Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Civile, Sezione quinta, ordinanza n. 38137 del 2 dicembre 2021

 

Corte di Cassazione Civile, Sezione V, ordinanza numero 38137 del 02/12/2021
Circolazione Stradale - Art. 86 del Codice della Strada - Servizio di piazza con taxi - Avviso di accertamento per ricavi dichiarati inattendibili rispetto alle caratteristiche del servizio svolto - Legittimo l'accertamento analitico induttivo esperito nei confronti di un taxista che dichiarata un reddito così esiguo da essere inidoneo a garantire un livello minimo di sopravvivenza, denotando lo svolgimento di un'attività in modo antieconomico, alla luce dei ricavi irrisori rispetto alle caratteristiche del sevizio svolto in una città interessata da un considerevole flusso turistico, economico e finanziario e tenuto conto dell'impegno giornaliero richiesto dal comune ai tassisti, oltre che del capitale investito nell'acquisto a suo tempo della licenza taxi con valore attuale.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. L'Agenzia delle entrate emetteva, nei confronti di M. L., esercente attività di taxista nella città di (OMISSIS), per gli anni di imposta 2007 e 2008, avvisi di accertamento, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, e del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies, comma 3, con i quali rideterminava i ricavi in Euro 22.371,80, per l'anno di imposta 2007, e in Euro 25.995,00, per l'anno 2008.

2. L'Agenzia delle entrate evidenziava l'inattendibilità del ricavo giornaliero, ricostruendo i redditi sulla base dei dati dichiarati dal contribuente e dei dati fissati dal Comune di (OMISSIS) per i tassisti, tenendo in considerazione l'inattendibilità della contabilità risultando lo svolgimento di un'attività antieconomica essendo i ricavi dichiarati irrisori rispetto alle caratteristiche del servizio svolto in (OMISSIS) ed all'impegno giornaliero richiesto dal Comune ai tassisti, nonchè il valore della licenza, pari ad Euro 160.000,00, che presupponeva il conseguimento di ricavi per almeno Euro 53.333,00.

3. Rimasta senza esito la proposta formulata dall'Ufficio in sede di mediazione obbligatoria, di riduzione di circa il 38% degli accertati maggiori ricavi, il contribuente impugnava, con autonomi ricorso, gli avvisi di accertamento, che previa riunione, venivano accolti dalla CTP di Pavia.

4. L'Agenzia delle entrate proponeva appello censurando la sentenza della CTP per non aver correttamente valutato gli elementi presi inconsiderazione dall'Ufficio ed esposti nella motivazione dell'avviso di accertamento. Il contribuente eccepiva l'inammissibilità dell'appello per genericità dei motivi e, nel merito, chiedeva la conferma della prima sentenza.

6. La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza in epigrafe, ritenuta l'ammissibilità dell'appello, accoglieva l'appello confermando l'avviso di accertamento.

7. Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione M. L. affidandosi a cinque motivi.

8. Resiste con controricorso l'Agenzia delle entrate.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione di legge e, segnatamente, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, stante il mancato accoglimento dell'eccezione di inammissibilità dell'appello per genericità dei motivi di gravame.

1.1. La CTR ha rigettato l'eccezione del contribuente affermando che: "nella specie la manifestazione volitiva dell'Ufficio appellante risulta formulata in modo da consentire di individuare con chiarezza le specifiche critiche indirizzate alla motivazione della sentenza e reca l'esposizione univoca delle ragioni delle doglianze e delle domande, pur sostanziandosi nelle stesse argomentazioni addotte nel ricorso introduttivo, disattese dal primo giudice (Cass. n. 1266/10)".

1.2. Tale decisione va esente dalle censure prospettate, in quanto ha correttamente applicato i superiori principi di diritto enunciati da questa Corte in tema di specificità dei motivi di appello, secondo cui, per valutare la loro ammissibilità, non bisogna soffermarsi al mero riscontro formale della prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, ma occorre verificare il contenuto intrinseco in cui tali ragioni vengono prospettate in sede di gravame al fine di consentire di percepire l'oggetto delle censure alla sentenza appellata.

1.3. La sentenza impugnata risulta rispettosa della regola di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, considerato che, per il giudizio tributario, è stato chiarito che "la mancanza o l'assoluta incertezza dei motivi specifici dell'impugnazione, le quali, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, determinano l'inammissibilità dell'appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benchè formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi, anche per implicito, dall'intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni; ciò in quanto l'articolo cit. deve essere interpretato restrittivamente, in conformità all'art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l'accesso alla giustizia, dovendosi pertanto consentire, ogni qual volta nell'atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l'effettività del sindacato sul merito dell'impugnazione" (Cass., Sez. 5, 21/07/2020, n. 15519; id., Sez. 65, 24/08/2017, n. 20379).

1.4. Sempre in tema di contenzioso tributario, questa Corte ha precisato - come da orientamento richiamato dal giudice di appello che, fermo il carattere devolutivo pieno dell'appello, l'atto di appello può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado sempre che - come nel caso è avvenuto - contenga critica specifica ed adeguata alla sentenza impugnata, sì da consentire di individuare l'oggetto del gravame in riferimento alle statuizioni adottate da primo giudice (cfr. Cass., 12/02/16, n. 2814, Cass., 29/11/2011, n. 25218, Cass., 24/11/2010 n. 12622, richiamata nella sentenza impugnata).

2. Con il secondo, il terzo e il quarto mezzo il ricorrente deduce plurime violazioni del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), nonchè delle norme che regolano l'onere probatorio, assumendo che la CTR non ha colto "la differenza tra le premesse dalle quali deriva la legittimità dell'accertamento ed i contenuti dell'accertamento stesso", nella parte in cui ha affermato che gli elementi riscontrati legittimassero l'accertamento induttivo anche "a prescindere dalle risultanze degli specifici studi di settore" (secondo mezzo), che, in mancanza di indizi gravi, precisi e concordanti, ha stravolto il regime delle prove presuntive che legittimerebbe l'accertamento analitico induttivo (terzo mezzo), ed infine, che ha malamente applicato il regime probatorio che regola la fattispecie (artt. 2697, 2727, 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c.), nella parte in cui ha ritenuto irrilevanti le circostanze contrarie addotte dal contribuente - assenza di figli, abitazione di proprietà e reddito della moglie - (quarto motivo).

2.1. Tali mezzi - che si esaminano congiuntamente per connessione di censure - sono infondati.

2.3 Occorre premettere che gli avvisi di accertamento in questione sono stati redatti con il metodo analitico-induttivo di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e non con l'utilizzo degli studi di settore di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies, che costituiscono, come desumibile da tale ultima disposizione, solo uno degli strumenti utilizzabili dall'amministrazione finanziaria per accertare in via induttiva il reddito del contribuente (v. Sez. 5, 30/01/2018, n. 18906 proprio in tema di accertamento dei redditi di un esercente il servizio di taxi).

2.4. La CTR ha ritenuto la legittimità dell'accertamento, evidenziando preliminarmente che "la presunzione dei ricavi si fondava sulla contabilità del contribuente che, seppur formalmente corretta, portava a risultati di non ragionevolezza posto che il reddito netto dichiarato in Euro 616,00 per il 2007 e in Euro 939,00 per il 2008 non appariva sufficiente a garantire un livello minimo di sopravvivenza e lo svolgimento dell'attività risultava antieconomico, i ricavi dichiarati erano irrisori rispetto alle caratteristiche del sevizio svolto a Milano, zona interessata ad un considerevole flusso turistico, economico e finanziario e tenuto conto dell'impegno giornaliero richiesto dal comune ai tassisti oltre che del capitale investito nell'acquisto a suo tempo della licenza taxi con valore attuale non inferiore ad Euro 160.000. Peraltro, la dichiarazione dei ricavi, di fatto, non era stata adeguata dal contribuente allo studio di settore" (v. sentenza pagina 3/4, primo capoverso). Ha, quindi, valutato la carenza di prova da parte del contribuente, ritenendo irrilevanti gli elementi addotti ai fini della antieconomicità della gestione e portando a confronto gli elementi posti dall'Ufficio a base dell'accertamento ritenuti prevalenti in assenza di prova contraria del contribuente ("Ai fini della determinazione dei ricavi, emerge che l'Ufficio di è attenuto alle tariffe vincolate vigenti nel Comune di Milano, ai chilometri percorsi risultanti dal raffronto delle schede carburante con le fatture di manutenzione periodica del mezzo (...) delle vincolanti normative di legge applicabili allo specifico settore quanto ai tempi di svolgimento dell'attività, considerando turni giornalieri di 9-10 ore e circa 240 giorni lavorativi annui, senza che rilevi, in senso contrario, l'uso promiscuo della vettura taxi").

3. E' principio assolutamente pacifico, e qui condiviso, che "l'accertamento con metodo analitico-induttivo, con quale il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata" (cfr., ex plurimis, Cass. n. 20060 del 24/09/2014); egualmente, in materia di IVA, si è soggiunto che "l'Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l'antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest'ultimo l'onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni" (cfr., Cass. del 30/12/2015, n. 26036; eadem, Cass., Sez. 5, 11/10/2018, n. 25217).

3.1. Quanto all'accertamento basato sui cd. studi di settore è, altresì, assolutamente pacifico (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, 13/07/2016, n. 14288; Cass. Sez. 5, 26/04/2017, n. 10242) che "i parametri o studi di settore previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 187, rappresentando la risultante dell'estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quanto eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell'Ufficio dell'accertamento analitico-induttivo, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d", fermo restando l'onere per il contribuente di "allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all'ente impositore fa carico la dimostrazione dell'applicabilità dello "standard" prescelto al caso concreto oggetto di accertamento".

3.2. Circa la valutazione della prova presuntiva è stato affermato che "In sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., solo allorchè ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso" (così, Sez. 6-1, 17/01/2019, n. 1234; id., Sez. 6-3, 13/02/2020, n. 354).

4. Le conclusioni dei giudici di appello si allineano a tali superiori principi, avendo indicato, analiticamente, tutte le presunzioni gravi, precise e concordanti ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), che hanno consentito l'accertamento di un reddito superiore a quello dichiarato e ciò a prescindere dalla congruità del reddito in relazione all'utilizzo degli studi di settore.

Ed invero, la CTR - con specifico esame di merito, non sindacabile in questa sede - ha valorizzato tutta una serie di elementi oggettivi in grado di dimostrare maggiori redditi di impresa, dichiarando la legittimità dell'accertamento, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), che originava proprio dall'analisi dei costi sostenuti ed esposti in contabilità dall'impresa, per giungere a ritenere insufficienti i ricavi dichiarati, laddove gli studi di settore, richiamati dalla CTR, costituiscono solo uno degli strumenti utilizzabili dall'Amministrazione finanziaria per accertare, in via induttiva, il reddito del contribuente (Cass., Sez. 5, 29/04/2020 n. 8342; Sez. 5, 30/01/2018, n. 18906 e Sez. 5, 13/12/2019 n. 32883).

5. Col quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, riguardante la mancata considerazione da parte del giudice di appello della dichiarazione dell'Agenzia delle entrate, effettuata nel verbale del contraddittorio del (OMISSIS), allegato nel giudizio di merito, secondo cui "i chilometri percorsi per raggiungere una fermata effettivamente non sono stati considerati in accertamento", siccome in violazione dell'art. 115 c.p.c., in quanto l'Amministrazione non aveva contestato tale affermazione.

5.1. Tale mezzo è inammissibile.

5.2. Va considerato che il libero convincimento del giudice di merito in tema di presunzioni è sindacabile, nei ristretti limiti di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, solo per mancato esame di fatti storici che, sebbene possano essere veicolati da elementi indiziari, debbano avere il carattere della decisività e l'effetto di invalidare l'efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato (v. Cass., 19/04/2021, n. 10253). Nella specie, il ricorrente si limita a denunciare genericamente la decisività (supposta) della citata dichiarazione dell'Agenzia delle entrate, senza corroborarla di elementi significativi in rapporto agli altri elementi presuntivi presi in esame dalla CTR, e richiamando, altrettanto genericamente, ed in maniera del tutto esorbitante dal paradigma di censura evocato, la violazione del principio di non contestazione.

6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento, in favore dell'Amministrazione finanziaria, delle spese del presente giudizio che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell'Amministrazione controricorrente, liquidate in complessivi Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta sezione civile della Corte di Cassazione, il 27 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2021.

 

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