Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione settima, sentenza n. 35289 del 1 agosto 2019
Corte di Cassazione Penale, Sezione VII, sentenza numero 35289 del 01/08/2019
Circolazione Stradale - Artt. 186 del Codice della Strada - Guida in stato di ebbrezza alcolica - Positività della prima prova etilometrica - Rifiuto di sottoporsi alla seconda prova - Conseguenze - Nella guida in stato di ebbrezza alcolica sotto l'influenza dell'alcool, il rifiuto da parte del conducente di sottoporsi alla seconda prova tramite etilometro, dopo l'accertata positività della prima, costituisca autonomo reato (art. 186, comma 7 del C.d.S.), che ben può concorrere con la distinta fattispecie di guida in stato di ebbrezza.
RITENUTO IN FATTO - CONSIDERATO IN DIRITTO
1. (Soggetto 1) ricorre, a mezzo di proprio difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo violazione di legge in relazione all'operata contestazione suppletiva, vizio motivazionale in relazione all'affermazione di responsabilità, essendo a suo dire il comportamento contestatogli derivato dalla mancata messa a disposizione di un boccaglio nuovo, nonché vizio motivazionale in punto di mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen..
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
In data (Omissis) risulta poi pervenuta memoria a firma del difensore dell'imputato con la quale si deduce la mancata notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza all'imputato e, comunque, l'intervenuta prescrizione del reato.
2. Preliminarmente va rilevato che, come risulta dagli atti, il difensore dell'imputato, abilitato al patrocinio dinanzi a questa Corte Suprema, risulta ritualmente avvisato dell'odierna udienza a mezzo PEC per cui, non essendo dovuto alcun avviso all'imputato, diversamente da quanto si opina nella sopra ricordata memoria, il contraddittorio risulta ritualmente instaurato.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono costituiti da mere doglianze in punto di fatto ed afferiscono ad asseriti difetti o contraddittorietà e/o palese illogicità della motivazione che la lettura del provvedimento impugnato dimostra, invece, essere esistente e connotata da lineare e coerente logicità conforme all'esauriente disamina dei dati probatori.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto - e pertanto immune da vizi di legittimità.
La Corte (Omissis) aveva già argomentatamente confutato il motivo processuale, oggi riproposto tout court, ricordando come il P.M., all' udienza 12/1/2016, nel corso dell'esame del teste di P.G., aveva proceduto alla contestazione del reato di cui all'art. 186 c. 7 e la difesa, interpellata sul punto, avesse scelto di non avanzare alcuna richiesta di termine, ne' aveva proposto eccezioni di sorta (il richiamo è alle pagg. 10 e 11 di quel verbale).
Quanto poi alla successiva contestazione, già operata in appello, secondo cui non sarebbe stata legittima la nuova contestazione, la Corte territoriale ha già correttamente rilevato come nel corso del dibattimento il P.M. possa procedere a nuove contestazioni senza limiti di tempo e senza necessità che le stesse si fondino su elementi emersi per la prima volta in giudizio. Conferente in tal senso è il richiamo a Sez. 5, n. 8631 del 21/9/2015, S., Rv. 266081 (conf. Sez. 6, n. 18749 del 11/4/2014, B., Rv. 262614) secondo cui in tema di nuove contestazioni, va riconosciuto al pubblico ministero il potere di procedere, nel dibattimento, alla modifica dell'imputazione o alla formulazione di nuove contestazioni senza specifici limiti temporali o di fonte, in quanto l'imputato ha facoltà di chiedere al giudice un termine per contrastare l'accusa, esercitando ogni prerogativa difensiva come la richiesta di nuove prove o il diritto ad essere rimesso in termini per chiedere riti alternativi o l'oblazione (nel caso sottopostole Corte di legittimità ha ritenuto infondato il motivo di ricorso riferito alla necessità che la contestazione suppletiva di reato debba fondarsi su elementi emersi per la prima volta in dibattimento).
La Corte territoriale rileva peraltro come il rifiuto del (Soggetto 1) di sottoporsi alla seconda prova tramite etilometro costituisca autonomo reato, che ben può concorrere con la distinta fattispecie di guida in stato di ebbrezza: e da tale ultima ipotesi il prevenuto è stato assolto solo ex art. 530 co.2 cp.p., per difetto di prova esaustiva circa la effettiva sussistenza di uno stato di alterazione (v. sentenza, p. 6).
3. Manifestamente infondato è anche il motivo con cui si assume l'insussistenza dell'elemento psicologico del reato.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, ed in particolare hanno ricordato come la indisponibilità manifestata dal (Soggetto 1) all'espletamento della seconda prova tramite etilometro integri pienamente gli estremi del reato di cui si discute (il diverso profilo attinente alla valenza probatoria degli esiti del test eventualmente eseguito in condizioni di salute atte a determinare un falso positivo, rileva invece esclusivamente ex art. 186 c. 2 CDS). A ciò va aggiunto - come si legge in sentenza - che la circostanza che il diniego dell'interessato al controllo sarebbe stato determinato dall'assenta mandata dazione di un secondo boccaglio è stata nettamente smentita all'udienza 12/1/2016 dal teste di P.G. (Soggetto 2).
La Corte (Omissis) ricorda, in proposito, che la sequenza temporale degli accadimenti indica che l'imputato quella sera, all'atto dell'intervento degli operanti aveva alito fortemente alcolico, alternava momenti di rabbia a momenti di tranquillità, alzava immotivatamente la voce e dopo la prima prova, conclusasi con esito a lui sfavorevole, si rifiutava di firmare lo scontrino (in atti), iniziava ad assumere un atteggiamento polemico e chiedeva un boccaglio nuovo: peraltro, nonostante gli agenti gli avessero dato quanto richiesto, cioè un nuovo boccaglio in confezione sigillata, l'interessato dopo aver aperto l'involucro, buttava lo strumento per terra dicendo invece che era usato.
In quel momento, in realtà, l'odierno ricorrente - come concludono con motivazione priva di aporie logiche i giudici del gravame del merito - era ben consapevole del significato della prova richiesta e delle responsabilità cui si esponeva proseguendo nell'espletamento del test; ed era tanto presente a se stesso da ideare nell'immediatezza una scusa, rivelatasi infondata, per impedire pretestuosamente la formazione di una prova a suo carico.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.
4. In ultimo, manifestamente infondato è il motivo in punto di mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen..
La Corte territoriale rispondendo alla specifica richiesta sul punto ha argomentatamente e logicamente motivato il diniego dell'invocata causa di non punibilità richiamando le complessive modalità della condotta, non certo di particolare tenuità, stante lo stato di alterazione in cui si trovava l'interessato quando si è posto alla guida, la pericolosità per se' e per i terzi di tale condotta (cui ha fatto seguito un incidente stradale) e l'insofferenza del predetto in più forme manifestata rispetto ai controlli dell'Autorità.
La sentenza, dunque, si colloca nell'alveo del dictum delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. Un. n. 13681 del 25/2/2016, T., Rv. 266590).
5. Ne’ può porsi in questa sede la questione di un'eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, D. L., Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, B., Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, N., Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, C., rv. 256463).
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 10 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2019.
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