Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Civile, Sezione terza, ordinanza n. 15447 del 31 maggio 2023

 

Corte di Cassazione Civile, Sezione III, ordinanza numero 15447 del 31/05/2023
Circolazione Stradale - Art. 14 del Codice della Strada - Responsabilità per cose in custodia - Altezza del guard rail - L'altezza regolamentare del guard rail, pari a 75 cm., è stata normata dal D.M. n. 233 del 1992, e si applica unicamente alle strade di nuova costruzione e, pertanto, appare erronea la decisione che individua l'attitudine della cosa a recare danno esclusivamente nella sua non conformità a regole di cautela specifica, e non in rapporto alle circostanze concrete di luogo (limitazione di velocità di 50 km/h) e modalità del sinistro (impatto alla velocità di 100 km/h), così da verificare se la minore altezza del guard rail, sebbene regolamentare, fosse fattore in se’ e per se’ dotato di attitudine a recare danno nelle complessive e contingenti condizioni.


FATTI DI CAUSA

1. - Con ricorso affidato a cinque motivi, (Omissis) ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Roma, resa pubblica in data 14 giugno 2019, che, in riforma della decisione di primo grado, aveva parzialmente accolto la domanda proposta da (Soggetto 1), (Soggetto 2), (Soggetto 3), (Soggetto 5) e (Soggetto 4) e condannato l'Amministrazione convenuta al risarcimento danni non patrimoniali subiti jure proprio dagli attori in conseguenza del decesso del proprio congiunto, il diciannovenne (Soggetto 6), avvenuto a seguito di sinistro stradale, verificatosi il (Omissis), alle ore 5:00 circa, allorquando quest'ultimo, percorrendo la via (Omissis), perdeva il controllo della propria autovettura andando violentemente a collidere contro il guard rail che delimitava il lato destro della carreggiata e, quindi, non avendo la barriera impedito l'uscita di strada del mezzo, a schiantarsi contro un albero, che ne provocava la morte sul colpo.

2. - La Corte territoriale, a fondamento della decisione (e per quanto ancora rileva in questa sede), osservava che: a) sulla base degli elementi acquisiti in giudizio era da ritenersi: a.1) che l'uscita di strada dell'autovettura era avvenuta "a causa della condotta di guida imprudente ed imperita del (Soggetto 6), neopatentato, il quale marciava ad una velocità quantomeno doppia rispetto al limite dei 50 km orari esistenti in loco e che, nell'effettuare rientro nella propria corsia di marcia dopo la manovra di sorpasso della Renault (Omissis), per cause imprecisate, collegate con probabilità la propria inesperienza ed alla velocità eccessiva, perse il controllo della propria autovettura"; a.2) che al momento dell'incidente "il fondo stradale era asciutto, il traffico scarso, il tratto rettilineo, a doppia corsia di marcia, e l'illuminazione artificiale sufficiente"; a.3) che "il guard rail (del quale non viene stigmatizzato dal CTU il cattivo stato di manutenzione, ma soltanto l'altezza non regolamentare) era di altezza pari a 40-50 cm., mentre le prescrizioni regolamentari all'epoca vigenti prevedevano che dovesse avere 75 cm. di altezza; a.4) "con probabilità, ove fosse stato invece di altezza regolamentare, "avrebbe potuto contenere e dissipare l'urto del mezzo deformandosi""; b) in forza di dette risultanze, l'incidente mortale si era determinato per la "efficacia concausale... preponderante" della "condotta di guida incauta del danneggiato, violativa delle prescrizioni del Codice della Strada", nonché, "in misure inferiore, ma non trascurabile", per "le caratteristiche della barriera di contenimento, la quale, dove fosse stata di altezza regolamentare, avrebbe potuto con verosimiglianza sortire quantomeno un effetto di contenimento delle conseguenze più nefaste dell'incidente"; c) doveva, quindi, "attribuirsi la responsabilità dell'incidente per i due terzi alla condotta di guida del danneggiato e per un terzo alle caratteristiche non regolamentari della barriera di contenimento, in applicazione ufficiosa dell'art. 1227 c.c."; d) era da rigettare la domanda di manleva svolta da (Omissis) contro la (Omissis) Srl , chiamata in causa come "società appaltatrice della manutenzione stradale e della sorveglianza stradale su (Omissis)", con conseguente assorbimento della domanda di manleva da quest'ultima avanzata contro la propria compagnia assicuratrice, U.S. Assicurazioni Spa , chiamata in causa; d.1) a tal riguardo, non risultava "dimostrata - ne' a ben vedere specificamente dedotta - alcune responsabilità contrattuale della società appaltatrice relazione al guard rail", non avendo la stessa CTU riscontrato "vizi manutentivi del medesimo"; d.2) ne' poteva farsi rientrare "nel concetto di manutenzione delle opere e dei manufatti pertinenziali o comunque ubicati sulle strade oggetto di appalto" la "sostituzione del guard rail di altezza non regolamentare con altro a norma di legge", che non risultava, peraltro, "fatta oggetto di altro specifico ed autonomo contratto di appalto"; e) le spese del doppio grado andavano parzialmente compensate tra gli attori e (Omissis), mentre quest'ultima, in quanto soccombente, andava condannata a rifondere le spese legali sostenute dalla (Omissis) Srl e da U.S. Assicurazioni Spa , essendo la domanda di manleva svolta dalla società appaltatrice contro la compagnia assicuratrice "stata determinata dalla domanda proposta nei confronti dell'appaltatrice stessa da parte di (Omissis)".

3. - Resistono con controricorso (Soggetto 1), (Soggetto 2), (Soggetto 3) e (Soggetto 4).

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati (Soggetto 5), la (Omissis) Srl e la U.S. Assicurazioni Spa (Omissis) ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell'art. 2051 c.c., per non aver la Corte territoriale, diversamente dal primo giudice, riconosciuto l'esclusiva responsabilità dell'incidente nella condotta, "ordinariamente incauta" di eccessiva velocità ("quantomeno doppia rispetto a quella consentita dalla segnaletica stradale presente su (Omissis)"), di (Soggetto 6), tale da ridurre la "cosa" (ossia, il guard rail) al rango di "mera occasione dell'evento" e, quindi, da integrare il caso fortuito, con effetto liberatorio della responsabilità del Comune convenuto.

2. - Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 2051 c.c. e 116 c.p.c., per aver la Corte territoriale operato una "valutazione imprudente" della prova che ha inciso sulla corretta ricostruzione del fatto, omettendo di "valorizzare pienamente e nella giusta misura" le circostanze relative alla velocità eccessiva della autovettura condotta da un neopatentato nell'affrontare una "sconsiderata manovra di sorpasso", avendo, peraltro, la perizia espletata nel giudizio penale attribuito la responsabilità dell'evento soltanto al conducente dell'autovettura.

3. - Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.M. n. 223 del 1992, per aver la Corte territoriale erroneamente addebitato all'Amministrazione comunale una colpa specifica nel ritenere che il guard rail non rispondesse alle prescrizioni regolamentari all'epoca vigenti, mentre il citato decreto ministeriale imponeva al Comune di sostituire i guard rail solo sulle strade di nuova costruzione (e non già su una strada come (Omissis)), nè potendosi ascrivere a (Omissis) la violazione di una regola prudenziale, dettata dalla pericolosità del tratto stradale, in quanto la strada percorsa dal (Soggetto 6) era pianeggiante e rettilinea e dotata di cartello che prescriveva il limite di velocità di 50 km orari.

4. - Con il quarto mezzo - proposto in subordine ai precedenti - è denunciata, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, "violazione o falsa applicazione del contratto di appalto tra (Omissis) e la (Omissis) Srl ", per non aver la Corte territoriale considerato che quest'ultima, pur in assenza di obblighi di sostituzione dei guard rail, era contrattualmente tenuta alla sorveglianza delle infrastrutture insistenti sulla strada oggetto di appalto (artt. 45-47 del capitolato speciale di appalto). Pertanto, ove si ritenesse il sinistro addebitale ad essa ricorrente per la mancata sostituzione del guard rail "non a norma", l'impresa appaltatrice dovrebbe rispondere, in via di manleva, per l'omessa segnalazione della situazione di pericolo.

5. - Con il quinto mezzo - proposto in subordine ai precedenti - è dedotta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 97 c.p.c., per aver la Corte territoriale erroneamente condannato soltanto essa Amministrazione comunale al pagamento delle spese in favore dell'impresa appaltatrice e dell'assicurazione chiamata in manleva da quest'ultima, pur avendo attribuito la responsabilità del sinistro per due terzi al defunto (Soggetto 6), là dove l'originario atto di citazione neppure avevano specificato "le vere ragioni dell'uscita di strada".

6. - All'esame dei primi tre motivi di ricorso occorre premettere quanto segue.

Nell'anno 2018, questa Sezione ritenne indispensabile operare l'intervento nomofilattico in tema di responsabilità per cose in custodia (art. 2051 c.c.), consapevole del disordine interpretativo riscontrato nella giurisprudenza di merito e delle incertezze ermeneutiche emerse nella sua stessa giurisprudenza. Il tutto in una materia particolarmente rilevante per gli aspetti giuridici, sociali ed economici, coinvolgenti soggetti sia privati che pubblici.

Nell'anno 2022 sono intervenute, poi, le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate ad esprimersi intorno a criticità e distonie emerse nella giurisprudenza di legittimità.

Sussiste, dunque, la necessità di apportare un definitivo contributo chiarificatore sulla materia in trattazione, attraverso i punti che si vanno ad esporre.

- Non è ulteriormente discutibile che la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. abbia natura oggettiva, come affermato da questa sezione con le decisioni nn. 2477-2483 rese pubbliche in data 1/02/2018, alla luce delle origini storiche della disposizione codicistica, dell'affermazione di fattispecie di responsabilità emancipate dal principio nessuna responsabilità senza colpa, dei criteri di accertamento del nesso causale e della esigibilità (da parte dei consociati) di un'attività di adeguamento della condotta in rapporto alle diverse contingenze nelle quali vengano a contatto con la cosa custodita da altri.

- Tale qualificazione ha ricevuto una definitiva conferma dalle Sezioni Unite di questa Corte che, con la decisione n. 20943 del 30/06/2022, dopo aver diacronicamente ripercorso le tappe segnate (talvolta in modo dissonante) dalla giurisprudenza questa sezione, hanno ribadito che "La responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode". - All'affermazione di tale principio, di carattere generale (punto 9 della decisione), le Sezioni Unite hanno poi fatto seguire ulteriori, altrettanto generali precisazioni, così sintetizzabili (punti 8.4. e ss. della sentenza n. 20943/2022):

a) "l'art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima";

b) "la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell'art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l'evento dannoso";

c) "il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall'accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere";

d) "il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa dell'art. 1227 c.c., comma 1; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost.;

e) quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale". - I principi appena evocati sanciscono in via definitiva l'attuale statuto della responsabilità del custode, il cui fondamento riposa, pertanto, su elementi di fatto individuati tanto in positivo - la dimostrazione che il danno è in nesso di derivazione causale con la cosa custodita (la sequenza è quella che muove dall'accertamento di un danno giuridicamente rilevante per risalire alla sussistenza di una relazione causale tra l'evento dannoso e la cosa custodita e si chiude con l'imputazione in capo al custode dell'obbligazione risarcitoria, dalla quale il custode si libera giusta il disposto dell'art. 2051 c.c., provando il caso fortuito) - quanto in negativo (l'inaccettabilità di una mera presunzione di colpa in capo al custode e l'irrilevanza della prova di una sua condotta diligente).

- Nel confermare tali principi, in ossequio all'insegnamento delle Sezioni Unite, mette ancora conto di precisare, sul piano della struttura della fattispecie (non su quello degli effetti, che risultano ormai definitivamente scolpiti dal massimo organo della nomofilachia) che il caso fortuito appartiene alla categoria dei fatti giuridici e si pone in relazione causale diretta, immediata ed esclusiva con la res, senza intermediazione di alcun elemento soggettivo; mentre la condotta del terzo e la condotta del danneggiato rilevano come atto giuridico caratterizzato dalla colpa (art. 1227 c.c., comma 1), con rilevanza causale esclusiva o concorrente (sul concorso tra causa umana e causa naturale, Cass. n. 21619/2007), intesa, nella specie, come caratterizzazione di una condotta oggettivamente imprevedibile ed oggettivamente imprevenibile da parte del custode.

- Va ancora osservato, in proposito, che sia il fatto (fortuito) che l'atto (del terzo o del danneggiato) si pongono in relazione causale con l'evento di danno non nel senso della (impropriamente definita) "interruzione del nesso tra cosa e danno", bensì alla luce del principio disciplinato dall'art. 41 c.p., che relega al rango di mera occasione la relazione con la res, deprivata della sua efficienza di causalità materiale, senza peraltro cancellarne l'efficienza causale sul piano strettamente naturalistico. Ciò tanto nell'ipotesi di efficacia causale assorbente, quanto di causalità concorrente di tali condotte, poiché, senza la preesistenza e la specifica caratterizzazione della res, il danno non si verificherebbe (esemplificando: una strada perfettamente asfaltata e senza buche non sarà in relazione causale, se non naturalistica, con il danno subito dal pedone che inciampa nei suoi piedi).

- Il dato normativo va, pertanto, applicato governando la costruzione funzionale dell'illecito e raccordandola con la modulazione dei rimedi ad esso conseguenti, vale a dire tenendo conto che il sistema risarcitorio si fonda non solo sulla capacità preventiva della colpa (giustizia correttiva), ma anche sul soddisfacimento di esigenze meramente compensative (giustizia redistributiva, cioè il trasferimento del peso economico di un evento pregiudizievole dal danneggiato su chi abbia la signoria della cosa) e, non da ultimo, muovendosi con la consapevolezza che quello causale, essendo un "giudizio" utilizzato per allocare i costi del danno, deve essere calibrato in relazione alla specifica fattispecie di responsabilità; costituisce, difatti, il proprium della responsabilità civile il presentarsi "a geometria variabile, perché moltiplica le sue possibilità a seconda degli istituti con cui si fonde, facendo scattare principi anche solo lievemente diversi ma con implicazioni notevoli sulla allocazione finale dei costi, sulla prevenzione, sulla sostenibilità nel tempo della sua promessa (il risarcimento del danno)". - L'irrilevanza della colpa, quale criterio per risalire al responsabile, è condizione necessaria ma non sufficiente per attribuire alla responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. natura oggettiva. Essa fa giustizia di quei modelli di ragionamento che evocano la presunzione di colpa, la quale individua il fondamento della responsabilità pur sempre nel fatto dell'uomo - il custode - venuto meno al suo dovere di controllo e vigilanza affinché la cosa non abbia a produrre danno a terzi (Cass. 20/05/1998, n. 5031), ma non anche della teoria del riconoscimento di una presunzione di responsabilità in capo al custode, giustificata ritenendo che, se la cosa fosse stata ben governata e controllata, non avrebbe arrecato alcun danno, mentre se il danno si verifica (fatto noto) si presume che ciò sia avvenuto perchè la cosa non è stata adeguatamente custodita (fatto ignoto); da tale presunzione di responsabilità il custode si libererebbe dimostrando, in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa gli attribuisce, che il danno si è verificato in modo non prevedibile ne’ superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso.

- Ritenere che sul custode gravi una presunzione di responsabilità - esclusa espressamente, come si è detto, dalla già ricordata pronuncia delle Sezioni Unite - è indice di una resistenza ad emanciparsi dalla colpa che, infatti, viene evocata in via surrettizia non per fondare, in via di regola, la responsabilità del custode, ma (comunque) per escluderla in via di eccezione. La capacità di vigilare la cosa, di mantenerne il controllo, di neutralizzarne le potenzialità dannose, difatti, non è elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità, bensì elemento estrinseco del quale va tenuto conto alla stregua di canone interpretativo della ratio legis, cioè come strumento di spiegazione di "un effetto giuridico che sta a prescindere da essi". L'intento di responsabilizzare il custode della res o di controbilanciare la signoria di fatto concessagli dall'ordinamento affinché ne tragga o possa trarne beneficio sulla cosa con l'obbligazione risarcitoria (Cass. 01/02/2018, n. 2480, p. p. 11 e 12) possono essere criteri di spiegazione del criterio scelto per allocare il danno, ma non sono elementi costitutivi della regola di fattispecie nè elementi di cui tener conto per escludere l'obbligazione risarcitoria in capo al custode.

- Non è stata fornita una definizione normativa della custodia da parte del legislatore del 1942 perché l'art. 2051 c.c. si è limitato a tradurre l'espressione francese sous sa garde che appariva nell'art. 1384, comma 1, Code Napoleon. Questa Corte (Cass., Sez. Un., 11/11/1991, n. 12019) ha, tuttavia, avuto già occasione di rilevare le diverse accezioni della portata della custodia come criterio di determinazione della responsabilità rinvenienti dalle fonti romane e ha ritenuto di poterle raggruppare nelle seguenti categorie: a) quella che si riallaccia alla configurazione giustinianea per cui la custodia non è che un particolare tipo di diligentia; b) quella custodiendae rei, la quale rimane un criterio soggettivo di responsabilità; c) quella più recente che individua il concetto di custodia nella responsabilità oggettiva. A quest'ultima, che "si concretizza in un criterio oggettivo di responsabilità, intendendo per tale quello che addossa a colui che ha la custodia della cosa la responsabilità per determinati eventi, indipendentemente dalla ricerca di un nesso causale fra il comportamento del custode e l'evento", ha ricondotto quella rilevante ai sensi dell'art. 2051 c.c. - Non può mettersi in dubbio che, per individuare il responsabile, non debba farsi riferimento alla custodia di fonte contrattuale (Cass. 18/02/2000, n. 1859; Cass. 20/10/2005, n. 20317), siccome l'art. 2051 c.c. attiene ai rapporti con i terzi danneggiati dalla cosa oggetto di custodia, ne’ possono nutrirsi riserve circa il fatto che, trattandosi di una relazione meramente fattuale, non sia giustificato un mero rinvio ad altri istituti come la proprietà, i diritti reali minori, il possesso, la semplice detenzione; la relazione giuridica con la cosa non è elemento costitutivo della responsabilità, a differenza di quanto previsto dagli artt. 2052, 2053, 2054 c.c., sicché responsabile ex art. 2051 c.c. può ben essere un soggetto diverso da quello che abbia un titolo giuridico sulla res (Cass. 6/07/2006, n. 153684), atteso che rileva esclusivamente la relazione di fatto di natura custodiale, a prescindere finanche dal se essa sia titolata. L'applicazione dell'art. 2051 c.c. si arresta soltanto dinanzi alle cose insuscettibili di custodia in termini oggettivi (acqua, aria): Cass. 20/02/2006, n. 3651. - L'indeterminatezza della nozione di caso fortuito, talvolta declinato in termini di polivalenza, consente (è bensì vero) di considerare il fortuito tanto come limite della responsabilità per colpa quanto come limite della causa di imputazione della responsabilità. Nondimeno, quando il caso fortuito è evocato espressamente da una norma, come in questo caso, la sua nozione deve essere riempita di contenuto in correlazione con il contesto e con la ratio legis. Per quanto non decisivo, in orienta tal senso anche il tenore letterale dell'art. 2051 c.c. ("Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito") se confrontato con quello dell'art. 2050 c.c. ("Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno"), dell'art. 2053 c.c. ("Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione"), dell'art. 2054 c.c. ("Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno").

- Il contenuto della prova liberatoria non solo è stato tipizzato dal legislatore, ma è stato differenziato secondo la regola di fattispecie di volta in volta presa in considerazione; quando la prova liberatoria è costituita dalla ricorrenza del caso fortuito (cfr. anche l'art. 2052 c.c. "Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito") è segno che il legislatore non ha voluto che il custode (o il responsabile di cui all'art. 2052 c.c.) possa liberarsi provando di avere tenuto un comportamento diligente volto ad evitare il danno nè la dimostrazione che il danno si sarebbe verificato nonostante la diligenza da lui esigibile, data l'imprevedibilità e l'inevitabilità dell'evento dannoso, tantomeno che l'intervento del caso fortuito abbia reso oggettivamente impossibile la custodia (utili indicazioni a supporto, ma con carattere di minore prossimità, possono trarsi anche dalle ipotesi in cui il legislatore non ha previsto la prova liberatoria, come nelle ipotesi di cui all'art. 2049 c.c. e all'art. 114 cod. consumo).

7. - I primi tre motivi, da scrutinarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati per quanto di ragione.

7.1. - Come in precedenza ricordato, allorquando l'azione è proposta ai sensi dell'art. 2051 c.c. - e tale è la qualificazione giuridica ad essa ascritta da entrambi i giudici del merito -, la deduzione di omissioni, violazione di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode può essere diretta soltanto a rafforzare la prova dello stato della cosa e della sua attitudine a recare danno, ossia della oggettiva pericolosità, sempre ai fini dell'allegazione e della prova del rapporto causale tra l'una e l'altro.

7.2. - Il giudice di secondo grado (cfr. p. 2 dei "Fatti di causa" e p. 6 della sentenza di appello) ha ritenuto che la condotta imprudente e imperita del danneggiato (il quale, neopatentato, marciava, su rettilineo dal fondo stradale asciutto e dall'illuminazione sufficiente, "ad una velocità quantomeno doppia rispetto al limite dei 50 km orari esistenti in loco e che, nell'effettuare rientro nella propria corsia di marcia dopo la manovra di sorpasso della Renault (Omissis), per cause imprecisate, collegate con probabilità la propria inesperienza ed alla velocità eccessiva, perse il controllo della propria autovettura") non sia stata tale da integrare l'"atto giuridico" idoneo ad elidere la responsabilità del custode, ma che abbia contribuito, ex art. 1227 c.c., comma 1, (nella misura di due terzi), alla causazione del danno, in quanto l'impatto dell'autovettura era avvenuto con un "guard rail... di altezza pari a 40-50 cm., mentre le prescrizioni regolamentari all'epoca vigenti prevedevano che dovesse avere 75 cm. di altezza", per cui "con probabilità, ove fosse stato invece di altezza regolamentare, "avrebbe potuto contenere e dissipare l'urto del mezzo deformandosi"".

7.3. - La ratio decidendi della sentenza impugnata in questa sede non va colta, dunque, nell'addebito di colpa all'ente locale per non aver provveduto alla sostituzione del guard rail con un dispositivo di contenimento di altezza regolamentare ai sensi del D.M. n. 223 del 1992 - ciò che integrerebbe una delibazione in base alla diversa fattispecie di responsabilità di cui all'art. 2043 c.c., che, però, nella presente controversia, come detto, non ha trovato rilievo -, ma nella considerazione della oggettiva pericolosità della res, che la Corte territoriale ha ritenuto tale giacché la stessa (ossia, il guard rail) si presentava di altezza minore rispetto a quanto imponevano le prescrizioni regolamentari dettate in base al citato decreto ministeriale, con la conseguenza che la res non aveva assunto il rango di mera occasione dell'evento dannoso, ma, come tale, era dotata di efficienza concausale rispetto alla condotta particolarmente imprudente del danneggiato.

7.4. - Tuttavia, è ben vero che il D.M. n. 223 del 1992 "si applica unicamente alle strade di nuova costruzione" (così Cass. n. 10916/2017), per cui è erronea la decisione che ha individuato l'attitudine della cosa a recare danno esclusivamente nella sua non conformità a regole di cautela specifica, che, per non essere di nuova costruzione il tratto della (Omissis), in Roma, strada teatro del sinistro (ne’ un tale accertamento è contestato dai controricorrenti siccome presente nella c.t.u., richiamata a p.... del ricorso), non si imponevano in quanto tali al momento del sinistro stesso.

La Corte territoriale, infatti, avrebbe dovuto considerare la oggettiva pericolosità del dispositivo di contenimento nel suo "stato" (quanto unicamente alla relativa altezza, poichè è la stessa sentenza di appello ad affermare che non veniva "stigmatizzato il cattivo stato di manutenzione") in rapporto alle circostanze concrete di luogo (tratto di strada rettilineo dal fondo stradale asciutto e dall'illuminazione sufficiente, con limitazione di velocità di 50 km/h) e modali del sinistro (impatto alla velocità di 100 km/h), così da verificare se la minore altezza del guard rail, sebbene regolamentare, fosse fattore in se’ per se’ dotato di attitudine a recare danno nelle complessive e contingenti condizioni "date" e, quindi, semmai ascrivere a quegli stessi standard regolamentari del D.M. n. 223 del 1992 il ruolo di regola prudenziale correlata al rischio concreto per la sicurezza degli utenti (art. 14 C.d.S.).

Diversamente, il giudice di appello, invece, ha assunto le "prescrizioni regolamentari all'epoca vigenti", sebbene non riguardassero di per sè il tratto di strada teatro del sinistro, come regole immediatamente cogenti, elevando, quindi, a parametro imposto dalla normativa specifica di settore la diversa altezza del guard rail e rispetto a questo parametro soltanto ha valutato la capacità della res a determinare il danno.

8. - L'accoglimento dei primi tre motivi, nei termini anzidetti, che attengono all'an della responsabilità del custode assorbe l'esame sia del quarto motivo, perchè vertente sul rapporto giuridico accessorio di garanzia, sia del quinto motivo, poichè riguardante la statuizione sulle spese processuali, la cui regolamentazione dovrà nuovamente essere effettuata all'esito del giudizio di rinvio.

9. - Vanno, dunque, accolti i primi tre motivi per quanto di ragione e dichiarati assorbiti i restanti motivi.

La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà alla regolamentazione anche delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie i primi tre motivi di ricorso nei termini di cui in motivazione e dichiara assorbiti i restanti motivi del medesimo ricorso;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di cassazione, il 11 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2023.

 

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