Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Civile, Sezione terza, ordinanza n. 16603 del 12 giugno 2023

 

Corte di Cassazione Civile, Sezione III, sentenza numero 16603 del 12/06/2023
Circolazione Stradale - Artt. 142 e 193 del Codice della Strada - Sinistro stradale - Violazioni - Contributo causale all'evento - Automatismo - Insussistenza - L'equazione "sanzione più alta per eccesso di velocità equivale a maggiore gravità dell'infrazione sotto il profilo del contributo causale all'evento" presuppone un insussistente automatismo tra misura astratta della sanzione e verifica in concreto del contributo causale. E' l'accertamento concreto quello che conta: è ben possibile che un'infrazione in astratto di minor gravità secondo il codice della strada assuma un peso decisivo, e più rilevante, nella dinamica di uno specifico incidente stradale.


FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato in data 19 marzo 2012 (Omissis) e la M. Assicurazioni Spa , chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni, iure proprio e iure hereditatis subiti in conseguenza del sinistro occorso in data 4 gennaio 2004, allorquando l'autovettura sulla quale il padre degli istanti viaggiava come trasportato, di proprietà e condotta dalla moglie, (Soggetto 6), nell'attraversare un incrocio, entrava in collisione con l'autovettura che sopraggiungeva da destra, condotta da (Soggetto 2) e di proprietà di (Soggetto 3), assicurata per la r.c.a. dalla M. Ass.ni Spa , derivandone al suddetto loro congiunto gravissime lesioni che, dopo sedici mesi di coma, lo conducevano alla morte.

Costituendosi in giudizio (Soggetto 6) proponeva domanda riconvenzionale (in senso improprio o trasversale) per la condanna dei (Soggetto 7) e della M. Ass.ni e/o di A. (Ass.ni) Spa al risarcimento dei danni da essa stessa direttamente subiti in conseguenza del sinistro, nonché di quelli iure proprio e iure hereditatis subiti in conseguenza della morte del coniuge.

2. Con sentenza n. 2004 del 29 luglio 2016 il Tribunale, ritenuta preliminarmente l'inapplicabilità dell'art. 141 cod. ass. trattandosi di sinistro verificatosi anteriormente alla sua entrata in vigore, e imputato il sinistro a colpa concorrente della (Soggetto 6), nella percentuale del 70%, e del (Soggetto 7), per il 30%, rigettò le domande degli attori ritenendo satisfattivi gli acconti da essi già ricevuti ante causam e accolse invece, per quanto di ragione, la domanda della (Soggetto 6).

3. Interposero gravami:

a) (Soggetto 1) nonché + Altri (Omessi), dolendosi: della ritenuta inammissibilità della domanda diretta ex art. 141 cod. ass. (secondo gli appellanti norma di diritto processuale, come tale applicabile alle azioni introdotte dopo la sua entrata in vigore, ancorché riferite a fatti anteriori); della erronea liquidazione dei danni patrimoniali per spese di assistenza; della mancata liquidazione delle spese legali affrontate ante causam; della riduttiva liquidazione del danno non patrimoniale sofferto iure proprio per la morte del padre; della mancata liquidazione del danno tanatologico e di quello c.d. catastrofale; della riduttiva liquidazione del danno biologico terminale; del mancato riconoscimento di rivalutazione e interessi compensativi;

b) (Soggetto 6) dolendosi: della errata ripartizione della responsabilità del sinistro, essendo questa, in thesi, da ascriversi principalmente alla condotta del (Soggetto 7) che, nell'occorso, procedeva ad una velocità doppia rispetto a quella consentita; della mancata o riduttiva liquidazione delle voci di danno non patrimoniale già investite dall'altro appello; nonché della erronea decurtazione della quota del risarcimento ad essa spettante iure hereditatis, trattandosi di danno ai fini della cui liquidazione non poteva assumere rilievo il suo concorso di colpa.

4. Con sentenza n. 1428 depositata il 3 aprile 2019 la Corte d'appello di Venezia ha rigettato il primo appello e parzialmente accolto il secondo.

Ha infatti ritenuto, nell'ordine:

i) correttamente esclusa l'applicabilità alla fattispecie dell'art. 141 cod. ass.;

ii) non configurare danno risarcibile le spese per assistenza della vittima primaria, trattandosi di attività che "rientra nel dovere di assistenza che lega i genitori ai propri figli";

iii) corretta la liquidazione delle spese legali sostenute ante causam;

iv) corretta altresì la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale in quanto, sebbene operata sulla base delle tabelle del Tribunale di Venezia, è risultata corrispondente negli esiti alla quantificazione che si sarebbe ottenuta sulla base di quelle c.d. milanesi;

v) corretta l'esclusione del c.d. danno tanatologico e di quello catastrofale in assenza di prova della sussistenza di uno stato di coscienza della vittima primaria nel "breve" intervallo tra il sinistro e la morte;

vi) infondate le doglianze in punto di liquidazione del danno biologico sofferto dalla vittima primaria, operata sulla base degli importi riconosciuti, per ciascun giorno di invalidità, dalle tabelle di Milano;

vii) corretta la liquidazione del danno biologico sofferto dalla (Soggetto 6);

viii) fondato, invece, il "comune motivo di gravame relativo al mancato riconoscimento degli interessi compensativi", ma tuttavia inidoneo a determinare l'accoglimento dell'appello proposto da (Soggetto 1) e dagli eredi di (Soggetto 8), risultando comunque ancora satisfattivi, pur computando detti interessi, l'acconto ad essi già corrisposto;

ix) fondato altresì il motivo d'appello con cui la (Soggetto 6) contestava l'operata decurtazione, per il suo concorso di colpa nella causazione del sinistro, dell'importo risarcitorio liquidato pro quota in suo favore, in relazione al danno non patrimoniale subito dalla vittima primaria e da essa dedotto iure hereditatis.

5. Avverso tale sentenza (Soggetto 1), + Altri Omessi, gli altri nelle già spiegate qualità, i primi tre inoltre anche quali eredi di (Soggetto 6), propongono ricorso per cassazione articolando sei motivi, cui resistono la U.S. Ass.ni Spa e la A. (Ass.ni) Spa , depositando controricorsi.

Gli altri intimati non svolgono difese nella presente sede.

6. Il P.M. ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.

I ricorrenti e la controricorrente A. (Ass.ni) hanno depositato memorie.

7. Chiamata la causa all'udienza pubblica del 29 aprile 2022, all'esito della stessa questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 28729 del 04/10/2022, ne ha disposto il rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione ad esse rimessa da Cass. Sez. 6-3, ord. int. nn. 6946 e 6947 del 02/03/2022.

8. Intervenuta la pronuncia delle Sezioni Unite, è stata fissata per la trattazione l'odierna udienza pubblica con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.

9. In vista di tale udienza il P.M. ha depositato nuove conclusioni scritte, chiedendo l'accoglimento del terzo motivo di ricorso e il rigetto degli altri.

I ricorrenti e la controricorrente A. (Ass.ni) hanno depositato ulteriori memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Si dà atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l'intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, in combinato disposto con il D.L. 29 dicembre 2022, n. 198, art. 8, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 24 febbraio 2023, n. 14, che ne ha prorogato l'applicazione "alle udienze e alle camere di consiglio da svolgere fino al 30 giugno 2023", non avendo alcuna delle parti ne’ il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale.

2. Il rinvio a nuovo ruolo della causa era stato disposto in relazione alla dubbia validità, ex art. 365 c.p.c., della procura conferita per il ricorso, in quanto rilasciata su foglio allegato al ricorso, spillato allo stesso, e contenente solo un generico riferimento al "ricorso avanti la Corte di Cassazione in Roma", senza alcuna indicazione della sentenza che si intendeva impugnare e per contro con la presenza di molteplici riferimenti eccentrici, tipici di una procura conferita per un giudizio di merito.

Il dubbio deve intendersi risolto in senso positivo (ossia per la validità della procura conferita in tal modo e con tale contenuto) alla luce del principio affermato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 36057 del 09/12/2022, secondo il quale "a seguito della riforma dell'art. 83 c.p.c. disposta dalla L. n. 141 del 1997, il requisito della specialità della procura, richiesto dall'art. 365 c.p.c. come condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica; nel senso che la firma per autentica apposta dal difensore su foglio separato, ma materialmente congiunto all'atto, è in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso. Tale collocazione topografica fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione; tenendo presente, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall'art. 1367 c.c. e dall'art. 159 c.p.c., che nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo alla parte conferente la volontà che consenta all'atto di produrre i suoi effetti".

3. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, "violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1227, 2043, 2054 e 2055 c.c. e art. 41 c.p.; violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per manifesta illogicità e contraddittorietà intrinseche della motivazione nella parte in cui attribuisce una responsabilità minoritaria pari al 30% in capo al (Soggetto 2)".

Lamentano che l'attribuzione, in sentenza, di un minore apporto causale alla condotta del conducente del veicolo antagonista, si pone in contrasto con i principi in materia di causalità. Si tratterebbe inoltre di motivazione apodittica e illogica dal momento che si ritiene meno grave la condotta del superamento dei limiti di velocità di 60 km/h, nonostante essa sia sanzionata dal legislatore in maniera più grave rispetto alla concorrente violazione delle norme sulla precedenza.

4. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, "omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'omessa considerazione che le conseguenze letali del sinistro sono riconducibili alla eccessiva velocità del veicolo condotto dal Defendi".

Il fatto non considerato sarebbe, in tesi, la sicura evitabilità del sinistro o comunque delle sue conseguenze più gravi se il conducente del veicolo antagonista avesse rispettato i limiti di velocità di 60Km/h previsti in quel tratto.

5. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell'art. 11 preleggi e dell'art. 141 cod. ass..

Sostengono che, diversamente da quanto sostenuto dai giudici d'appello, detta ultima norma ha natura processuale e non sostanziale e, in quanto tale, è suscettibile di applicazione nella specie, trattandosi di azione promossa dopo la sua entrata in vigore, non rilevando che essa faccia riferimento a sinistro anteriormente verificatosi.

6. Con il quarto motivo essi deducono, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, "violazione degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c., in relazione all'affermazione secondo cui le spese per gli spostamenti sostenute dai congiunti non sono risarcibili rientrando nel dovere di assistenza".

Lamentano che erroneamente la Corte territoriale ha disconosciuto le (maggiori) spese sostenute per spostamenti funzionali alla assistenza alla vittima primaria del sinistro, sulla base dell'inconferente rilievo che tali esborsi rientrerebbero nel dovere di solidarietà proprio del rapporto padre-figli, atteso che la sussistenza di un tale dovere non può comunque valere ad esonerare il danneggiante dal risarcimento dei danni.

Osservano che: tali spese sono conseguenza diretta dell'evento dannoso e sono dunque suscettibili di essere risarcite in quanto si pongono in rapporto di causalità con lo stesso; il fatto che l'assistenza ai genitori sia un dovere (morale) dei figli, non può tramutarsi in una perdita patrimoniale ai danni degli onerati a causa di condotte di terzi.

7. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all'art. 360 c.pc., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c. "in relazione alla irrisoria liquidazione del danno terminale e alla mancata applicazione delle tabelle sul danno non patrimoniale di Venezia (anno 2016) ovvero delle tabelle di Milano".

Lamentano che erroneamente la Corte d'appello ha immotivatamente ritenuto congrua la liquidazione operata dal primo giudice che, facendo applicazione delle locali tabelle sul danno non patrimoniale, aveva riconosciuto a tale titolo un importo giornaliero di 120,00 Euro (già comprensivo dell'aumento del 50% del valore base), per un importo complessivo di Euro 58.000,00 a fronte di ben 485 giorni di agonia.

Rilevano al riguardo che, con l'appello principale, oltre a rilevarsi la mancata applicazione delle tabelle di Milano, era stato evidenziato uno scostamento in pejus della liquidazione persino rispetto alle più aggiornate tabelle veneziane del 2016, che avrebbero consentito di pervenire a una liquidazione pari ad Euro 145.500,00.

Rimarcano che le più aggiornate tabelle di Milano prodotte in primo grado proponevano: una liquidazione equitativa del danno terminale limitata ai primi tre giorni, entro il tetto stabilito di 30.000,00 Euro, non personalizzabile, per il quarto giorno, in considerazione delle circostanze del caso concreto, una personalizzazione del danno convenzionalmente indicata in Euro 1.000,00; una successiva progressiva diminuzione giornaliera fino al centesimo giorno, dopo il quale torna ad essere risarcibile il solo danno biologico ordinario.

Osservano che, applicando detti criteri al caso di specie, considerato che l'agonia di (Soggetto 5) è durata 483 giorni, il danno terminale avrebbe potuto essere liquidato in almeno Euro 109.851,00 per i primi 100 giorni e per i residui 383 giorni facendo applicazione dell'indennizzo per l'inabilità temporanea totale.

8. Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano, infine, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, "nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto corredata da motivazione soltanto apparente in ordine all'affermazione di congruità delle spese legali ante causam liquidate dalla compagnia di assicurazione" (così testualmente in rubrica).

Rilevano che il rigetto della richiesta di rimborso delle spese per l'assistenza stragiudiziale sostenute dagli attori prima del giudizio è giustificato in sentenza dalla mera affermazione della "congruità" di quelle liquidate dalla compagnia di assicurazione per tale causale, senza che si dia conto delle ragioni di tale convincimento.

9. Il primo motivo è inammissibile.

Lungi dal denunciare l'erronea ricognizione, nel provvedimento impugnato, delle fattispecie astratte recate dalle norme di legge richiamate, i ricorrenti allegano un'erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all'esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l'aspetto del vizio di motivazione, neppure coinvolgendo, la prospettazione critica, l'eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell'erronea sussunzione giuridica di un fatto in se’ incontroverso, insistendo propriamente la ricorrente nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quella operata dal giudice a quo.

Va rammentato che, secondo costante indirizzo, in tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l'apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell'incidente, all'accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell'accertamento dell'esistenza o dell'esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l'evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico (e pluribus Cass. n. 14358 del 05/06/2018).

Deve inoltre condividersi il rilievo del P.G. secondo cui l'equazione "sanzione più alta per eccesso di velocità - maggiore gravità dell'infrazione sotto il profilo del contributo causale all'evento" presuppone un insussistente automatismo tra misura astratta della sanzione e verifica in concreto del contributo causale. E' l'accertamento concreto quello che conta: è ben possibile che un'infrazione in astratto di minor gravità secondo il codice della strada assuma un peso decisivo, e più rilevante, nella dinamica di uno specifico incidente. E' proprio questo quanto accaduto nel caso in esame, secondo il motivato ed insindacabile apprezzamento di merito compiuto dalla corte territoriale.

10. Il secondo motivo è inammissibile.

Il sindacato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sulla ricognizione del fatto (e, segnatamente, del contributo causale dei veicoli coinvolti) è nella specie precluso, ai sensi dell'art. 348-ter c.p.c., u.c. (come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) - dall'essere la decisione confermativa, sul punto, di quella di primo grado, non avendo dimostrato i ricorrenti, in presenza di doppia conforme, la diversità delle questioni di fatto alla base delle due decisioni di merito.

Il vizio peraltro non è dedotto nel modo in cui questa Corte lo dice deducibile (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053-8054).

Quello che si dice omesso non è un fatto ma una valutazione. Il fatto cui quella valutazione è riferita è l'incidente e la sua dinamica ed è stato certamente esaminato dal giudice a quo.

11. L'esame del terzo motivo va posposto, per ragioni di ordine logico delle questioni, a quello dei restanti motivi.

12. Il quarto motivo è manifestamente fondato.

La Corte d'appello fa discendere l'irrisarcibilità del danno patrimoniale per oneri di assistenza della vittima primaria dall'obbligo dei figli di assistere il padre ammalato. Ma il fatto che l'assistenza materiale sia (moralmente) obbligatoria non toglie che, in assenza del fatto illecito, il relativo esborso sarebbe stato evitato.

L'assistenza è un rimedio per sopperire alle conseguenze del fatto illecito, non diversamente dalla necessità di cure sanitarie, e la sua entità economica è pari alla misura dei costi sostenuti per la fornitura del servizio (cfr. Cass. n. 24205 del 13/11/2014).

Il fatto che a sostenerle non sia la vittima primaria ma un suo familiare, in adempimento di obbligo morale, non elide tale origine causale e la sua conseguente natura di danno risarcibile da parte del soggetto responsabile, ex art. 1223 c.c..

Al riguardo occorre peraltro rammentare che l'ingiustizia del danno, requisito dell'illecito aquiliano, cui la conseguenza pregiudizievole si correla, è ravvisabile non solo nella lesione del diritto alla salute della vittima primaria, ma anche nella lesione del rapporto parentale in capo ai familiari di questa e quindi di un interesse proprio e diretto di questi ultimi (plurioffensività dell'evento dannoso), ragione per cui non è a dubitarsi della piena titolarità dal lato attivo della pretesa risarcitoria fatta valere.

13. Il quinto motivo è inammissibile, ai sensi dell'art. 366 c.p.c., n. 4.

Secondo principio consolidato il motivo d'impugnazione è rappresentato dall'enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d'impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l'esercizio del diritto d'impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell'esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.

In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è espressamente sanzionata con l'inammissibilità ai sensi dell'art. 366 c.p.c., n. 4 (v. ex aliis Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074; Id. 05/08/2016, n. 16598; Id. 03/11/2016, n. 22226; Cass. 15/04/2021, n. 9951; 05/07/2019, n. 18066; 13/03/2009, n. 6184; 10/03/2006, n. 5244; 04/03/2005, n. 4741; 11/01/2005, n. 359).

La censura in esame non chiarisce in cosa sia esattamente consistito il presunto errore nella liquidazione tabellare ma anzi prospetta confusamente diversi e non pertinenti parametri.

Quelli indicati come idonei a condurre a importi risarcitori maggiori sono infatti dichiaratamente (v. quanto al riguardo evidenziato nello stesso ricorso, a pag. 26, nota 12) riferiti a valori non relativi al solo danno biologico, ma comprensivi anche del c.d. danno terminale morale (o altrimenti detto danno catastrofale); danno, quest'ultimo, che i giudici di merito, con statuizione non fatta segno di alcuna specifica censura, hanno invece motivatamente (ed, in iure, correttamente) escluso potersi nella specie configurare per non essere la vittima mai stata cosciente dal momento dell'evento lesivo fino alla morte (v. sul tema, ex aliis, Cass. n. 23153 del 17/09/2019; n. 18056 del 05/07/2019; n. 26727 del 23/10/2018).

14. Il sesto motivo è inammissibile.

La motivazione è perfettamente comprensibile: secondo la Corte quanto corrisposto dalla compagnia per tale voce risulta congruo e pienamente satisfattivo.

La valutazione è chiara; la si potrebbe dire, se del caso, errata, ma non incomprensibile.

Si trattava dunque di contestarla come frutto di una errata ricognizione della fattispecie. Il che avrebbe potuto e dovuto essere fatto nei limiti e secondo i requisiti di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5. ma non lo è stato.

Erano i ricorrenti a dover indicare: a) quale era l'importo preteso per tale voce; b) quale l'importo invece corrisposto; c) quali elementi erano stati dedotti in giudizio a supporto della maggiore pretesa.

15. Può tornarsi adesso all'esame del terzo motivo.

15.1. Esso deve dirsi inammissibile se e in quanto riferibile anche alla pretesa risarcitoria di (Soggetto 6) (ed ora dei suoi eredi) per danni iure proprio.

Trattandosi di conducente e non di trasportato, anche ammesso (ma come vedremo non concesso) che l'art. 141 cod. ass. sia applicabile ai fatti pregressi, di esso non si potrebbe comunque giovare la predetta ne’ i suoi eredi che agiscano, per l'appunto, in quanto tali, per tal genere di danni.

Ciò in quanto, come è stato osservato, "la previsione dell'art. 129 cod. ass. (secondo cui "non è considerato terzo e non ha diritto ai benefici derivanti dal contratto di assicurazione obbligatoria il solo conducente del veicolo responsabile del sinistro") costituisce corollario del principio generale, sotteso all'intera materia della responsabilità civile, che esclude in radice che l'autore dell'illecito possa conseguire il risarcimento del danno che egli stesso si è provocato, ossia che possa considerarsi danno risarcibile quello che taluno procura a sè stesso (cfr. Cass. n. 27544/2017, Cass. n. 6988/2003 e Cass. n. 3957/1994); principio "scolpito" nella norma cardine dell'art. 2043 c.c., che prevede che il danno ingiusto sia provocato "ad altri" e onera del risarcimento l'autore del danno, inteso come soggetto necessariamente diverso dal danneggiato; principio, infine, ribadito dall'art. 12, comma 1, della Direttiva 2009/103/CE del 16 settembre 2009" (così, in motivazione, Cass. Sez. U. n. 35318 del 30/11/2022, par. 8, pagg. 14-15).

15.2. Il motivo è altresì inammissibile, per difetto di interesse, in quanto proposto da (Soggetto 1) (Soggetto 6) e dagli eredi di (Soggetto 8), quali eredi di (Soggetto 5).

Ciò in quanto:

a) l'art. 141 cod. ass. (recante la rubrica "risarcimento del terzo trasportato") disciplina un'azione di carattere eccezionale che non è suscettibile di applicazione analogica a casi non espressamente previsti; essa si applica pertanto in favore del solo trasportato danneggiato e non può essere estesa ai danni subiti iure proprio dai congiunti del trasportato deceduto in conseguenza del sinistro (v. Cass. Sez. U. n. 35318 del 30/11/2022, par. 17, pag. 27; ma v. già in tal senso Cass. n. 14388 del 27/05/2019, non massimata); una diversa interpretazione, costituzionalmente orientata, non sembra possibile;

b) l'interesse a dolersi della mancata applicazione dell'art. 141 può dunque, nel nostro caso, ravvisarsi solo con riferimento alle pretese risarcitorie avanzate iure hereditatis;

c) sotto tale profilo i predetti ricorrenti sono stati però considerati già interamente soddisfatti con statuizione che, in ragione dell'esito dei motivi sopra esaminati, deve ritenersi confermata (l'accoglimento del quarto motivo potrebbe infatti condurre, in sede di rinvio, a riconoscere ai suddetti solo un ulteriore importo risarcitorio per danno però dedotto iure proprio).

15.3. Il motivo - che resta dunque ammissibile solo in quanto riferibile alla pretesa risarcitoria vantata jure hereditario da (Soggetto 6) per i danni subiti dalla vittima primaria (pretesa per la quale la stessa ha visto accolto il proprio appello ma solo nei confronti del proprietario e della assicuratrice del veicolo antagonista) - deve comunque dirsi infondato.

La risposta da dare al quesito circa l'applicabilità della norma ai fatti pregressi è infatti negativa.

Sulla interpretazione della norma e sulla sua effettiva portata, come noto, si sono in passato contrapposte due impostazioni.

Secondo un primo orientamento di cui è espressione Cass. n. 4147 del 2019 (seguita da Cass. n. 14388 del 2019, cit.) la portata innovativa della norma è apprezzabile non con riferimento al fondamento della responsabilità, che resta sempre una responsabilità per colpa, ancorché presunta, ma sul piano degli oneri di allegazione e prova gravanti sul soggetto (il terzo trasportato) cui è attribuito il potere di azione diretta ai fini del risarcimento del danno. Si tratta (solo) di uno strumento aggiuntivo di tutela, diretto ad agevolare il conseguimento del risarcimento del danno nei confronti dell'impresa assicuratrice. "Il proprium della norma - è stato esplicitamente affermato da Cass. n. 14388 del 2019 - è... solo di tipo processuale (esaurendosi per l'appunto nel sollevare il terzo trasportato, danneggiato, dall'onere di allegare la responsabilità dell'assicurato e di provare le modalità del sinistro), non sostanziale (restando esclusa la responsabilità dell'assicuratore del vettore ove sia certa a priori ovvero si accerti, in virtù di eccezione e prova offerta dall'assicuratore, l'assenza di colpa dell'assicurato)".

Secondo un opposto orientamento (di cui è espressione Cass. n. 17963 del 2021) il proprium della norma ha invece connotati di indubbio rilievo sostanziale, dal momento che (in estrema sintesi): a) l'assicuratore del vettore è tenuto a rispondere comunque, anche se vi è la prova (o addirittura la mancata contestazione) della esclusiva responsabilità del conducente del veicolo antagonista, salvo solo il caso fortuito da intendere però restrittivamente rappresentato da "fattori naturali e fattori umani estranei alla circolazione di altro veicolo"; b) quale contropartita il terzo trasportato che scelga di avvalersi di tale strumento di tutela potrà ottenere il risarcimento nei limiti del massimale di legge, non di quello eventualmente maggiore contrattualmente previsto nel contratto di assicurazione.

Cass. Sez. U. n. 35318 del 2022, cit., ha avallato tale seconda impostazione.

Tanto emerge chiaramente:

A) sia dalla parte della motivazione (par. 12, pag. 19), ove si afferma che "Lo scopo della norma è... quello di agevolare la posizione del trasportato vittima di un sinistro stradale; scopo che il legislatore ha inteso conseguire con due strumenti: a) assegnare alla vittima un debitore certo e facilmente individuabile; b) ridurre ulteriormente, rispetto alla presunzione già prevista dall'art. 2054 c.c., comma 1, l'onere della prova gravante sul danneggiato, da intendersi limitata al fatto di essere stato trasportato a bordo del veicolo e alla natura ed entità dei danni patiti in conseguenza del sinistro, con impossibilità per il vettore (o il suo assicuratore) di liberarsi semplicemente dimostrando la responsabilità di un altro conducente";

B) sia dalla parte della motivazione (par. 18.2, pag. 30 ss.) ove si afferma, a proposito della nozione di "caso fortuito" evocata dall'art. 141 che "L'incipit "salva l'ipotesi di sinistro cagionato da caso fortuito" non può che essere letto in correlazione con l'inciso "a prescindere dall'accertamento della responsabilità dei veicoli coinvolti nel sinistro" e una siffatta lettura (che dev'essere necessariamente coordinata, a meno di non voler postulare una insanabile contraddizione interna fra l'incipit e l'inciso e di non voler arbitrariamente dare preminenza alla prima delle due espressioni) evidenzia come il legislatore abbia inteso escludere, in prima battuta, ogni accertamento concernente la colpa dei conducenti, che è riservato alla fase di rivalsa e che non può pertanto essere recuperato nell'ambito della salvezza del caso fortuito; il che risulta coerente con la finalità della norma di impedire che il risarcimento del danno subito dal passeggero venga ritardato dalla necessità di compiere accertamenti sulla responsabilità del sinistro (rimessi all'eventuale fase successiva).

"Deve pertanto ritenersi che - come sostenuto da Cass. 17963/2021 - nella cornice del giudizio configurato dall'art. 141, comma 1 cod. ass., in cui si prescinde dall'accertamento delle responsabilità del sinistro, il caso fortuito che vale ad esimere l'assicuratore del vettore dal risarcimento in favore del trasportato è nozione distinta dalla condotta colposa del conducente dell'altro veicolo coinvolto e deve intendersi circoscritto alle cause naturali e ai danni causati da condotte umane indipendenti dalla circolazione di altri veicoli".

Perdendosi, in tale prospettiva, il fondamento colposo della responsabilità, sia pure presunta, del vettore assicurato, e introducendosi in sostanza un fondamento oggettivo, non è dubitabile che si sia in presenza di una norma di diritto sostanziale e non meramente processuale, con conseguente inapplicabilità ai fatti pregressi (v., in tal senso, Cass. 25/09/2018, n. 22566).

15.4. Resta da esaminare il diverso percorso argomentativo che ha condotto il P.G. a richiedere l'accoglimento del motivo nelle sue ultime conclusioni.

Secondo il P.M. a tale esito dovrebbe giungersi sulla base di una diversa qualificazione della pretesa come riferibile all'art. 144 cod. ass. e all'art. 2054 c.c. (pacificamente invocabile anche dai terzi trasportati): diversa qualificazione consentita anche alla Corte di cassazione in virtù del principio iura novit curia.

Proprio quest'ultima considerazione non può essere condivisa nel caso concreto.

Osta, infatti, al (correttamente) proposto ragionamento il giudicato che deve intendersi fondato sulla qualificazione della domanda ex art. 141.

Vero è che, come avverte anche Cass. Sez. U. n. 35318 del 2022 (par. 12.1), "il giudice di merito, nel qualificare la domanda ai sensi dell'art. 141 cod. ass. piuttosto che ai sensi dell'art. 144 cod. ass., non potrà limitarsi a considerare la qualificazione ad essa data dalla parte attrice o le norme da essa richiamate, ma dovrà valutare nel loro complesso i fatti posti a fondamento della domanda e le ragioni giuridiche spese per illustrarli. Inoltre, a tutela del generale principio di conservazione degli effetti degli atti giudiziari e di ragionevole durata dei processi, l'accertata insussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 141 cod. ass. (ad es., per quanto si dirà, per il coinvolgimento di un solo veicolo nella causazione del sinistro) non potrà condurre al rigetto della domanda, se questa presenti comunque tutti i presupposti di fatto e di diritto richiesti dall'art. 2054 c.c. o art. 144 cod. ass., e non risulti che l'attore abbia espressamente rifiutato di avvalersi di tali strumenti, quanto meno in via subordinata".

Nel caso in esame però tale strada come detto deve ritenersi preclusa dal fatto che: a) il giudice di primo grado non operò una tale diversa qualificazione della domanda; b) in appello i ricorrenti non si dolsero della mancata diversa qualificazione della domanda; c) ne’ alcuna specifica doglianza è stata in tal senso proposta con il ricorso avverso la sentenza d'appello che ha confermato la statuizione sul punto.

Va rammentato che il giudicato si forma anche sulla qualificazione giuridica data all'azione dal giudice, quando tale qualificazione abbia condizionato l'impostazione e la definizione dell'indagine di merito e la parte interessata abbia omesso di impugnarla in appello (Cass. 7/08/1996, n. 7260; Cass. 17/12/1993, n. 12499; Cass. n. 11022/1991).

Tanto è avvenuto nella fattispecie.

Nell'interpretazione della portata del giudicato non si deve soltanto tenere conto della formula conclusiva in cui si riassume il contenuto precettivo della sentenza passata in giudicato, ma si deve individuare l'essenza e l'effettiva portata della decisione, ricavandola anche dalla motivazione e, quindi, altresì dal contenuto attribuito dalla sentenza alla domanda giudiziale (cfr. Cass. Sez. U. 17/03/1998, n. 2874; 17/02/2000, n. 1773; 27/04/1996, n. 3916; n. 21490 del 2005).

16. In accoglimento, dunque, del solo quarto motivo, rigettato il terzo e ritenuti inammissibili tutti gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa rinviata al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il quarto motivo; rigetta il terzo; dichiara inammissibili i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'appello di Venezia, comunque in diversa composizione, cui demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2023.

 

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