Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quinta, sentenza n. 48359 del 21 dicembre 2022

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione V, sentenza numero 48359 del 21/12/2022
Circolazione Stradale - Art. 11 del Codice della Strada - Contestazione e verbalizzazione delle violazioni - Abuso d'ufficio e falso in atto pubblico - Concorso materiale - In tema di rapporti tra abuso d'ufficio e falso in atto pubblico, sussiste concorso materiale, e non assorbimento dell'abuso d'ufficio nel più grave reato di falso, qualora la condotta di abuso non si esaurisca nel compimento dell'atto falso, essendo quest'ultimo strumentale alla realizzazione del reato di cui all'art. 323 c.p., costituendo una parte della più ampia condotta di abuso.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15 aprile 2021 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza pronunciata in data (Omissis) gennaio 2018 dal Tribunale di (Omissis) nei confronti di (Soggetto 1), con la quale il ricorrente era stato condannato per il reato di cui agli artt. 81 cpv., 479 in relazione all'art. 476 secondo comma, 61 n.2. cod. pen. (capo 1) e per il reato di cui agli artt. 81 cpv. - 323 cod. pen. (capo 2), unificati dal vincolo della continuazione, alla pena di anni 4 di reclusione, oltre statuizioni accessorie e risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile.

Al ricorrente è contestato:

(Capo 1), di avere quale pubblico ufficiale appartenente al Comando della Polizia Municipale di (Omissis), attraverso la formazione di due verbali di contravvenzione al codice della strada notificati a (Soggetto 2), quale proprietario dei due veicoli, attestato falsamente fatti non corrispondenti al vero ed in particolare:
- in un verbale che il conducente il veicolo durante la marcia faceva uso del telefono cellulare con l'utilizzo delle mani;
- in un secondo verbale che il conducente del veicolo ometteva di fermarsi in corrispondenza della striscia di arresto, prima di immettersi nell'area di intersezione stradale, non dando la precedenza.

È contestata altresì la circostanza di avere commesso la falsità in atto facente fede fino a querela di falso.

(Capo 2) di avere nella qualità suindicata, nello svolgimento delle funzioni ed in violazione di legge, formando le false contravvenzioni, arrecato a (Soggetto 2) un danno ingiusto rappresentato per quest'ultimo dall'obbligo di corrispondere al Comune le somme relative alle sanzioni amministrative contestate.

Fatti commessi in (Omissis) l'11 marzo 2015 e il (Omissis) maggio 2015.

2. Avverso la decisione della Corte di Appello ha proposto ricorso l'imputato, attraverso il difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo è stato dedotto vizio di motivazione in relazione all'accertamento della penale responsabilità del ricorrente fondata esclusivamente sui tracciati estrapolati dalle cc.dd. "scatole nere".

In particolare, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto le dichiarazioni delle persone offese intrinsecamente attendibili nonostante sussistessero tra le stesse e l'imputato gravi motivi di astio legati a questioni ereditarie e ha considerato quale riscontro alla prova dichiarativa i tracciati del GPS delle vetture.

In realtà, diversamente dalla sentenza di primo grado, la sentenza impugnata fonda il giudizio di penale responsabilità "[..]esclusivamente sulla credibilità dei tracciatili, contraddicendosi tuttavia allorquando respinge la richiesta di accertamenti peritali sulle scatole nere, considerando i risultati relativi dei meri riscontri esterni ed affermando apoditticamente che la installazione era avvenuta sotto la vigilanza della compagnia assicuratrice e dunque senza possibilità di interferenze da parte dell'assicurato.

Il giudizio di non assoluta indispensabilità della perizia è manifestamente illogico in quanto presuppone come accertate, circostanze mai verificate in dibattimento ed in particolare che la installazione sia avvenuta sotto la vigilanza della Compagnia assicuratrice; che le compagnie assicurative non avevano segnalato anomalie e che le due auto nel periodo in esame non avevano subito incidenti; che la rinuncia in primo grado della escussione del consulente tecnico di parte non è stata un segno della consapevolezza della superfluità dell'accertamento, ma la inevitabile conseguenza della impossibilità di eseguire una concreta verifica non essendo state dal tribunale acquisite le scatole nere.

2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge per il mancato assorbimento del reato di abuso di ufficio nel più grave reato di falso ideologico contestato al capo A).

La sentenza impugnata ha ritenuto sussistenti entrambi i reati sul presupposto che la condotta materiale non è stata unica: le condotte di falso sono state propedeutiche alla realizzazione della condotta materiale più ampia dell'abuso, sorretta peraltro dal diverso e autonomo elemento soggettivo del dolo specifico.

La difesa si duole di siffatta ricostruzione richiamando la giurisprudenza di questa Corte (sez. 5, 8/04/2021 n. 13250) in base alla quale la clausola di riserva contenuta nell'art. 323 cod. pen. - ("salvo che il fatto non costituisca più grave reato") - impone l'applicazione di una sola norma incriminatrice prevalente che si individua secondo una regola diversa da quella di specialità.

L'operatività dell'assorbimento postula l'unicità della condotta naturalistica, laddove va riconosciuto il concorso materiale qualora la condotta di abuso non si esaurisca nel reato di falso.

Nel caso di specie la Corte territoriale ha erroneamente evidenziato una duplicità di condotte, non potendosi dare rilievo, a tali fini, alla circostanza della diversità del dolo nei due reati e alla circostanza che il reato di abuso di ufficio presuppone un ulteriore evento che tuttavia è un evento giuridico e non materiale.

2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio e all'aumento della pena a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati.

Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata ha condiviso la determinazione del trattamento sanzionatorio come operato dal giudice di primo grado e, a fronte di uno specifico motivo di appello e si è limitata , dopo avere considerato più grave il reato di cui al capo A), ad operare un aumento di sei mesi per la continuazione interna al capo A) relativa alla seconda contravvenzione ed un ulteriore aumento di mesi sei per il reato di cui al capo B) equiparando in punto di pena la condotta della formazione di una falsa contravvenzione con quella dell'abuso di ufficio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

1. Il primo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.

Il ricorso infatti non si confronta con le principali argomentazioni poste a fondamento della sentenza impugnata, sollecitando una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, D., Rv. 207944).

1.1. La sentenza impugnata ha motivato esaustivamente, escludendosi i caratteri della contraddittorietà e della manifesta illogicità, in ordine:

- alla attendibilità dei testi (Soggetto 2) (persona offesa) e (Soggetto 3) (p.10) i quali non hanno mai negato i motivi di disaccordo con l'imputato narrando i fatti nella loro essenzialità. Il (Soggetto 2), contrariamente a quanto risulta dal ricorso, ha spiegato le ragioni per le quali si è determinato a sporgere denuncia solo dopo avere pagato una prima contravvenzione e dopo avere ricevuto dalla compagnia assicuratrice gli esiti dei tracciamenti rilevati dalle scatole nere installate nelle auto. La sentenza risponde con motivazione non contraddittoria, né manifestamente illogica, alla censura riproposta con il ricorso, quanto ai motivi che spinsero il (Soggetto 2) a pagare la prima multa "perché in quel momento avevano la consapevolezza che vi era la loro parola contro quella di un pubblico ufficiale" valutando la condotta come prudenziale "[..] non dimostrativa dell'insicurezza serbata circa la non veridicità dell'accertamento riportato sul verbale di contestazione, quanto piuttosto di un personale giudizio di minore valenza della loro versione dei fatti rispetto a quella di un pubblico ufficiale[..]".

- alla implausibile consapevolezza di una manomissione delle scatole nere.

Anche in tal caso la Corte territoriale risponde con argomenti logici alla specifica censura di una consapevole manomissione o cattivo funzionamento del rilevatore satellitare. Il (Soggetto 2) non avrebbe scelto di pagare la multa qualora fosse stato già consapevole che i risultati delle scatole nere erano a lui favorevoli perché frutto di una manomissione.

1.2. La sentenza impugnata risulta immune da vizi in quanto, dopo avere esaustivamente motivato sull'attendibilità dei testimoni e dopo avere fornito logiche e coerenti argomentazioni in relazione ai risultati emergenti dalle scatole nere, condivide, altrettanto logicamente e dunque con motivazione non censurabile in questa sede, la decisione del giudice di primo grado in ordine alla non assoluta indispensabilità di una perizia sulle cd. scatole nere, decisione non fondata, come sostiene il ricorrente sulla mancanza dell'oggetto su cui operare l'accertamento peritale, quanto piuttosto sulla superfluità dell'accertamento a fronte del compendio probatorio raccolto.

2. Il secondo motivo risulta manifestamente infondato, non confrontandosi con i contenuti della sentenza e con la giurisprudenza di questa Corte espressamente richiamata nel provvedimento impugnato.

Le motivazioni della sentenza sono pienamente aderenti al principio fissato da questa Corte in base al quale: "In tema di rapporti tra abuso d'ufficio e falso in atto pubblico, sussiste concorso materiale, e non assorbimento dell'abuso d'ufficio nel più grave reato di falso, qualora la condotta di abuso non si esaurisca nel compimento dell'atto falso, essendo quest'ultimo strumentale alla realizzazione del reato di cui all'art. 323 cod. pen., costituendo una parte della più ampia condotta di abuso. (Sez. 6, n. 3515 del 18/12/2019, (2020), Rv. 278324).

Siffatto principio di diritto non si pone in contrasto con la giurisprudenza espressamente richiamata nel ricorso.

Ed invero, occorre distinguere due diverse ipotesi:

- la ipotesi in cui la condotta addebitata all'imputato si esaurisca nella mera commissione della falsità la quale - stante la clausola di riserva di cui all'art. 323 cod. pen. preordinata a evitare la doppia incriminazione con riguardo ad un unico fatto - impone di applicare esclusivamente la sanzione prevista per la fattispecie più grave, sebbene oggetto di questa sia la tutela di un bene giuridico diverso da quello tutelato dalla disposizione con pena meno severa (Sez. 6, n. 13849 del 28/02/2017, Rv. 269482; Sez. 5, n. 27778 del 19/05/2004, Rv. 228681).

- la ipotesi in cui la condotta di abuso non si esaurisca nella falsificazione e la falsità in atti sia strumentale alla realizzazione del reato di cui all'art. 323 cod. pen. di cui costituisce una parte della più ampia condotta, la quale impone di ravvisare il concorso materiale, e non l'assorbimento tra il reato di falso in atto pubblico e quello di abuso d'ufficio (Sez. 5, n. 45992 del 07/07/2017, Rv. 271073).

2.1. La Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi indicati analizzando il caso concreto nel quale le condotte materiali di redazione dei verbali di accertamento falsi erano strumentali allo specifico perseguimento delle finalità di danneggiare (Soggetto 2).

Nell'ipotesi in esame, chiarisce la sentenza impugnata con motivazione logica e non contraddittoria, l'imputato creò tali atti per avviare attraverso l'inoltro al Comando di Polizia Municipale distinti procedimenti amministrativi sanzionatori contro il congiunto; l'azione materiale - prosegue la sentenza - non fu unica: le condotte di falso, caratterizzate da autonomo dolo generico, furono propedeutiche alla realizzazione della condotta materiale più ampia dell'abuso, sorretta dal dolo specifico. L'imputato non si è limitato a redigere due atti falsi, ma li ha poi depositati presso il proprio ufficio in modo che si avviassero i procedimenti amministrativi in danno del (Soggetto 2).

La condotta materiale risulta configurata dal perseguimento, principalmente, della condotta di abuso, configurandosi la confezione del verbale di accertamento d'infrazione, ideologicamente falso, quale atto strumentale confezionato dal Pubblico Ufficiale specificatamente per danneggiare il (Soggetto 2).

3. Il terzo motivo di doglianza relativo al trattamento sanzionatorio risulta privo di specificità.

Con riguardo alla dedotta incompletezza della motivazione, il ricorrente non si confronta con la sentenza che chiarisce come il primo giudice, una volta riconosciuto il reato più grave, si sia attenuto nella individuazione della pena base ai minimi edittali ed abbia apportato l'aumento per la continuazione con riferimento a due reati: la continuazione interna al reato di falso, essendo due le ipotesi di falso contestato, e la continuazione esterna con la fattispecie dell'abuso di ufficio. La sentenza impugnata ha poi chiarito che l'aumento è stato determinato in sei mesi per ciascun reato, un aumento eguale "del tutto congruo considerata la significativa gravità anche di tali delitti".

Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la sentenza ha esaustivamente motivato anche in relazione alla concreta gravità dei fatti allorquando, nel valutare complessivamente il trattamento sanzionatorio, ha chiarito le ragioni per le quali il ricorrente non era meritevole delle circostanze attenuanti generiche e di una riduzione della pena come determinata.

4. Alla inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Consegue altresì, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso, nella misura di euro tremila.

5. Non si procede alla liquidazione delle spese processuali richiesta dalla parte civile nella memoria inviata dal momento che il difensore, come dallo stesso indicato, non risulta avvocato cassazionista.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Nulla per le spese di parte civile.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2022.

 

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