Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Civile, Sezione sesta, ordinanza n. 1287 del 17 gennaio 2023

 

Corte di Cassazione Civile, Sezione VI, ordinanza numero 1287 del 17/01/2023
Circolazione Stradale - Art. 179 del Codice della Strada - Tachigrafo - Alterazione - Sequestro calamita - Termine per il deposito della documentazione - Il termine per il deposito della documentazione attestante il sequestro della calamita atta ad alterare le registrazioni del tachigrafo rientra nella previsione del d.lgs. n. 150 del 2011, che non è perentorio a differenza di quello previsto dall'art. 416 c.p.c., poiché tale documentazione attesta il sequestro avvenuto contestualmente al rilievo della violazione e strettamente funzionale all'accertamento della stessa, nonché dello scontrino attestante il malfunzionamento del cronotachigrafo, essendo documenti predisposti in occasione delle operazioni di controllo, che hanno poi portato alla redazione del verbale che è stato formato proprio al fine di verificare la ricorrenza della violazione contestata, in un contesto anche cronologico unitario.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il Ministero dell'Interno - Prefettura di Treviso proponeva opposizione avverso la sentenza del giudice di pace di (Omissis) con la quale era stata accolta l'opposizione proposta da (Soggetto 1) avverso il verbale di contestazione della violazione dell'art. 179 co. 2 e 9 del CdS.

Con detto verbale la Polizia Stradale di (Omissis) aveva contestato all'opponente di viaggiare alla guida di un autoveicolo con cronotachigrafo alterato e non funzionante, per la presenza di un magnete che ne falsava le registrazioni.

La sentenza di primo grado accoglieva l'opposizione, dichiarando cessata la materia del contendere quanto all'impugnazione separatamente proposta, ma poi riunita, avverso anche il provvedimento di sospensione della patente di guida, applicata per i medesimi fatti.

Il Tribunale di Treviso, con la sentenza n. (Omissis) del (Omissis) luglio 2021, ha accolto il gravame, rigettando l'opposizione a suo tempo proposta.

Ritenuta l'ammissibilità dell'appello in quanto conforme al dettato dell'art. 342 c.p.c., nel merito osservava che l'annullamento del verbale era stato motivato dal giudice di pace per la pretesa assenza di prova circa i fatti contestati, e precisamente in merito al mancato funzionamento del cronotachigrafo per la manomissione da parte dell'appellato.

Viceversa, le prove raccolte deponevano in senso contrario.

In primo luogo, andava ribadito che il verbale è atto pubblico e costituisce prova legale, con valenza fino a querela di falso, della provenienza da pubblico ufficiale, delle dichiarazioni ivi rese dalle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti alla sua presenza, essendo invece esclusa la portata probatoria privilegiata quanto agli apprezzamenti ed ai giudizi valutativi compiuti dai verbalizzanti.

Nella fattispecie, il verbale non era stato attinto da querela di falso, ed avuto riguardo alla vicenda in esame, assumeva rilievo il corredo probatorio documentale offerto dalla PA.

In particolare, dallo scontrino del cronotachigrafo digitale, emergeva una pausa di sette minuti, ancorché il veicolo in quel momento fosse in movimento, come accertato dalla polizia.

Inoltre, era stato disposto anche il sequestro del magnete, che i verbalizzanti riferivano essere stato sottratto dal conducente dal bulbo sensore per essere nascosto sotto il sedile di guida.

Il materiale istruttorio così offerto comprovava quindi la correttezza del verbale contestato, mancando una adeguata giustificazione da parte dell'opponente circa le ragioni del malfunzionamento del cronotachigrafo, essendo peraltro consueto, nel mondo degli autotrasportatori, il ricorso alla collocazione di un magnete per alterare le registrazioni del cronotachigrafo, e far quindi risultare la sosta del veicolo, quando è invece in movimento.

L'appello andava quindi accolto.

Avverso la decisione di appello propone ricorso per cassazione (Soggetto 1) sulla base di quattro motivi.

L'intimato non ha svolto difese in questa fase.

Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 7 del D. Lgs. n. 150/2011 nonché degli artt. 414 e 416 c.p.c..

Si deduce che la documentazione prodotta in primo grado dal Ministero dell'Interno, allegata ad una memoria recante la data del 3 gennaio 2019, è stata però prodotta solo in data 7/1/2019, a fronte della prima udienza di comparizione fissata dal Giudice di Pace di (Omissis) per la data del 15 gennaio 2019.

Ne deriva che i documenti sono stati prodotti solo otto giorni prima dell'udienza, il che comporta la violazione degli artt. 6 e 7 del D. Lgs. n. 150/2011. Infatti, attesa l'applicazione alle opposizioni alle ordinanze ingiunzioni in materia di sanzioni amministrative delle norme del processo del lavoro, l'opposto doveva produrre i documenti almeno 10 giorni prima dell'udienza, non potendosi invocare la diversa previsione di cui ai citati articoli, che permettono, senza incorrere in preclusioni, la sola produzione del rapporto e degli atti relativi all'accertamento ed alla sua contestazione.

Ne deriva che non potevano essere valutati ai fini della prova lo scontrino del tachigrafo digitale ed il verbale di sequestro del magnete.

Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis n. 1 c.p.c..

Questa Corte ha affermato che il termine di cui all'art. 7, comma 7, del d.lgs. n. 150 del 2011, per il deposito della documentazione strettamente connessa all'impugnazione non è, in difetto di espressa previsione, perentorio, a differenza di quello previsto dall'art. 416 c.p.c., che si applica, in virtù del richiamo operato dal comma 1 del medesimo art. 7, agli altri documenti depositati dall'Amministrazione (Cass. n. 15887/2019; Cass. n. 14266/2021; Cass. n. 9545/2018; Cass. n. 16853/2016; Cass. n. 5828/2015).

Ritiene il Collegio che, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, tra la documentazione strettamente connessa al rapporto ovvero al verbale di accertamento, rientri sicuramente anche il verbale di sequestro del magnete rinvenuto a bordo del veicolo condotto dal ricorrente, atteso che trattasi di sequestro avvenuto contestualmente al rilievo della violazione oggetto di causa, e strettamente funzionale al riscontro della violazione stessa, nonché dello scontrino attestante il malfunzionamento del cronotachigrafo, essendo anche questo documento predisposto in occasione delle operazioni di controllo, che hanno poi portato alla redazione del verbale impugnato, e che è stato formato proprio al fine di verificare la ricorrenza della violazione contestata, in un contesto anche cronologico unitario.

Ne consegue che anche la produzione di tali documenti rientra, per l'intima connessione con il verbale, nella previsione di cui all'art. 7 co. 7 del D. Lgs. n. 150/2011, senza che possa quindi ravvisarsi per l'ufficio alcuna preclusione.

Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c. e 2697 e 2700 c.c., in quanto la sentenza impugnata avrebbe attribuito al verbale una valenza probatoria eccedente rispetto ai limiti posti dalle norme per la rilevanza degli atti pubblici.

Si tratta di una decisione che è frutto del pregiudizio dell'estensore verso la categoria degli autotrasportatori, e che prescinde dall'accertamento dei fatti. Infatti, dal rinvenimento di un magnete a bordo del veicolo non può ricavarsi che lo stesso fosse funzionale all'alterazione del funzionamento del cronotachigrafo, attese anche le contestazioni specifiche mosse dal ricorrente.

Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. nonché dell'art. 179 co. 2 CdS e 2697 c.c., in quanto la violazione contestata presupponeva che gli agenti avessero rinvenuto il magnete inserito sul cronotachigrafo, e non soltanto all'interno del veicolo. L'alterazione del meccanismo è quindi frutto di una valutazione degli agenti, e conseguentemente è stata confermata la violazione contestata in assenza di prova della sua commissione.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono inammissibili.

La violazione dell'art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull'onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l'onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell'art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell'art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla "valutazione delle prove" (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).

In particolare, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c. (Cass. S.U. n. 20867/2020, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell'art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione).

Poste tali premesse, e rilevato che la denuncia di violazione dell'art. 112 c.p.c. non trova poi sviluppo nell'esposizione del motivo, risulta evidente al Collegio come le censure si risolvano in una contestazione, non consentita in sede di legittimità, alla valutazione delle prove come operata, in maniera logica ed esaustiva dal giudice di appello.

Infatti, questi, lungi dall'attribuire al verbale di accertamento della violazione un'efficacia probatoria privilegiata anche per profili che esulano dai limiti posti dall'art. 2700 c.c., ha ritenuto che la rimozione del magnete da parte del ricorrente per poi occultarlo sotto il sedile di guida fosse circostanza caduta sotto la diretta percezione sensoriale dei verbalizzanti, che appunto riferivano di avere personalmente assistito a tale episodio.

La parte valutativa del verbale, relativa cioè alla funzionalizzazione del magnete all'alterazione del cronotachigrafo, è stata poi corroborata da ulteriori elementi probatori acquisiti dalla Polizia Stradale, ed in particolare dallo scontrino del cronotachigrafo (di cui si contesta la valenza probatoria, senza nemmeno peritarsi di riportarne con precisione il contenuto in ricorso, e ben potendosi giustificare il diverso orario denunciato dal ricorrente in ragione del mancato adeguamento dell'orario del cronotachigrafo all'ora solare), che effettivamente attestava che, contrariamente a quanto riscontrato de visu dai verbalizzanti, sebbene il veicolo fosse in movimento, il cronotachigrafo lo registrava come fermo, essendo tale discrasia appunto giustificabile proprio in ragione dello stratagemma, che il giudice di merito riferisce essere in uso presso molti autotrasportatori, della collocazione di un magnete, idoneo a paralizzare le registrazioni dell'apparecchio.

Ancorché tale magnete sia stato sequestrato quando ormai era sotto il sedile di guida, le prove raccolte hanno permesso di evidenziare che in precedenza era collocato sul bulbo sensore del cronotachigrafo e che prima della sua rimozione da parte del (Soggetto 1), l'apparecchio forniva delle registrazioni non fedeli rispetto al reale movimento del veicolo.

Deve pertanto reputarsi che le censure nel loro insieme mirino esclusivamente a contestare l'apprezzamento delle risultanze probatorie come operato dal giudice di merito, senza però evidenziare alcuna violazione di legge, il che denota l'inammissibilità delle stesse.

Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 7, co. 11, del D. Lgs. n. 150/2011, in quanto il Tribunale si è limitato a confermare il verbale di contestazione, senza però valutare la congruenza della sanzione applicata, e ciò sebbene il comma 11 dell'art. 7 citato preveda che il giudice, quando rigetta l'opposizione, determina la sanzione in una misura compresa tra il minimo ed il massimo edittale.

Nella specie è mancata tale determinazione e quindi la sentenza andrebbe cassata.

Anche tale motivo deve essere disatteso.

E' pur vero che in tema di opposizione al verbale di contestazione di una violazione al codice della strada, ai sensi dell'art. 204-bis del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, il giudice, adito in alternativa al ricorso al prefetto, nel rigettare detta opposizione, può - anche d'ufficio, in assenza di espressa domanda da parte della Amministrazione in ordine alla determinazione della misura della sanzione - quantificare, in base al suo libero convincimento, la sanzione pecuniaria, che non sia predeterminata normativamente, in misura congrua, tra il minimo ed il massimo edittale (Cass. Sez. U, n. 25304/2010), ma trattasi di precedente relativo ad un'ipotesi in cui la sanzione non era stata determinata nel verbale.

Nella specie, attesa anche la mancata allegazione da parte del ricorrente di censure che specificamente investivano la misura della sanzione irrogata, deve reputarsi che la decisione di pervenire al rigetto dell'opposizione, senza alcuna altra precisazione, comporti anche una valutazione di sostanziale congruità della sanzione applicata, senza che si imponga alcuna specifica motivazione sul punto.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Nulla a disporre per le spese atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell'intimato.

Poiché il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dei presupposti processuali dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile;

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall'art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio del 16 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2023.

 

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