Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 8431 del 14 marzo 2022

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 8431 del 14/03/2022
Circolazione Stradale - Art. 189 del Codice della Strada - Comportamento in caso di incidente - Fuga e omissione di soccorso - Configurabilità - In tema di circolazione stradale, l'obbligo di fermarsi e di prestare assistenza alle persone ferite coinvolte nel sinistro non è legato alla sola consumazione ed all'accertamento di un reato, ma anche al semplice verificarsi di un incidente stradale, comunque ricollegabile al comportamento dell'utente della strada al quale l'obbligo è riferito.


RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'appello di Roma, con sentenza dell'1/10/2020, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Roma di condanna alla pena di mesi due di reclusione nei confronti di P. A. per il reato di cui all'art. 189 C.d.S., comma 7.

I Giudici di merito, nelle due sentenze conformi, hanno ritenuto il P. responsabile di non avere prestato soccorso a F. A., la quale, secondo la ricostruzione offerta dai giudici nelle due sentenze conformi, caduta dal motorino a causa della condotta di guida serbata dall'imputato, conducente della vettura Jeep Grand Cherokee, non era stata soccorsa dal conducente.

2. Avverso la sentenza di cui sopra ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo di difensore, formulando i seguenti motivi di doglianza.

I) Violazione dell'art. 189 C.d.S. e degli artt. 192 e 533 c.p.p.; motivazione apparente; carenza assoluta di motivazione rispetto alle censure difensive riguardanti la richiesta assolutoria per insussistenza del fatto-reato e la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.

Ad avviso dei giudici di appello, perché si configuri il reato in contestazione è sufficiente che il soggetto agente abbia svolto un qualsiasi ruolo nella causazione dell'evento, dovendo questo essere ricollegabile alla sua condotta senza che sia necessaria la prova di un nesso di causalità specifico.

Nel disattendere, quindi, le censure difensive di cui all'atto di appello, la sentenza impugnata si sarebbe limitata ad affermare che, nonostante al momento della verificazione dell'evento non siano stati compiuti rilievi per la ricerca di tracce sulla strada, sarebbero sufficienti a consentire la ricostruzione del fatto le deposizioni rese dai testimoni oculari e dalla parte offesa, essendo le loro dichiarazioni omogenee e non discordanti circa la dinamica dell'incidente e l'identificazione della targa dell'autovettura. Si aggiunge in motivazione che, "anche a voler ipotizzare, come sostenuto dalla difesa, che la P.O. non fosse stata trascinata sull'asfalto bensì fosse caduta spontaneamente, comunque la sua perdita di equilibrio sarebbe ricollegabile al comportamento di guida dell'imputato nello svoltare a destra tagliando la strada al ciclomotore".

Detto ultimo passaggio motivazionale rivelerebbe l'errore nel quale sono incorsi i giudici di merito. Nell'interpretazione della norma incriminatrice il primo ed ineludibile criterio è quello letterale: il riferimento all'inciso di cui all'art. 189 C.d.S., comma 1 ("in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento") richiama la necessità di un collegamento eziologico tra il comportamento dell'utente della strada e l'incidente stesso. Ai fini della sussistenza del reato non può prescindersi dalla prova del nesso di causalità o, comunque, non può prescindersi dalla prova che il soggetto agente abbia svolto un ruolo qualsiasi nella causazione dell'evento dannoso.

Con il gravame si era lamentato come il compendio probatorio acquisito non consentisse di affermare la responsabilità dell'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio, essendo incerta la dinamica del fatto emersa dalla istruttoria dibattimentale compiuta. Sul luogo dell'incidente non erano stati effettuati rilievi alla ricerca di eventuali tracce sull'asfalto ed il motorino era stato spostato dalla posizione di quiete raggiunta a seguito dell'impatto prima che sul posto intervenissero gli operanti.

Si era inoltre rilevato come il racconto della parte offesa non fosse lineare: in alcuni passaggi la F. addebitava la caduta del mezzo all'impatto con la vettura; in altri passaggi attribuiva la caduta ad un'autonoma perdita di equilibrio quando il mezzo le aveva tagliato la strada (in particolare, secondo la parte offesa, allo scattare del verde del semaforo, mentre lei con il motorino ripartiva per proseguire dritta lungo la strada, la vettura le si sarebbe affiancata a sinistra e, nel ripartire, avrebbe svoltato a destra, tagliandole la strada).

Tutto ciò renderebbe scarsamente convincente sul piano logico la narrazione offerta dalla persona offesa, determinando totale incertezza sulla dinamica del fatto.

Si era ulteriormente osservato come i danni riportati dal motorino, indicati in atti dalla persona offesa, fossero incompatibili con una collisione. Infatti, nel cadere verso sinistra, come riferito dalla persona offesa, il motociclo avrebbe incontrato la fiancata destra o la parte anteriore destra della macchina, contro la quale, come riferito dalla persona offesa, il motorino avrebbe impattato. Tale circostanza avrebbe potuto essere confermata da un accertamento sui danni riportati dalla Jeep, accertamento negato dal primo giudice, sebbene sollecitato dalla difesa ex art. 507 c.p.p..

In ordine a tale profilo la difesa aveva vanamente chiesto nel giudizio di primo grado, in esito all'acquisizione delle prove, che venisse escusso il responsabile della società "N. S. Auto", a cui la vettura del P. era stata ceduta, stante l'assoluta necessità ai fini del decidere.

Ulteriori lacune motivazionali sono riscontrabili nella valutazione delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla polizia giudiziaria; nella valutazione delle dichiarazioni rese dal teste R. F., il quale, in sede di controesame, ha infine ammesso di non avere assistito al momento del presunto impatto, e delle dichiarazioni rese dalla teste C. M., che ha introdotto ulteriori motivi di dubbio nella ricostruzione del fatto.

II) Violazione di legge in relazione all'art. 189 C.d.S.; mera apparenza della motivazione e sua mancanza assoluta rispetto alle censure difensive riguardanti la richiesta di assoluzione dell'imputato perchè il fatto non costituisce reato.

Si era osservato come fosse ben possibile, sulla base degli elementi raccolti in istruttoria (macchina molto alta, motorino della F. collocato dal lato passeggero della Jeep) che il P. non avesse affatto percepito l'eventuale impatto con il motociclo; ed invero, nella dichiarazione resa ai verbalizzanti, acquisita agli atti su impulso della difesa, il ricorrente affermava, evidentemente dando conto della propria percezione, che la F. aveva appoggiato il motorino a terra. La versione fornita dall'imputato troverebbe conforto in una serie di circostanze non attentamente valutate dalla Corte di merito: il mezzo coinvolto era risultato intestato alla società "T. C", come riferito in dibattimento dal teste qualificato B., ed il P., amministratore unico della società, con dichiarazione inoltrata agli agenti, aveva ammesso senza difficoltà di essere alla guida della vettura nella data dell'occorso. Si era poi fatto notare come fosse antitetico alla percezione di aver cagionato un incidente idoneo ad arrecare danni alla persona l'invettiva nei confronti della F.: se fosse stato certo di aver causato un incidente stradale ed avesse avuto intenzione di fuggire, il P. non si sarebbe mostrato alla conducente del motorino e non avrebbe rallentato per insultarla, consentendole di prendere il numero di targa.

Inoltre la F. non era sanguinante e rifiutò l'assistenza della C. al momento del fatto. Ciò dimostra che neppure la persona offesa ebbe percezione di avere bisogno di aiuto e di avere subito danni fisici.

3. Il P.G., nel rassegnare conclusioni scritte ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

La difesa di parte civile ha depositato nota spese e conclusioni scritte nelle quali ha chiesto il rigetto o, in subordine, l'inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Le ragioni di doglianza dedotte dall'imputato risultano manifestamente infondate, pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

2. I giudici dei gradi di merito, con motivazioni che si integrano reciprocamente, hanno ricostruito i fatti in maniera puntuale ed aderente alle risultanze processuali, affermando, con ragionamento immune da censure, come la condotta serbata dall'imputato integrasse gli estremi del reato a lui addebitato sotto il profilo oggettivo e soggettivo. La motivazione della sentenza impugnata non soffre dei vizi lamentati dalla difesa: attraverso una dettagliata analisi delle risultanze in atti, la Corte di merito è giunta a ritenere che il ricorrente, agendo nella piena consapevolezza di porre in essere la pericolosa manovra di guida che gli viene addebitata, di cui non poteva non essersi reso conto, consistita nel superare il ciclomotore al semaforo e nello svoltare repentinamente a destra, si è deliberatamente allontanato dopo la caduta della persona offesa dal motorino, omettendo di accertarsi dell'accaduto e di prestare soccorso alla vittima.

L'obbligo di fermarsi e prestare assistenza è un reato omissivo di pericolo, il cui elemento materiale consiste nell'allontanarsi dal luogo dell'investimento così da impedire o anche solo da ostacolare l'accertamento della propria identità personale, l'individuazione del veicolo investitore e la ricostruzione delle modalità dell'incidente.

Pertanto, in occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento, da cui sia derivato un danno alle persone, il conducente di un veicolo ha il dovere di fermarsi sul posto, prestare assistenza ad eventuali feriti ed ivi permanere per tutto il tempo necessario all'espletamento delle prime indagini rivolte ai fini della identificazione sua e del veicolo condotto, perché, si è precisato, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire ne l'identificazione del conducente, ne’ quella del veicolo, ne’ lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell'incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica (così Sez. 4, n. 20235 del 25/01/2006, Mischiatti, Rv. 234581).

Quanto al collegamento causale tra la condotta di guida ed il sinistro, su cui particolarmente si sofferma la difesa, la Corte di merito ha fatto buon governo dei principi espressi in questa sede, rimarcando come sia sufficiente che il soggetto agente abbia svolto un ruolo qualsiasi nella causazione del sinistro, non essendo necessario che sussista uno specifico nesso causale tra la condotta di guida ed il sinistro stradale e non essendo richiesto che il sinistro sia addebitabile a responsabilità del soggetto agente: chiaro è l'intendimento della norma, che, nella sua formulazione ampia, prevede il semplice collegamento del sinistro alla circolazione di un veicolo (Sez. 4, Sentenza n. 52539 del 09/11/2017, Rv. 271260 - 01: "In tema di circolazione stradale, il reato di cui all'art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, è configurabile nei confronti dell'utente della strada coinvolto nel sinistro, pur se non responsabile dello stesso, in quanto l'"incidente", che è comunque ricollegabile al suo comportamento, assume il valore di antefatto non punibile idoneo ad identificare il titolare di una posizione di garanzia al fine di proteggere gli altri utenti coinvolti dal pericolo derivante da un ritardato soccorso"; Sez. 4, n. 33761 del 17/05/2017, Rv. 270905 -01: "In tema di circolazione stradale, l'obbligo di fermarsi e di prestare assistenza alle persone ferite non è legato alla consumazione ed all'accertamento di un reato, ma al semplice verificarsi di un incidente stradale, comunque ricollegabile al comportamento dell'utente della strada al quale l'obbligo è riferito").

La Corte di merito ha illustrato in modo puntuale la ricollegabilità del fatto alla condotta di guida del ricorrente, prendendo in esame anche la tesi ricostruttiva sostenuta dalla difesa e concludendo che sarebbe egualmente sussistente la responsabilità dell'imputato in tale ipotesi: "Nel caso di specie, anche a voler ipotizzare, come sostenuto dalla difesa, che la p.o. non fosse stata trascinata sull'asfalto bensì fosse caduta spontaneamente, comunque la sua perdita di equilibrio sarebbe "ricollegabile" al comportamento di guida dell'imputato nello svoltare a destra tagliando la strada al ciclomotore".

Sul punto la difesa mira a sollecitare una non consentita rivalutazione delle emergenze probatorie tesa ad accreditare una diversa interpretazione di esse. In proposito occorre rammentare che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (da ultimo, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, Rv. 280601 - 01).

Preme sottolineare che la valutazione in ordine all'attendibilità del narrato della persona offesa e dei testimoni sia stata condotta in modo adeguato e conforme ai criteri stabiliti in questa sede. Occorre in proposito rammentare come, in tema di testimonianza, le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa, dell'attendibilità intrinseca del suo racconto e senza necessità di ricorrere a riscontri esterni (così ex multis Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, Rv. 275312 - 01).

Nel caso in esame le motivazioni conformi dei giudici di merito hanno messo in rilievo come le dichiarazioni della persona offesa, avvalorate dalla certificazione medica, abbiano trovato puntuale conferma nella concorde versione dei fatti resa dai testimoni che hanno assistito al fatto ed hanno provveduto a soccorrerla.

3. Sono del pari inammissibili le doglianze riguardanti l'elemento soggettivo del reato.

La Corte di merito, con logica e persuasiva motivazione, dopo avere analizzato lo svolgimento dei fatti, risultanti dalla deposizione della persona offesa e dei testimoni al fatto, ha ritenuto che il P. non potesse non essersi accorto dell'incidente provocato. Si è posto in rilievo che l'imputato, dopo la caduta della vittima, prima di allontanarsi, si è sporto dal finestrino ed ha insultato la F..

La difesa sostiene, richiamando ancora l'attenzione del giudice di legittimità su aspetti valutativi, che tale comportamento, unitamente alle ulteriori circostanze rappresentate nel ricorso, debba essere ritenuto, al contrario, indice della inconsapevolezza da parte del ricorrente dei danni fisici riportati dalla vittima. Si tratta di valutazioni di merito che non possono trovare ingresso in questa sede al cospetto delle logiche e coerenti argomentazioni espresse dalla Corte distrettuale. Oltretutto, come ribadito in plurime pronunce di questa Corte, l'obbligo di fermarsi prescinde dall'effettivo danno cagionato alla persona, essendo sufficiente che la condotta di guida, a cui è collegato l'incidente, sia idonea a produrre eventi lesivi alla persona, anche se non accertabili immediatamente nella loro sussistenza e consistenza (cfr. Sez. 2, n. 42744 del 22/09/2021, Rv. 282294 - 01:" Il reato di fuga previsto dall'art. 189 C.d.S., comma 6, ha natura di reato omissivo di pericolo, in quanto volto ad imporre all'agente, sanzionandone l'inosservanza, l'obbligo di fermarsi in presenza di un incidente - di cui abbia percezione - riconducibile al suo comportamento e concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, sicché, ai fini della sussistenza del reato, non è necessario riscontrare l'esistenza di un effettivo danno alle persone, peraltro neppure accertabile immediatamente nella sua sussistenza e consistenza. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che correttamente i giudici di merito avessero affermato la responsabilità dell'imputato in ragione delle specifiche modalità del sinistro, che egli aveva determinato omettendo di dare la dovuta precedenza, e della traiettoria tangente dei veicoli coinvolti, logicamente causativa di lesioni al conducente del mezzo investito)").

Le critiche mosse dal ricorrente all'impugnata sentenza in relazione all'elemento soggettivo del reato, pur rappresentate sotto l'enunciato profilo di censure di legittimità, presentano chiare connotazioni d'inammissibilità in quanto propongono tematiche di puro fatto, esaustivamente già trattate dalla Corte distrettuale, la quale non ha mancato di confrontarsi con le deduzioni difensive, qui riproposte senza autentici spunti di novità.

Infine, i giudici di merito, offrendo congrua motivazione, hanno ritenuto non necessario provvedere alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale allo scopo di sottoporre a perizia l'auto condotta dal P. o escutere il titolare dell'autosalone a cui il ricorrente aveva ceduto la vettura dopo il fatto.

Ebbene, secondo consolidato orientamento di questa Corte, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel giudizio di appello ha natura eccezionale per la presunzione di completezza della istruttoria già svolta e per la sua subordinazione all'impossibilità di decidere allo stato degli atti. La deliberazione sulla relativa istanza, espressione del potere discrezionale del giudice della impugnazione, si sottrae al sindacato di legittimità ove sorretta da adeguata motivazione.

4. Consegue alla declaratoria di inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell'art. 616 c.p.p., al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa d'inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), Non può accogliersi la richiesta di liquidazione delle spese avanzata dal difensore della parte civile, poiché nel procedimento che si svolge dinanzi alla Corte di cassazione, quando il ricorso dell'imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, va disposta la condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile quando la stessa parte civile, in sede di legittimità, abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un'attività defensionale diretta a contrastare la pretesa dell'imputato per la tutela dei propri interessi in maniera non meramente formale (cfr. Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716; Sez. 7, Ordinanza n. 44280 del 13/09/2016, Rv. 268139). Nel caso in esame, la difesa di parte civile ha depositato una memoria difensiva nella quale si è limitata a richiedere l'inammissibilità o il rigetto del ricorso, senza fornire alcun utile contributo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2022.

 

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