavia che l’interessato avesse mai prodotto in giudizio, né l’atto d’appello, né la certificazione di pendenza, né la sentenza del giudice eventualmente investito del gravame, con la conseguenza che la corte territoriale non poteva disporre di alcun elemento certo per ritenere che la sentenza penale di condanna del (Soggetto 1) fosse stata effettivamente impugnate o che la stessa non fosse comunque medio tempore passata in giudicato, con ogni conseguenza in punto di efficacia ex art. 651 c.p.p.;
peraltro, pur quando la sentenza di condanna pronunciata dal giudice di primo grado dal giudice penale di primo grado non fosse passata in giudicato, la stessa avrebbe potuto essere utilizzata quale elemento di prova ai fini del riscontro dello stato di alterazione del (Soggetto 1), viceversa del tutto trascurata dal giudice a quo;
il motivo è, nel suo complesso, manifestamente infondato;
osserva in primo luogo il Collegio come la dimostrazione dell’effettivo passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna del (Soggetto 1), nella misura in cui sarebbe valsa a integrare il ricorso di uno degli elementi costitutivi della fattispecie contrattuale di legittimazione all’esercizio della rivalsa da parte della (Soggetto 2 Ass.ni) s.p.a., necessariamente apparteneva all’ambito degli oneri probatori incombenti su quest’ultima, atteso che solo attraverso la prova della definitiva applicazione, a carico dell’assicurato, delle sanzioni previste dagli artt. 186 n. 7 e 187 n. 8 e c.d.s. (secondo quanto disposto dall’art. 11 lett. e) delle condizioni di polizza), l’assicurazione avrebbe potuto agire in rivalsa nei confronti del (Soggetto 1);
del tutto impropriamente, pertanto, l’odierna società ricorrente ha contestato la mancata dimostrazione, ad opera di controparte, dell’avvenuta impugnazione di tale decisione del giudice penale;
dev’essere, infine, rilevata l’inammissibilità della censura concernente la pretesa erroneità della decisione impugnata per aver omesso di utilizzare la sentenza penale di condanna pronunciata in primo grado a carico del (Soggetto 1) (pur se non passata in giudicato) quale elemento di prova ai fini del riscontro dello stato di alterazione dello stesso;
osserva il Collegio come, attraverso tale censura, la ricorrente si sia inammissibilmente spinta a prospettare la rinnovazione, in questa sede di legittimità, del riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, come tale sottratto alle prerogative della Corte di cassazione;
deve qui, infatti, ribadirsi il principio secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non già il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della congruità della coerenza logica, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 331 del 13/01/2020, Rv. 656802 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 27197 del 16/12/2011, Rv. 620709);
nella specie, la corte d’appello ha ritenuto, sulla base di un ragionamento pienamente coerente sul piano logico e del tutto corretto in termini giuridici, come la sola positività dell’esame delle urine in relazione all’assunzione di sostanze cannabinoidi non valesse a comprovare con certezza che il (Soggetto 1) si trovasse, al momento del sinistro, in stato di alterazione determinato dall’assunzione di sostanze stupefacenti, atteso che l’esito di quell’esame avrebbe al più dimostrato unicamente che, nei giorni precedenti al sinistro, il (Soggetto 1) aveva fatto uso di sostanze stupefacenti, senza assicurare alcuna certezza circa l’eventuale stato di alterazione psicofisica dello stesso al momento della guida, con la conseguente mancata integrazione dei presupposti di fatto indispensabili ai fini dell’operatività della previsione di polizza suscettibile di legittimare l’azione di rivalsa della (Soggetto 2 Ass.ni) s.p.a. nei confronti dell’assicurato responsabile del sinistro;
si tratta di considerazioni che il giudice d’appello ha elaborato, nell’esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e di congruità dell’argomentazione, immuni da vizi d’indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dalla società ricorrente;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, dev'essere pronunciato il rigetto del ricorso, oltre alla condanna della società ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;
dev’essere, infine, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell'art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate complessivamente nell’importo di euro 11.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell'art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma il 6 dicembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2023.
DISCLAMER: Il testo della presente sentenza o odinanza non riveste carattere di ufficialità e non sostituisce in alcun modo la versione pubblicata dagli organismi ufficiali. Vietata la riproduzione, anche parziale, del presente contenuto senza la preventiva autorizzazione degli amministratori del portale.