Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 8459 del 14 marzo 2022

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 8459 del 14/03/2022
Circolazione Stradale - Artt. 141, 190 e 191 del Codice della Strada e art. 591 bis del c.p. - Comportamento dei pedoni e dei conducenti nei confronti dei pedoni - Omicidio stradale - Responsabilità del conducente per l'investimento del pedone - Motivi di esclusione - In tema di reati colposi, quali omicidio o lesioni, posti in essere nell'ambito della circolazione stradale, per escludere la responsabilità del conducente per l'investimento del pedone è necessario che la condotta di quest'ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile dell'evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo, poiché il conducente che noti sul percorso la presenza di pedoni che tardano a scansarsi, deve rallentare la velocità e, occorrendo, anche fermarsi allo scopo di prevenire inavvertenze e indecisioni pericolose dei pedoni stessi che si presentino ragionevolmente prevedibili e probabili.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16/11/2019, all'esito di giudizio abbreviato, il GUP presso il Tribunale di Brescia, condannava M. C., concessegli le circostanze attenuanti generiche nonché l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 alla pena condizionalmente sospesa di mesi 10 di reclusione, con la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 589-bis c.p., comma 1, perché, per colpa, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché in violazione delle norme che disciplinano la circolazione stradale, il 31/1/2017, alla guida dell'autovettura BMW, targata (OMISSIS), percorrendo SS 45 bis, nel territorio del comune di (OMISSIS), giunto all'intersezione con via Girelli, con direzione di marcia (OMISSIS), viaggiando alla velocità di 61,2 km/h nonostante il limite di 50 km/h, omettendo di moderare adeguatamente la velocità in considerazione delle circostanze di tempo e di luogo (centro abitato ed attraversamento pedonale), non avvedendosi tempestivamente del pedone B. V., che stava attraversando la carreggiata, in prossimità delle strisce pedonali, da destra verso sinistra, omettendo, inoltre, di porre in essere altre idonee manovre di emergenza o, comunque non riuscendo ad adottare, una manovra tale da consentire al pedone di raggiungere in condizioni di sicurezza il lato opposto della carreggiata, lo investiva cagionandogli lesioni personali gravissime per le quali decedeva poco dopo presso il presidio ospedaliero di (OMISSIS) (BS) per "trauma cranico, frattura scomposta pluriframmentaria femore sinistro, frattura del bacino, frattura femore destro, frattura perineale sinistro".

La Corte d'Appello di Brescia, pronunciando sul gravame interposto dall'imputato, con sentenza del 15/9/2020, in parziale riforma della sentenza impugnata, riconosciuta in favore dell'appellante M. C. l'ulteriore attenuante di cui all'art. 589-bis c.p., comma 7, rideterminava la pena allo stesso inflitta in mesi 8 di reclusione, sostituendo la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida di M. C. con quella della sospensione della patente stessa per la durata di anni uno e mesi sei, confermando nel resto.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il M., deducendo, con un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, vizio motivazionale in relazione alla mancata assoluzione dell'imputato per insussistenza dell'elemento soggettivo del reato.

Ci si duole che la corte di appello abbia ritenuto infondato il primo motivo di impugnazione sul presupposto dell'affidabilità della "scatola nera".

La sentenza impugnata ha ritenuto accertato che il M. non ha frenato prima dell'impatto con il pedone.

Si contesta l'individuazione del punto di impatto che sarebbe avvenuto a differenza di quanto ritenuto dai giudici a circa venti metri dal passaggio pedonale, indicando gli elementi a sostegno di tale tesi, tra cui la ricostruzione della dinamica operata dalla polizia locale e le testimonianze nessuna delle quali riferisce di avere assistito all'impatto, ma permette di ricostruire il punto dell'impatto all'altezza del civico 101, a oltre 10 metri dall'attraverso pedonale.

Si lamenta, poi, l'assenza di motivazione sulla deposizione resa da R. A., passeggero dell'imputato, in relazione alla velocità del mezzo e alla circostanza che solo dopo essere scesa dall'auto si rendeva conto dell'investimento, senza aver visto l'impatto.

La teste - prosegue il ricorso- ha riferito che l'autovettura proseguiva a bassa velocità e che l'impatto avveniva dopo aver oltrepassato un passaggio pedonale, aggiungendo di aver notato un'ombra sulla destra e di aver visto qualcosa che urtava contro il parabrezza.

Si precisa che la circostanza che la persona offesa abbia urtato il veicolo condotto dall'imputato e il parabrezza dello stesso, rappresenta una supposizione in quanto nessun testimone ha assistito all'impatto.

Anche il teste Lo. afferma di avere visto una bicicletta che volava in aria e un uomo che cadeva a terra ma non di avere assistito ad un impatto tra l'autoveicolo condotto dal M. e la persona offesa.

Dopo aver evidenziato che la sentenza impugnata dà atto che non appare provato se la vittima fosse sulla bicicletta o la conducesse a mano, si rileva che l'individuazione del punto di impatto in prossimità delle strisce pedonali, contrasta con gli elementi acquisiti rappresentati dalla ricostruzione del sinistro operata dalla polizia locale, dal rilievo planimetrico, dalle sit raccolte e dall'immagine fotografica prodotta dalla difesa.

In relazione ai dati estrapolati dalla scatola nera, consegnati dallo stesso imputato, si rileva di averne eccepito l'inattendibilità, sia in relazione ai dati cartografici registrati quel giorno che sulla velocità indicata, ma ci si duole che tale questione sia stata liquidata dal giudice di appello come un malfunzionamento transitorio e un'anomalia risoltasi prima del sinistro.

II ricorrente obietta che sulla scatola nera non è stata effettuata perizia e la circostanza che il M. procedesse a 60 Km/h non è una certezza e nemmeno rappresenta un dato coerente, a causa dell'anomalia riscontrata.

Dai tabulati acquisiti risulta che l'imputato si trovava alla ore 13:50:30 a (OMISSIS) alla velocità di 177 km/h e il minuto seguente alle 13:16:17 in Trentino alla velocità di O km/h.

Secondo la tesi proposta in ricorso, evidente appare l'anomalia registrata, della cui rilevanza dà atto il giudice di appello ritenendola, però, ininfluente trattandosi di un "malfunzionamento meramente transitorio".

L'attendibilità verrebbe affermata senza alcun rilievo di natura scientifica, ma unicamente in quanto la scatola inviava in tempo reale un rapporto di incidente con informazioni giudicate coerenti con le dichiarazioni dell'imputato e della teste R..

Il ragionamento seguito dai giudici, testualmente riportato nel ricorso, viene definito illogico perché a causa del rilevante malfunzionamento accertato non possono darsi per certi e precisi gli ulteriori dati registrati e ritenuti dalla corte di appello inconfutabili.

L'imputato e la sua compagna ricordano il percorso, ma non tutto il tragitto e dichiarano che procedevano a bassa velocità, tanto che la media viene indicata in 48,8 Km/h.

Per il ricorrente non appare comprensibile, quindi, perchè si possa ritenere provato, sulla base dei dati forniti dalla scatola nera, strumento non certificato, che l'imputato procedesse alla velocità di 60 Km/h.

Tra l'altro, sulla base della velocità indicata dalla scatola nera, il punto di impatto viene arretrato di circa 10 metri da quello dove è stato rinvenuto l'autoveicolo. Dall'analisi dello schizzo planimetrico, tale punto corrisponde con il lato più estremo delle strisce pedonali, in contrasto con quanto indicato dalla polizia locale, che attesta che il B. usciva in prossimità del civico 101, indicato con il n. 5 in planimetria, ubicato tra i 5 e gli 8 metri oltre il margine destro delle strisce pedonali.

Lo spostamento del punto di impatto contrasta anche con la deposizione resa dalla R. che riferisce di aver visto un'ombra e di essersi accorta di aver urtato una persona solo dopo essere scesi dall'auto, senza nulla dire su uno spostamento dell'auto di 10 metri.

Si aggiunge, inoltre, che se l'imputato avesse tenuto una velocità di 50 km/h o inferiore, avrebbe arrestato la marcia nello spazio di uno o due metri e quindi il punto di impatto ben potrebbe essere individuato a circa 20 metri dal passaggio pedonale come rilevato nel verbale della polizia locale, dove vi erano le piante di oleandro all'altezza del civico 101. E, ancora, l'assenza di segni di frenata dimostrerebbe che la velocità del mezzo era bassa; e in proposito viene richiamato un precedente di merito del Tribunale di Ivrea.

Ci si duole dell'illogicità e contraddittorietà della motivazione anche in relazione alla mancata considerazione dei rilievi sollevati sull'errata raffigurazione, in posizione perpendicolare alla vettura, in planimetria della persona offesa non corrispondente a quella raffigurata in foto in posizione frontale.

Errata appare per il ricorrente anche l'analisi dello stato dei luoghi in quanto la Corte distrettuale rigetta l'assunto difensivo, che l'attraversamento avveniva in zona ricca di vegetazione e in assenza di pali della luce, sulla base delle risultanze documentali acquisite in atti. Ma tale affermazione - ci si duole - non corrisponde al materiale fotografico e all'articolo di giornale contenente un'immagine fotografica acquisiti agli atti processuali. L'unico lampione presente era posizionato in corrispondenza delle strisce, mentre all'altezza del civico 101, dove avveniva l'attraversamento, non vi era illuminazione e vi erano piante di oleandro sia dopo il lampione che al termine del civico 101, come risultante dai rilievi di polizia.

Si richiama l'immagine fotografica prodotta dalla difesa, ricordando che il sinistro è avvenuto alle ore 18,46 del 30/1/2017, allorquando era già buio da almeno due ore.

Si aggiunge che l'abbagliamento dei fari è avvenuto in maniera del tutto imprevista, così come non prevedibile era l'attraversamento di un pedone dal carraio 101.

Si richiama la sentenza di questa sezione n. 10378 del 10/1/2018, con cui si afferma il principio che richiede, in tema di omicidio colposo, per la configurazione dell'elemento soggettivo del reato non solo la prevedibilità dell'evento ma anche l'evitabilità dello stesso.

Si rileva di aver sottolineato nei motivi di appello che la persona offesa avrebbe dovuta prestare attenzione al sopraggiungere delle autovetture tenendo conto dell'orario, dell'assenza di illuminazione e della presenza di piante di oleandro.

La sentenza impugnata - prosegue il ricorso - ha riconosciuto all'imputato solo l'attenuante di cui all'art. 589-bis c.p., comma 7, sul presupposto che non si potessero ipotizzare da parte della vittima di 96 anni, le manovre spericolate, improvvise e repentine, ipotizzate dalla difesa. Ma, rileva il ricorrente, la difesa ha eccepito solo la mancata attenzione della persona offesa al momento dell'attraversamento o immissione sulla carreggiata. Ciò confermerebbe la poca illuminazione del tratto stradale in quanto il B. avrebbe dovuto avvistare i fari dell'auto e attendere nel caso in cui volesse attraversare in quel punto.

La ricostruzione dell'evento - secondo la tesi proposta in ricorso - appare incerta e carente di motivazione, e non appare dimostrato nemmeno se la vittima abbia urtato contro il veicolo o a terra e non è stata effettuata l'autopsia sulle cause della morte.

Si contesta la sussistenza dei profili di colpa in quanto non è provata l'andatura alla velocità di 60 Km/h e la certezza dei dati registrati dalla scatola nera, oltre al ritenuto insufficiente grado di attenzione dell'imputato, non essendo avvistabile il pedone in quel punto della strada.

La motivazione resa dall'impugnata sentenza sarebbe fondata esclusivamente sulla ritenuta attendibilità dei dati della scatola nera, contrari alle altre prove acquisite in atti, rendendo la motivazione carente, contraddittoria ed illogica sulla ricostruzione della dinamica del sinistro e sulle cause della morte.

Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con le conseguenze di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene il Collegio che i motivi siano inammissibili in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E, ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).

3. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile.

Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.

La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato tutte le la tesi oggi riproposte, ivi compresa quella del non corretto funzionamento della scatola nera.

I fatti, per quello che rileva in questa sede, sono così stati ricostruiti dai giudici del merito.

Alle 18,45 circa del 31/0112017 il novantaseienne B. V. veniva investito mentre con la propria bicicletta attraversava la via Statale Gardesana in centro abitato di (OMISSIS). L'investimento avveniva in prossimità di un attraversamento pedonale, in un punto in cui la strada era ben illuminata con fondo asciutto e privo di anomalie. Le condizioni atmosferiche erano buone.

L'investitore, che aveva prontamente arrestato la marcia della propria autovettura per prestare soccorso, veniva identificato nell'odierno ricorrente M. C. e riferiva agli operanti di non essere riuscito ad evitare l'investimento del pedone mentre questi attraversava la sede stradale provenendo dalla sua destra e verso la sua sinistra. Il M. dichiarava di non ricordare se l'investito procedesse a bordo della propria bicicletta o se la stesse spingendo a mano.

La dinamica del sinistro veniva così ricostruita: il B. sarebbe stato urtato mentre stava attraversando la carreggiata uscendo dalla propria abitazione, posta al civico 101 della strada in questione; egli sarebbe stato sollevato sul cofano, avrebbe urtato con violenza il parabrezza della BMW del M. e sarebbe stato infine sbalzato a terra ad una distanza di tre metri dalla parte frontale dell'autovettura.

A fronte di tale dinamica il GUP riporta le prime dichiarazioni del M., il quale, nell'immediatezza, riferiva che, dopo avere superato l'attraversamento pedonale sito all'intersezione tra la strada statale e (OMISSIS), si era improvvisamente trovato davanti un pedone munito di velocipede (non ricordava se lo stesse conducendo a mano) che da destra rispetto al suo senso di marcia attraversava la strada verso sinistra; non era riuscito ad evitare l'impatto in quanto improvviso e perchè era stato in parte abbagliato dai fari delle vetture che provenivano dall'opposto senso di marcia. Riporta altresì le dichiarazioni rese dal teste L., che ha riferito di aver notato "una bicicletta che volava in aria all'altezza delle piante di oleandro poste a bordo strada" e di aver visto un uomo cadere a terra all'interno della corsia opposta di marcia, vicino al passaggio pedonale di (OMISSIS).

Sempre il giudice di primo grado riporta ancora le dichiarazioni della teste R., trasportata sull'auto investitrice, la quale aveva dichiarato che M. stava attraversando il centro di (OMISSIS) ad andatura moderata e di avere percepito, dopo l'attraversamento pedonale, un'ombra scura alla propria destra e subito dopo sentito un forte colpo e visto "qualcosa collidere con il parabrezzà ha aggiunto di non aver notato la bicicletta perché non aveva visto l'infortunato prima dell'impatto.

Durante la fase delle indagini preliminari veniva acquisita la scatola nera dell'auto del M., da cui si acquisivano i dati di registrazione che evidenziavano che al momento dell'impatto l'autovettura viaggiava alla velocità di 61,2 Km/h in un tratto di strada gravato dal limite di 50 Km/h.

In udienza l'odierno ricorrente rendeva ulteriori dichiarazioni, asserendo che la sera del fatto, transitando in (OMISSIS), aveva superato l'attraversamento pedonale e ad un certo punto aveva sentito un colpo; che senza comprendere cosa fosse accaduto era sceso dal veicolo vedendo a terra una persona; che non aveva in alcun modo visto l'investito in fase di attraversamento, essendosi forse distratto solo un secondo in quanto dal senso di marcia opposto sopravvenivano veicoli con fari abbaglianti.

Sulla base di tali elementi il primo giudice era pervenuto all'affermazione di responsabilità del M., alla luce dei fatto che: a) l'investimento era avvenuto all'interno di un centro abitato ben illuminato e in una strada a due corsie non connotata da anomalie, la sera del fatto non vi erano precipitazioni e l'attraversamento pedonale in prossimità del quale è occorso il sinistro era segnalato da strisce orizzontali; b) B. T. era stato investito a breve distanza dalle strisce pedonali, a bordo o a fianco della propria bicicletta con pedalata assistita, mentre tentava di attraversare trasversalmente la strada ove transitava la vettura di M. C.; c) i danni riportati dai veicoli coinvolti confermano la dinamica del sinistro come sopra descritta, in quanto la vettura BMW tg. (OMISSIS) condotta da M. dopo l'impatto presentava la frantumazione del parabrezza e danni al cofano motore, deformato dal corpo della vittima, mentre la bicicletta del B. ha riportato danni alla parte sinistra (forcella, componenti elettrici, telaio), a riprova che l'urto con la BMW è occorso con un angolo di 90; d) M. non aveva in alcun modo tentato di frenare il veicolo, non essendo state rinvenute tracce di frenata, di tal che la marcia era stata arrestata solo dopo l'investimento, come del resto documentato dal diagramma dell'analisi del crash relativo alla velocità del veicolo.

A fronte di ciò il primo giudice aveva ritenuto provata la dinamica del sinistro descritta nel capo d'accusa, ovvero di un investimento occorso a meno di dieci metri di distanza dalle strisce pedonali in assenza di frenata e con caricamento e sbalzo del pedone, al cui corpo è stata così impressa una modesta traslazione fino al punto di caduta a terra, ritraendosi da ciò la prova del fatto che l'imputato, non avvedendosi dell'attraversamento del B., lo ha colpito senza frenare la velocità di marcia, nè ponendo in essere manovre alternative rispetto al suo investimento, occorso dunque con violenza tale da provocare la rottura del parabrezza della vettura del M. e i postumi lesivi che portavano al decesso della persona offesa.

Venivano in particolare ritenuti fondati circa la condotta di guida tenuta dal M. gli addebiti di colpa attinenti alla velocità eccessiva ed alla mancanza di sufficiente attenzione nella guida.

Il primo giudice aveva altresì disatteso le allegazioni difensive miranti a dimostrare che il sinistro era stato provocato dall'attraversamento improvviso ed imprevedibile della vittima, a tal riguardo rivalutando le dichiarazioni rese dal M. nell'immediatezza del sinistro (ovvero di avere visto l'attraversamento, ma di non essere stato in grado di evitare l'investimento in quanto abbagliato dai fari), ritenendole più attendibili di quelle rese in udienza (quando aveva dichiarato di non essersi nemmeno reso conto di aver investito una persona se non dopo essere sceso dall'auto), escludendo quindi che vi fosse alcun elemento dimostrativo di una condotta eccezionale atipica ed imprevedibile del pedone.

Parimenti già il giudice di primo grado aveva disatteso le contestazioni difensive circa l'attendibilità dei dati di velocità e collocazione spaziale al momento del sinistro ricavati dalla scatola nera installata sul veicolo del M..

Si tratta di un tema intorno al quale si è imperniata la linea difensiva dell'imputato.

Osservava a tal riguardo il GUP che tale inattendibilità non può ricavarsi dall'isolata anomalia circa la rilevazione di una velocità incongrua e di una erronea collocazione del veicolo in Trieste nel primo pomeriggio del medesimo giorno, e ciò a fronte di un monitoraggio costante dei dati di movimentazione per l'intera giornata, dati registrati in tempo reale dal sistema di geolocalizzazione installato sulla vettura ed inviati al relativo server.

4. In appello veniva proposto in punto di responsabilità il medesimo motivo odierno, ovvero la mancanza di prova dell'elemento soggettivo colposo.

Veniva dedotta, sotto un primo profilo, l'assenza di contraddittorietà tra le dichiarazioni rese dal M. nell'immediatezza dei fatti e quelle rese in udienza e come la deposizione della teste R. confermerebbe la versione dell'imputato di non avere notato l'attraversamento del pedone; le dichiarazioni del teste L. sarebbero state fraintese, assumendo il GUP che egli viaggiasse nella medesima direzione del M., mentre in realtà proveniva dall'opposto senso di marcia.

Sotto altro profilo veniva sottoposta ai giudici del gravame del merito la questione che la ricostruzione della dinamica di incidente operata dalla Polizia Locale sarebbe meramente probabilistica e, pur non mettendo in dubbio che il B. sia stato investito dall'auto del M., la difesa aveva sostenuto non essere provato che fu il corpo del pedone ad essere caricato sull'auto, ipotizzando che ad essere caricata sul cofano del veicolo possa essere invece stata la bicicletta condotta dalla vittima. Ancora, era stata nuovamente dedotta l'inattendibilità dei dati di velocità e posizione al momento del sinistro ricavati dalla scatola nera dell'auto del M., sul rilievo dell'incongruità dei dati trasmessi dall'apparecchio al server alle ore 13,15 e ss del medesimo giorno dove l'auto veniva rilevata a (OMISSIS) alla velocità di 177 Km/h e il minuto successivo veniva rilevata in (OMISSIS) alla velocità di O Km/h.

Quanto al comportamento della vittima, era stato evidenziato che esso fu anomalo in quanto il B. avrebbe attraversato la strada in prossimità (a circa 20 metri), ma non sulle strisce pedonali, e procedendo trasversalmente alla sede stradale, si sconosce se a piedi o a bordo della bicicletta.

Tale condotta rappresenterebbe un'azione assolutamente improvvisa e comunque posta in essere ad una distanza di almeno 20 metri dall'attraversamento pedonale. Sosteneva a questo riguardo che il B. si sarebbe avventato "improvvisamente, uscendo da una zona ricca di vegetazione ed in assenza di pali della luce, in orario invernale serale" ed avrebbe posto in essere l'attraversamento in un punto non assistito da strisce pedonali. E tali condizioni avrebbero impedito al M., tra l'altro abbagliato dai fari, di impedire l'evento.

Orbene, la Corte territoriale - che pure ha mitigato la condanna nei confronti del M. riconoscendogli la circostanza attenuante di cui all'art. 589-bis c.p., comma 7 - ha confutato argomentatamente, con motivazione congrua e priva di aporie logiche, tutti i motivi in punto di responsabilità.

Quanto al fatto che non vi sarebbe contrasto tra le dichiarazioni rese dal M. nella costanza dell'incidente (secondo cui si sarebbe trovato davanti un pedone proveniente dalla sua destra e non sarebbe risuscito ad evitare l'impatto anche perché abbagliato dai fari dei veicoli provenienti in senso opposto) e quelle rese in sede di interrogatorio (secondo cui egli non avrebbe affatto notato il pedone e si sarebbe limitato a sentire un colpo senza rendersi conto nel modo più assoluto di che cosa l'avesse causato) i giudici del gravame del merito rilevano che, a prescindere dall'oggettiva diversità del tenore delle due versioni sopra citate, la questione non è affatto dirimente, atteso che risulta pacifico ed assunto come provato dallo stesso difensore che il M. non abbia frenato prima dell'impatto con il pedone, sia stato ciò imputabile al non aver egli affatto avvistato il pedone prima dell'urto, sia che ciò sia dovuto al fatto che, pur notato il pedone, non abbia egli tempestivamente attivato congrua azione frenante.

La Corte territoriale ha fornito ulteriori specificazioni quanto al punto d'impatto, dando atto che, mentre il primo giudice colloca con una certa inevitabile approssimazione il punto di impatto circa una decina di metri dopo l'attraversamento pedonale, la Difesa sostiene che la manovra di attraversamento posta in essere dal B. fu effettuata almeno 20 metri dopo il suddetto attraversamento zebrato.

Rilevano, tuttavia, i giudici di appello che risultano sul punto essere state del tutto trascurate dalla difesa le risultanze dei rilievi effettuati dalla polizia locale di (OMISSIS) e confluite nello schizzo planimetrico in scale redatto dal medesimo organo di polizia stradale e che parimenti non pare essere stato esaminato il conforme stato dei luoghi emergente dall'ampio materiale fotografico acquisito dai verbalizzante al momento del sopralluogo eseguito nell'immediatezza del sinistro.

Sulla base di dette emergenze per la Corte bresciana risulta acquisito con non opinabile grado di certezza, discendente dalla esecuzione in scala della suddetta planimetria e del conseguente sviluppo in rapporto 1 a 200 degli spazi ivi rappresentati, che il corpo riverso a terra della persona investita venne rilevato dai verbalizzanti alla distanza di circa 15 metri dalla linea mediana dell'attraversamento zebrato, mentre la parte frontale dell'autovettura investitrice era fermo alla distanza di circa 2-3 metri dal corpo stesso (quindi alla distanza di circa 12-13 metri dal precitato attraversamento). Tali distanze - si legge in sentenza - sono pienamente coerenti con la rappresentazione fotografica dello stato dei luoghi e delle cose documentata in atti (si i richiamano, in particolare, le fotografie di cui ai fogli da 49 a 52 e 62).

Tali dati oggettivi, non equivocamente interpretabili secondo la logica motivazione del provvedimento impugnato, dimostrano quindi con certezza che l'investimento del pedone da parte del M. non è affatto avvenuto 20 metri dopo l'attraversamento pedonale, bensì proprio in corrispondenza di tale attraversamento.

Assunto infatti, come dimostrano i dati registrati dalla scatola nera, che il veicolo del M. procedeva al momento dell'investimento alla velocità di circa 60 Km/h, e che il veicolo stesso, come sopra argomentato, si è fermato circa 12-13 metri dopo l'attraversamento pedonale, è necessario corrispondentemente arretrare il punto di impatto con il pedone quantomeno dello spazio di frenata tra il momento in cui il conducente ha avvertito l'urto e quello in cui l'auto si è arrestata, spazio a quella velocità certamente corrispondente a più di 10 metri) In tale contesto vengono allora ritenute non avere pregio alcuno le considerazioni difensive circa il preteso fraintendimento da parte del primo giudice della deposizione del teste L., essendo pacifico che quest'ultimo stesse percorrendo, al momento del sinistro, la via Statale (OMISSIS) e che abbia incrociato l'autovettura del M., provenendo dal senso opposto, al momento dell'incidente, tanto da aver avuto una visuale frontale e piena dell'incidente. Perciò, a prescindere dall'inesatta indicazione contenuta nella sentenza di primo grado circa il senso di marcia tenuto dal L., restano probanti i dati ritenuti e valutati dal primo giudice sulla base della testimonianza resa dal predetto, laddove questi ha riferito "ho notato una bicicletta che volava in aria all'altezza delle piante di oleandro poste a bordo strada e dopo ho visto chiaramente un uomo che cadeva a terra all'interno della corsia opposta di marcia, vicino al passaggio pedonale posto all'altezza di (OMISSIS)".

Parimenti irrilevante, per i giudici di appello, è poi che la ricostruzione del sinistro operata dalla polizia locale nell'immediatezza del sinistro sia stata approssimativa e meramente probabilistica, atteso che sulla base dei dati oggettivi acquisiti, e sopra richiamati, la dinamica dell'investimento risulta chiara e del resto coincidente, eccetto quanto al punto dell'investimento, con quella riferita dallo stesso M..

5. La Corte territoriale, con motivazione logica e congrua, aderendo all'apparato argomentativo sviluppato dal primo giudice, aveva affrontato e confutato anche la tesi in ordine alla contestata attendibilità dei dati di velocità e posizione rilevati dalla c.d. scatola nera montata sul veicolo dell'imputato.

La questione - che già in appello la Corte territoriale aveva sottolineato essere stata riproposta tal quale - è stata comunque ritenuta senz'altro rilevante, facendo la difesa leva sull'anomalia riscontrata per pochi secondi, nella stessa giornata dell'incidente alle precedenti ore 13,15, laddove l'auto era stata rilevata nel breve volgere di pochi istanti in luoghi e velocità incongruenti e del tutto inattendibili.

Tuttavia, i giudici di appello evidenziano che la cd. scatola nera in occasione del sinistro che ha visto coinvolta la vettura del M., in data 30/1/2017, ha regolarmente inviato in tempo reale alla centrale di assistenza della compagnia assicuratrice GENERALI un rapporto di incidente (il c.d. crash report), corredato di tutte le informazioni utili per la ricostruzione dell'incidente, informazioni di collocazione e velocità della suddetta autovettura non solo del tutto coerenti sia con quelli dichiarati dall'imputato e dalla teste R. negli istanti antecedenti al sinistro, ma altresì coerente rispetto ai luoghi ed all'itinerario seguito dall'imputato nel corso della giornata.

Coerente con le oggettive emergenze di fatto - prosegue la sentenza impugnata - è anche la collocazione al momento del sinistro dell'autovettura in percorrenza sulla via Statale (OMISSIS) in (OMISSIS) con direzione (OMISSIS), così come coerente è l'individuazione del punto in cui è avvenuto l'incidente, subito dopo l'intersezione con la (OMISSIS). E coerente è, ancora, la velocità indicata, pari a 61,2 Km/h. rispetto all'accertato quasi immediato arresto del veicolo dopo l'intervenuto impatto, veicolo che risulta essere stato fermato in 2 secondi dall'impatto come dalla tabella in atti.

A fronte di tali evidenze, logico appare il rilievo che l'isolata rilevazione nel primo pomeriggio (segnatamente alle 13,13) di una velocità incongrua e di un erroneo posizionamento del veicolo non è indicativo se non di un malfunzionamento meramente transitorio e di un'anomalia momentanea prontamente risoltasi ben prima del sinistro, come dimostra il regolare funzionamento dell'apparato per tutto il restante corso della giornata.

6. Per la Corte bresciana, dunque, può affermarsi, in primis, che l'attraversamento della sede stradale da parte della vittima non avvenne, alla distanza di oltre 20 metri dall'attraversamento pedonale, bensì in corrispondenza di esso o comunque in sua prossimità. Anche perché, come ben evidenziato dal primo giudice, non si può certo ragionevolmente attribuire all'anziano B., di anni 96, una forza ed un'agilità tali da consentirgli spericolate evoluzioni, nonché improvvise e repentine manovre come quelle evocate dall'appellante, sempre ammesso che lo stesso procedesse a bordo del proprio velocipede e non lo conducesse invece a mano.

In tale contesto allora, per i giudici del gravame del merito risulta necessario valutare quale fosse lo stato dei luoghi in cui si è verificato il sinistro per apprezzare se l'anziano ciclista fosse o meno avvistabile dal M. e se questi avesse la possibilità di evitare l'incidente, tenuto conto della tesi difensiva secondo cui il B. avrebbe effettuato l'attraversamento provenendo da "una zona ricca di vegetazione" ed "in assenza di pali della luce".

In sentenza si rileva che tali allegazioni difensive sono totalmente sconfessate dalle risultanze documentali acquisite in atti, deponendo in tal senso, in particolare, il materiale fotografico acquisito in costanza di incidente dagli operanti, che rappresenta come l'attraversamento pedonale in questione risultasse libero da ogni impedimento visivo per i veicoli sopraggiungenti nella direzione (OMISSIS), come la visuale rispetto a detto attraversamento fosse piena e sgombra da ostacoli, come in corrispondenza di esso non fosse sia alcuna pianta né sussista vegetazione di sorta e infine come proprio ivi sia collocato un lampione della pubblica illuminazione. Peraltro, anche immediatamente a seguire rispetto a detto attraversamento, non sussisteva alcun ostacolo vegetale alla visibilità, sviluppandosi il marciapiede latistante la sede stradale, peraltro per buon tratto rialzato rispetto ad essa, senza presenza di arbusti od altra essenza impediente e con la presenza di distanziati alberelli di oleandro a medio fusto senz'altro non tali da nascondere eventuali pedoni, specie se ciclomuniti.

Ancor meno idonea ad escludere la responsabilità colposa del M. - secondo la logica ricostruzione della Corte bresciana - è l'evocata condizione di parziale abbagliamento, che per costante e consolidato indirizzo giurisprudenziale non scusa ex se, se non quando essa si sia manifestata in maniera imprevista ed imprevedibile, situazione non certo sussistente nel caso di specie ove la strada aveva andamento rettilineo, si sviluppava in centro abitato e vi era concomitante illuminazione pubblica.

In condizioni di abbagliamento il conducente è tenuto a rallentare ed anche ove del caso interrompere la marcia, adottando opportune cautele, così da non creare intralcio alla circolazione ovvero l'insorgenza di situazioni di pericolo connesse alla circolazione del proprio veicolo, attendendo di superare gli effetti del fenomeno impeditivo della visibilità (conferenti, in tal senso, in tema di abbagliamento da raggi solari, sono le richiamate sentenza n. 10337/1989, Barberio, Rv. 181837; n. 3240/1991 Rv. 186733; n. 17390/2018, Rv. 272647).

Del tutto motivata, pertanto, è la ritenuta sussistenza di entrambi i profili di colpa individuati dal primo giudice, atteso che da un lato la velocità con cui il M. conduceva il proprio veicolo in ambito urbano, in presenza di attraversamenti pedonali zebrati ed in orario serale non era adeguata e comunque era superiore a quella massima consentita; dall'altro egli prestava alla guida un'insufficiente grado di attenzione, tanto che non si avvedeva della presenza del B., intento ad attraversare la strada in prossimità di passaggio zebrato e lo urtava senza neppure abbozzare un tentativo di frenata, pur essendo il pedone facilmente avvistabile e l'attraversamento avvenisse in zona ben illuminata con strada a sviluppo rettilineo.

Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente ripropone per l'ennesima volta i medesimi temi, senza un reale confronto critico con le argomentazioni dei giudici di merito, chiedendo una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.

7. La sentenza impugnata, infine, appare collocarsi correttamente nell'alveo della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità in relazione al cosiddetto principio di affidamento - complessa questione teorica, ricca di implicazioni applicative - evocato in ricorso a favore dell'imputato assumendosi la non prevedibilità del comportamento tenuto dalla persona offesa, che avrebbe attraversato la strada imprudentemente.

Va ricordato che il principio di affidamento, in tema di circolazione stradale, trova un temperamento, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità (cfr. ex multis le recenti Sez. 4 n. 51747 del 27/11/2019, Ripepi e 10062 del 14/2/2019, Nostrani, non massimate e le conformi Sez. 4, n. 27513 del 10/05/2017, Mulas, Rv. 269997, alla cui articolata e condivisibile motivazione si rimanda, in un caso in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza con la quale era stata ritenuta la responsabilità per lesioni del conducente di un ciclomotore che aveva investito un pedone mentre attraversava al di fuori delle strisce pedonali, in un tratto rettilineo ed in condizioni di piena visibilità, per la condotta di guida non idonea a prevenire la situazione di pericolo derivante dal comportamento scorretto del pedone, rischio tipico e ragionevolmente prevedibile della circolazione stradale) e Sez. 4, n. 5691 del 2/2/2016, Tettamanti, Rv. 265981).

Nell'affermare il medesimo principio, con altra condivisibile pronuncia (Sez. 4, n. 12260 del 9/1/2015, Moccia ed altro, Rv. 263010), questa Corte di legittimità aveva annullato la sentenza con la quale era esclusa la responsabilità del guidatore per omicidio colposo di un pedone, il quale, sceso dalla portiera anteriore dell'autobus in sosta lungo il lato destro della carreggiata, era passato davanti all'automezzo ed era stato investito dall'imputato, che aveva rispettato il limite di velocità ma non aveva provveduto a moderarla in ragione delle condizioni spazio-temporali di guida e, segnatamente, della presenza in sosta del pullman).

Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha condivisibilmente statuito, fin da tempo risalente, che il conducente che noti sul percorso la presenza di pedoni che tardano a scansarsi, deve rallentare la velocità e, occorrendo, anche fermarsi; e ciò allo scopo di prevenire inavvertenze e indecisioni pericolose dei pedoni stessi che si presentino ragionevolmente prevedibili e probabili" (così questa Sez. 4 sent. 8859/1988), in quanto la circostanza che i pedoni attraversino la strada improvvisamente o si attardino nell'attraversare costituisce un rischio tipico e quindi prevedibile della circolazione stradale.

Sempre in tema di pedoni, questa Corte ha più volte affermato che, in tema di reati colposi (omicidio o lesioni) posti in essere nell'ambito della circolazione stradale, per escludere la responsabilità del conducente per l'investimento del pedone è necessario che la condotta di quest'ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile dell'evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo (così questa Sez. 4, sent. n. 10635/2013 e, nello stesso senso sent. 33207/2013 secondo cui "il conducente del veicolo va esente da responsabilità per l'investimento di un pedone quando la condotta della vittima configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista nè prevedibile, da sola sufficiente a produrre l'evento, circostanza questa configurabile ove il conducente medesimo, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell'oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile").

8. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2022.

 

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