Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Civile, Sezione terza, ordinanza n. 23886 del 4 agosto 2023

 

Corte di Cassazione Civile, Sezione III, ordinanza numero 23886 del 04/08/2023
Circolazione Stradale - Artt. 141, 142 e 143 del Codice della Strada - Incidente stradale - Ostacolo imprevisto - Velocità - Manovre di emergenza - Invasione dell'opposta corsia di marcia - Ai fini dell'esclusione della responsabilità in un sinistro stradale, dimostrare la presenza dell'ostacolo imprevisto sulla sede stradale, motivo dell'invasione dell'opposta corsia di marcia, risulta superfluo allorquando il conducente del veicolo proceda ad una velocità superiore al limite consentito, dal momento che una velocità più moderata e rispettosa del limite gli avrebbe consentito di far fronte in sicurezza a quell'ostacolo imprevisto.


RITENUTO IN FATTO

1. Il 1 gennaio 2009 (Soggetto 1) perse la vita in conseguenza di un sinistro stradale.

Nel 2011 i prossimi congiunti della vittima convennero dinanzi al Tribunale di (Omissis) (Soggetto 2) ed il suo assicuratore della responsabilità civile, la società (Soggetto 3) Assicurazioni (che in seguito muterà ragione sociale in (Soggetto 4) [assicurazioni] s.p.a.), chiedendone la condanna al risarcimento del danno.

Gli attori allegarono che il sinistro andava ascritto a responsabilità esclusiva di (Soggetto 2), per avere invaso l'opposta corsia di marcia a velocità eccessiva, ed investito frontalmente il mezzo condotto dalla vittima.

2. Con sentenza 18 febbraio 2015 n. 1040 il Tribunale di (Omissis) accolse la domanda.

La sentenza fu appellata da (Soggetto 2).

3. Con sentenza 28 febbraio 2020 n. 350 la Corte d'appello di Palermo rigettò il gravame.

La Corte d'appello ritenne che:

-) correttamente il giudice di primo grado aveva rigettato le richieste istruttorie del convenuto, in quanto in parte valutative ed in parte irrilevanti;

-) le prove raccolte evidenziavano la responsabilità esclusiva del convenuto;

-) al momento del sinistro (Soggetto 2) era coperto da una polizza il cui massimale non era di un milione di Euro, come preteso dall'assicurato, ma soltanto di Euro 774.685,35;

-) la liquidazione del danno compiuta dal Tribunale era stata corretta.

4. La sentenza d'appello è stata impugnata per Cassazione da (Soggetto 2) con ricorso fondato su sei motivi.

La (Soggetto 4) [assicurazioni] ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Col primo motivo il ricorrente, formalmente prospettando il vizio di "mancata o insufficienza motivazione della sentenza impugnata e omesso esame circa un fatto decisivo", censura la sentenza d'appello nella parte in cui ha rigettato le sue istanze istruttorie.

Spiega di aver richiesto di provare per testimoni che lo sbandamento del proprio veicolo e l'invasione della opposta corsia furono dovuti alla necessità di evitare un cane randagio che gli si era parato imprevedibilmente dinanzi; che tale circostanza, se dimostrata, era sufficiente ad escludere la sua responsabilità; che la Corte d'appello aveva rigettato tale istanza (anche) in base al rilievo che dal rapporto della polizia non risultava la presenza di testimoni, trascurando di considerare che al momento dell'arrivo della polizia il testimone stava trasportando il convenuto in ospedale.

1.1. Il motivo è inammissibile perché privo di decisività.

La Corte d'appello infatti ha rigettato il gravame proposto da (Soggetto 2) sul presupposto che questi, procedendo ad una velocità di 75 km/h in un tratto di strada ove vigeva il limite di 50 km/h, si pose colposamente nelle condizioni di "non poter arrestare tempestivamente il veicolo anche in ipotesi di presenza di ostacoli (come da egli riferito: cioè attraversamento improvviso di un cane) (...), ovvero di porre in essere in sicurezza manovre di emergenza, di guisa da non potersi dire integrato il fortuito".

Il senso del passo che precede è inequivoco: secondo la Corte d'appello, anche se fosse vero che (Soggetto 2) invase l'opposta corsia di marcia per evitare un cane, ciò non ne escluderebbe la responsabilità, dal momento che una velocità più moderata e rispettosa del limite gli avrebbe consentito di far fronte in sicurezza a quell'ostacolo imprevisto.

La Corte d'appello ha dunque ritenuto inutile provare la circostanza della presenza d'un animale sulla pubblica via, con la conseguenza che la motivazione non può dirsi ne insufficiente, ne’ mancante.

Lo stabilire, poi, se davvero una velocità più moderata avrebbe consentito di evitare il sinistro, e di conseguenza se davvero era inutile nel caso di specie raccogliere la prova testimoniale richiesta dal convenuto, è questione di fatto riservata al giudice di merito, e non sindacabile da questa Corte.

2. Col secondo motivo il ricorrente prospetta, congiuntamente, sia il vizio di violazione di legge (è denunciata la violazione dell'art. 2700 c.c.; artt. 115 e 116 c.p.c.), sia l'errore di fatto.

Al di là di là tale intitolazione, nell'illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d'appello avrebbe erroneamente valutato gli elementi di prova, in quanto:

-) ha considerato attendibile la ricostruzione dell'evento contenuta nel rapporto della polizia municipale;

-) non ha tenuto in debito conto le dichiarazioni rese dall'odierno ricorrente nell'immediatezza del fatto;

-) ha erroneamente ritenuto che nessun testimone fosse presente all'accaduto;

-) ha erroneamente ritenuto irrilevanti le prove articolate dall'odierno ricorrente;

-) ha utilizzato ai fini del decidere gli atti compiuti nel corso delle indagini penali.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Stabilire quale sia stata la causa e la dinamica d'un sinistro stradale è un accertamento di fatto, non una valutazione in diritto.

Essa, pertanto, è riservata al giudice di merito, e tutte le censure contenute in questo secondo motivo di ricorso altro non sono che una richiesta di valutare ex novo le prove raccolte in primo grado.

Ma una censura di questo tipo cozza contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 7/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 6/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant'anni: e cioè che "la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione").

Va pure evidenziato che la Corte di merito ha precisato, richiamando pertinente giurisprudenza di legittimità che questo Collegio condivide, che l'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuto in sua presenza e che i verbali, per la loro natura di atto pubblico, presentano pur sempre un'attendibilità estrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria (v. p. 4 della sentenza) sicché l'affermazione che segue della medesima Corte in relazione alla piena prova fino a querela di falso del verbale redatto dalla P.M. "secondo quanto statuito dalla predetta giurisprudenza di legittimità" va intesa nei limiti precisati e a tanto si è attenuta la Corte territoriale nel valutare gli elementi istruttori acquisiti (v. sentenza impugnata p. 7 e 8), sicché sono da disattendere le doglianze avanzate a tale riguardo.

3. Col terzo motivo il ricorrente prospetta la violazione dell'art. 2054 c.c..

Nell'illustrazione del motivo si sostiene che tale norma sarebbe stata violata perché la Corte d'appello si sarebbe limitata ad accertare l'esistenza di una condotta colposa da parte di (Soggetto 2), senza tuttavia accertare se anche l'altro conducente avesse fatto tutto il possibile per evitare il sinistro.

3.1. Il motivo è inammissibile.

La Corte d'appello ha infatti accertato che il veicolo condotto dalla vittima viaggiava alla velocità di 30 km/h (inferiore al limite ivi vigente), all'interno della propria corsia. Da tali elementi di fatto ha all'evidenza tratto la conclusione che nessuna responsabilità, nemmeno concorsuale, potesse ascriversi alla vittima: ed anche questo è un accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità.

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 445 c.p.p. e art. 2729 c.c..

Sostiene il ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe erronea nella parte in cui ha basato la propria decisione sulla sentenza di condanna per omicidio colposo, pronunciata a carico di (Soggetto 2) ai sensi dell'art. 444 c.p.p..

Deduce che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti non può avere alcuna efficacia nel giudizio civile di danno, ne’ essa può considerarsi una ammissione di colpa.

4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto muove da un erroneo presupposto interpretativo della sentenza impugnata.

Quest'ultima, infatti, non ha affatto fondato la propria decisione esclusivamente sulla sentenza di patteggiamento, ma ha valutato complessivamente tutte le fonti di prova disponibili.

5. Col quinto motivo il ricorrente prospetta il vizio di "insufficiente motivazione della sentenza in tema di valutazione delle risultanze istruttorie".

Al di là di tale intitolazione, il motivo investe la sentenza d'appello nella parte in cui ha ritenuto che il contratto di assicurazione stipulato dall'odierno ricorrente, e vigente al momento del sinistro, prevedeva un massimale di Euro 774.000. e non di un milione di Euro.

5.1. Anche questo motivo è inammissibile, in quanto investe la valutazione delle prove, ed in particolare il giudizio con cui la Corte d'appello ha stabilito quale, fra le due copie del medesimo contratto depositate rispettivamente dall'assicuratore e dall'assicurato, dovesse ritenersi prevalente.

6. Col sesto motivo il ricorrente prospetta il vizio di "omessa, erronea o insufficiente motivazione".

Nella illustrazione del motivo vengono accomunate plurime e differenti censure: non avere la Corte d'appello accolto le richieste istruttorie volte a contestare la perizia eseguita su incarico del Pubblico Ministero, ed utilizzata dal Tribunale come principale fonte di prova; non avere la Corte d'appello còlto varie incongruenze contenute nella suddetta relazione, dimostrative di un concorso colposo della vittima, consistito nel non avere tenuto rigorosamente la destra; avere la Corte d'appello condiviso una consulenza erronea nella parte in cui aveva determinato la massa dei veicoli e, in base ad essa, la velocità presunta degli stessi.

Tutto ciò, secondo il ricorrente, si è tradotto in una motivazione "apparente ed incomprensibile".

6.1. Il motivo è manifestamente inammissibile, per le ragioni già indicate al p. 2.1 che precede. Esso, infatti, investe la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti.

7. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

La

Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna (Soggetto 2) alla rifusione in favore di (Soggetto 4) [assicurazioni] Spa delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 7.600, oltre 200 per esborsi, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 23 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2023.

 

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