Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione prima, sentenza n. 23191 del 14 giugno 2022

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione I, sentenza numero 23191 del 14/06/2022
Circolazione Stradale - Artt. 12 e 192 del Codice della Strada e art. 575 c.p. - Obblighi verso funzionari, ufficiali e agenti - Anche l'azione dell'investimento stradale ben può sostanziare il tentativo di omicidio quando essa risulti teleologicamente orientata a cagionare la morte o sia obiettivamente idonea a provocare l'evento, mettendo in pericolo la vita e non soltanto l'incolumità fisica e sia, altresì, diretta in modo non equivoco a provocare detto evento.


RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro, in riforma di quella del Tribunale di Castrovillari appellata dall'imputato D. M. L., dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato in relazione al delitto di cui all'art. 337 c.p. perché estinto per prescrizione e riduceva la pena per i restanti reati ad anni dodici e mesi dieci di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.

D. M. è imputato dei delitti di furto aggravato di dieci quintali di legna (capo A), di resistenza a pubblico ufficiale (reato dichiarato prescritto) e lesioni aggravate nei confronti del Sovrintendente M. N. che effettuava controlli sul suo camion al fine di procedere ad eventuali sequestri: D. M., dopo avere minacciato il M., lo aggrediva con pugni al viso e alle spalle, cagionandogli lesioni giudicate guaribili in giorni diciotto (capo B); di tentato omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576 c.p., comma 1, n. 5 bis nei confronti dell'agente scelto B. S.: instaurato un inseguimento con l'autovettura, a fronte dell'agente B. che, in uniforme, era sceso dall'autovettura di servizio e aveva intimato l'alt con la paletta, D. M. aveva accelerato la marcia puntando contro di lui, impattando violentemente contro lo sportello aperto del veicolo di servizio su cui l'agente stava cercando di risalire, non riuscendo nel proprio intento per la reazione e la prontezza di riflessi della vittima, che riusciva ad evitare l'impatto con il veicolo lanciato a forte velocità, cagionandogli lesioni guaribili in giorni tre.

La Corte rigettava il motivo di appello con cui la difesa dell'imputato aveva impugnato l'ordinanza del 22 novembre 2016 con la quale il Tribunale di Castrovillari, al termine dell'escussione delle prove dedotte dal pubblico ministero, aveva revocato l'ordinanza ammissiva dell'intera lista testimoniale depositata dalla difesa, ritenendo "la superfluità della loro deposizione alla luce degli elementi probatori già acquisiti nel corso dell'espletata istruttoria dibattimentale". La Corte territoriale osservava che, successivamente a tale ordinanza, il pubblico ministero aveva chiesto l'acquisizione dell'interrogatorio dell'imputato e, su invito del Tribunale, le parti avevano precisato le conclusioni, la difesa limitandosi a chiedere l'assoluzione dell'imputato.

Poiché la difesa, nella precisazione delle conclusioni, non aveva contestato la revoca dei testimoni dalla stessa dedotti, né aveva eccepito la nullità dell'ordinanza né, ancora, aveva insistito per l'escussione dei propri testimoni, ogni nullità dell'ordinanza doveva ritenersi sanata, per la mancata eccezione nel termine.

La Corte territoriale, inoltre, rilevava che, nell'atto di appello, la difesa non si era misurata con le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, limitandosi ad eccepire che i testi erano stati originariamente ammessi dal Tribunale, senza tenere conto che il potere giudiziale di revoca delle prove già ammesse è più ampio se esercitato nel corso dell'istruttoria dibattimentale, cosicché, una volta che il giudice abbia indicato le ragioni della revoca della prova già ammessa, la censura deve confrontarsi con la logicità e congruenza della relativa motivazione, raffrontata al materiale probatorio raccolto e valutato.

La Corte territoriale argomentava sulla superfluità delle prove testimoniali revocate.

Veniva rigettato il motivo di appello con il quale la difesa dell'imputato contestava la responsabilità per i reati contestati.

Quanto al furto della legna, da una parte l'imputato, nell'interrogatorio, aveva ammesso di avere tagliato la legna; dall'altra, quando era giunto sul posto con la sua autovettura, era salito sul camion e aveva iniziato a scaricare la legna, dimostrando di avere la disponibilità del camion e di essere, quindi, autore del furto. Il reato era consumato, e non tentato - come sostenuto dalla difesa dell'appellante - in quanto la legna ricavata dal taglio era già entrata nel dominio di D. M.. Erano irrilevanti le questioni della proprietà del camion in capo all'imputato e dell'annotazione al P.R.A. del trasferimento del mezzo, poiché le testimonianze e la condotta tenuta dimostravano che il mezzo era nella disponibilità di D. M..

Il delitto di lesioni non poteva ritenersi assorbito in quello di resistenza a pubblico ufficiale, mentre le censure relative all'effettiva durata della malattia subita dalla persona offesa venivano ritenute generiche e fumose.

Sussisteva anche il delitto di tentato omicidio.

Il fatto che l'imputato intendesse guadagnare la fuga non permetteva di escludere il dolo diretto alternativo di omicidio e lesioni: per raggiungere il suo fine, e cioè per sfuggire all'alt intimato da B., l'imputato aveva consapevolmente diretto la marcia del veicolo contro il militare, ben conscio che l'investimento avrebbe potuto causare la morte dell'uomo, indifferente alla sorte della persona offesa in tema di lesività. D. M., trovandosi di fronte la strada sbarrata dall'autovettura di servizio e dall'agente B., aveva inizialmente rallentato: egli avrebbe potuto invertire la marcia o fermarsi, ma aveva deciso di accelerare nuovamente puntando verso B.. Se l'agente non si fosse gettato dentro l'autovettura di servizio, il mezzo condotto dall'imputato l'avrebbe colpito in pieno.

In definitiva, D. M. aveva agito con la piena volontà di investire il militare restando indifferente alla morte come possibile conseguenza, mentre l'azione era idonea a cagionare il decesso.

Veniva rigettato anche il terzo motivo di appello con cui la difesa dell'imputato chiedeva la riduzione del trattamento sanzionatorio e la concessione delle attenuanti generiche.

2. Ricorre per cassazione il difensore di D. M. L., deducendo violazione di legge sostanziale processuale e vizio di motivazione.

Il ricorrente deduce illegittima compressione del diritto di difesa in conseguenza della revoca dell'ordinanza ammissiva della prova testimoniale a discarico, con erronea applicazione dell'art. 190 c.p.p., art. 495 c.p.p., comma 2 e art. 603 c.p.p..

I testi a discarico erano stati ammessi dal Tribunale di Castrovillari; all'udienza del 22 novembre 2016, esaurita l'escussione dei testimoni del pubblico ministero, il Tribunale revocava l'ammissione dell'intera prova a discarico, con grave irragionevolezza e compromissione del diritto di difesa.

La difesa aveva impugnato l'ordinanza unitamente alla sentenza di condanna; l'ordinanza, infatti, era solo apparentemente motivata e risultava contraddittoria. La Corte territoriale aveva confermato l'ordinanza sulla base della mancata contestazione da parte della difesa della revoca delle prove a discarico e ribadendo la superfluità delle prove revocate.

Secondo il ricorrente, il caso che si presentava non era quello di una parte che non richiedeva l'escussione di testimoni già ammessi; al contrario, in questo caso i testi della difesa erano stati revocati con l'ordinanza del Tribunale che era stata impugnata motivatamente e tempestivamente unitamente alla sentenza di condanna in forza dell'art. 586 c.p.p..

La questione, quindi, non poteva dirsi rinunciata in quanto non proposta in sede di precisazione delle conclusioni.

Il ricorrente argomenta sulle circostanze su cui avrebbero dovuto deporre i testi e il consulente tecnico, negando la loro superfluità. Due dei testimoni avevano direttamente assistito alla condotta contestata e, quindi, avrebbero potuto apportare un contributo decisivo alla ricostruzione della vicenda. La revoca delle prove formulate dalla difesa limitava il diritto alla prova e il contraddittorio e ledeva l'imparzialità del giudice.

Il Giudice può escludere le prove manifestamente superflue o irrilevanti, ma non può negare il diritto alla prova della parte. La decisione del giudice di primo grado era intervenuta in una fase in cui la conoscenza dei dati utili per la decisione non era completa, risultando viziata per la mancata assunzione di prove decisive con le quali la difesa avrebbe potuto dimostrare la sussistenza di cause di giustificazione o di non punibilità e avrebbe potuto contribuire alla ricostruzione corretta degli accadimenti.

L'ordinanza con cui la Corte territoriale aveva negato la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale violava l'art. 603 c.p.p. In effetti, tale norma presuppone il riferimento all'intera istruzione dibattimentale assunta in primo grado; occorreva, quindi, la dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado perché provvedesse all'incombente istruttorio omesso ovvero la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale da parte della Corte territoriale.

In un secondo motivo il ricorrente deduce erronea valutazione delle risultanze processuali, mancanza di prova, vizio motivazionale e violazione di legge.

Contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata, non sussistevano elementi per ritenere D. M. colpevole dei reati contestati.

Le dichiarazioni autoaccusatorie dell'imputato relative al furto del legname mancavano di riscontri esterni. Non esisteva alcuna prova che le condotte di furto fossero state commesse dall'imputato, né che questi avesse la disponibilità dell'autocarro o avesse riposto la legna nell'autocarro al fine di compiere il furto contestato. In realtà, D. M. aveva ammesso soltanto di aver tagliato la legna, ma non aveva la disponibilità dell'autocarro: egli, infatti, era arrivato sul posto a tarda mattinata con un'autovettura e colui che gli avrebbe venduto l'autocarro aveva dichiarato di non ricordarsi tale vendita, facendo comunque riferimento ad una vendita di un mezzo diverso. Inoltre, i testimoni a discarico avrebbero potuto riferire sulla disponibilità dell'autocarro.

Con riferimento ai delitti di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate, la difesa, nell'atto di appello, aveva contestato come insussistente il concorso tra i due reati, atteso che il reato di lesioni è esplicazione della condotta di resistenza a pubblico ufficiale posta in essere dall'imputato.

Inoltre, era assai dubbia la prova della gravità delle lesioni, dimostrata esclusivamente dalla certificazione depositata dalla parte civile, mentre la difesa dell'imputato aveva anticipato la richiesta di una perizia d'ufficio.

Con riferimento al delitto di tentato omicidio, entrambi i giudici di merito avevano ritenuto sussistente il dolo alternativo di omicidio e lesioni, escludendo il dolo eventuale: mancavano, tuttavia, elementi concreti dimostrativi della sussistenza di tale dolo. Mancavano, inoltre, sia l'univocità dell'azione a provocare la morte dell'agente, sia l'idoneità a provocare detta morte, attese le modeste dimensioni dell'autovettura; l'imputato aveva soltanto la finalità di guadagnare la fuga e la via di fuga era ostruita dall'agente sceso dall'autovettura; i danni all'autovettura di servizio non erano tali da dimostrare un'azione dirompente e funzionale alla volontà di uccidere, né erano idonei allo scopo. L'autovettura di servizio ostruiva la strada e D. M., per fuggire, non poteva che impattare contro la stessa. L'agente era volontariamente rimasto sulla strada fino all'ultimo, salvo poi essere costretto a rifugiarsi dentro il mezzo di servizio; non vi era alcun movente per l'omicidio mentre D. M. era spaventato, anche perché gli agenti avevano estratto l'arma e in quanto era consapevole della precedente aggressione operata nei confronti dell'agente di polizia giudiziaria: egli cercava confusamente di trovare la fuga verso casa.

La motivazione che individuava una volontà omicida in capo a D. M. era illogica e contraddittoria: il dolo che, al più, poteva ritenersi era un dolo eventuale. L'unica finalità perseguita da D. M. era la fuga e la ricostruzione ragionevole era nel senso che D. M. si era rappresentato la condotta dell'agente di togliersi dal suo tragitto, schivando l'autovettura in fuga.

In un terzo motivo il ricorrente denuncia un ingiusto trattamento sanzionatorio e l'erronea considerazione dei criteri di cui all'art. 133 c.p..

La pena risulta sproporzionata e il diniego delle attenuanti generiche era erroneo. La Corte territoriale non aveva tenuto conto delle condizioni personali di D. M. al momento del fatto. Gli elementi soggettivi non erano stati valorizzati, essendosi la Corte limitata a rimarcare gli elementi oggettivi della condotta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che la revoca dell'ordinanza ammissiva dei testi della difesa in difetto di motivazione sul necessario requisito della loro superfluità produce una nullità di ordine generale a regime intermedio, integrando una violazione del diritto della parte di "difendersi provando", stabilito dall'art. 495 c.p.p., comma 2, corrispondente al principio della "parità delle armi" sancito dall'art. 6, comma 3, lett. d) CEDU, al quale si richiama l'art. 111 Cost., comma 2, in tema di contraddittorio tra le parti (da ultimo, Sez. 5, n. 16976 del 12/02/2020, P., Rv. 279166).

Alla luce della disciplina prevista dal codice di rito, detta nullità deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'art. 182 c.p.p., comma 2, con la conseguenza che in caso contrario essa è sanata. Infatti, il disposto dell'art. 180 c.p.p., secondo cui la nullità di ordine generale verificatasi nel corso del giudizio è deducibile dalla parte, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo, trova un limite nella disposizione dell'art. 182 c.p.p., comma 2, che prevede una eccezione alla regola della deducibilità appena illustrata, con riferimento al caso in cui la parte assista al compimento dell'atto nullo. Per tale ipotesi è sancito che la parte, se non può eccepire la nullità prima del compimento dell'atto stesso, deve farlo immediatamente dopo.

Di conseguenza, anche volendo ritenere la motivazione dell'ordinanza del Tribunale di Castrovillari che revocava tutti i testimoni indicati dalla difesa, in precedenza ammessi, sostanzialmente apparente e, quindi, insussistente (in effetti, la motivazione del provvedimento è particolarmente sintetica), correttamente la Corte territoriale ha ritenuto sanata la (negata) nullità del provvedimento per non essere stata dedotta né nell'immediatezza nè in sede di precisazione delle conclusioni.

Questa soluzione non contrasta con il principio sancito dal codice di rito secondo cui le ordinanze emesse nel corso del dibattimento devono essere proposte unitamente all'impugnazione della sentenza (art. 586 c.p.p.).

In effetti, con l'atto di appello la difesa dell'imputato deduceva la nullità di un'ordinanza che era già stata sanata, cosicché l'impugnazione non poteva che essere rigettata sotto questo profilo.

2. In conseguenza della intervenuta sanatoria della nullità dell'ordinanza del Tribunale, la Corte territoriale doveva valutare la richiesta della difesa di procedere all'escussione dei testimoni inizialmente ammessi dal Tribunale secondo il criterio dell'art. 603 c.p.p., commi 1 e 3: quindi motivando sulla assoluta necessità di procedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale e sulla impossibilità di decidere allo stato degli atti.

La motivazione sul punto è ampia e logica, ritenendo la Corte territoriale che ha valutato la necessità di escussione singolarmente per ciascun testimone adeguatamente ricostruiti i fatti e non necessari i relativi approfondimenti.

Si deve ricordare che nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'art. 603 c.p.p., comma 1, è subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 6, Sentenza n. 8936 del 13/01/2015, Leoni, Rv. 262620); in effetti, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale di cui all'art. 603 c.p.p. è istituto di carattere eccezionale che presuppone l'impossibilità di decidere allo stato degli atti; tuttavia, il giudice, ove ritenga, nella sua discrezionalità, di non accogliere la richiesta di parte deve motivare in modo congruo e logicamente corretto il rigetto della stessa (Sez. 6, n. 68 del 02/12/2002, dep. 2003, R., Rv. 222977).

3. Il secondo e il terzo motivo non fanno che riproporre le deduzioni già esposte con l'atto di appello alle quali la sentenza fornisce adeguata risposta.

3.1. In particolare, la motivazione della sentenza impugnata è ampia e convincente in ordine alla disponibilità del camion, sul quale era stata caricata la legna tagliata dall'imputato, in capo al D. M.: egli, appena giunto sul posto con la sua autovettura, era appunto salito sul camion e aveva iniziato a scaricare la legna, dimostrando di avere la disponibilità del mezzo e di ritenere il legname di sua proprietà.

Il ricorrente insiste sul tema della proprietà del camion e sulla mancata annotazione del passaggio di proprietà al P.R.A., ma si tratta di circostanze che logicamente la Corte territoriale ha ritenuto del tutto irrilevanti, ben potendo essere utilizzato un mezzo di proprietà altrui per compiere un furto.

3.2. Il ricorrente insiste, inoltre, nella tesi dell'assorbimento del delitto di lesioni personali in quello di resistenza a pubblico ufficiale (dichiarato prescritto): la giurisprudenza di legittimità assolutamente costante insegna, invece, che il delitto di resistenza a pubblico ufficiale assorbe soltanto quel minimo di violenza che si concretizza nella resistenza opposta al pubblico ufficiale che sta compiendo un atto del proprio ufficio, non anche degli ulteriori atti violenti che, esorbitando da tali limiti, cagionino al medesimo lesioni personali, nel qual caso è configurabile il reato di lesioni personali aggravato dall'essere stato commesso in danno di un pubblico ufficiale, che può concorrere con il primo (Sez. 6, n. 24554 del 22/05/2013, B., Rv. 255734).

Il ricorrente si limita a dubitare dell'entità delle lesioni subite dal sovrintendente M.: ma un dubbio non è in grado di dimostrare la manifesta illogicità della motivazione della sentenza che afferma la sussistenza delle lesioni.

3.3. La contestazione del dolo nel delitto di tentato omicidio è svolta con considerazioni in fatto, comunque niente affatto risolutive.

Il fatto che D. M. stesse tentando di fuggire è pacifico, ma non esclude affatto la sua volontà di investire l'agente B. che cercava di impedirglielo. Irrilevante è, ancora, la circostanza che D. M. fosse "spaventato". L'affermazione secondo cui l'imputato si era rappresentato che l'agente si sarebbe gettato all'ultimo momento nell'autovettura di servizio per evitare di essere investito è chiaramente in fatto e non creduta dalla Corte territoriale. Anche le dimensioni dell'autovettura condotta dall'imputato e la sua inidoneità a cagionare la morte dell'investito sono elementi che attengono al merito della vicenda e, comunque, le considerazioni esposte dal ricorrente sono prive di qualsiasi supporto probatorio.

In numerose sentenze, la Corte ha ritenuto sussistente il dolo di tentato omicidio proprio in condotte identiche a quelle contestate all'odierno ricorrente: si veda, da ultimo, Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, R., Rv. 277032, che ha ravvisato il tentato omicidio nella condotta di un soggetto che, dopo aver perpetrato un furto in abitazione, dandosi alla fuga a bordo di un veicolo investiva un agente di polizia che gli intimava l'alt, in una strada di ridotte dimensioni della carreggiata e con la presenza di veicoli parcheggiati che impedivano di schivare il veicolo. Esiste un consolidato orientamento di questa Corte, per cui anche l'azione dell'investimento stradale ben può sostanziare il tentativo di omicidio quando essa risulti teleologicamente orientata a cagionare la morte, sia obiettivamente idonea a provocare l'evento, a mettere cioè in pericolo il bene giuridico tutelato, che è la vita, e non soltanto l'incolumità fisica, e sia, altresì, diretta in modo non equivoco a provocare il detto evento (Sez. 1, n. 11561 del 5/2/2013, Tavelli, Rv. 255337; Sez. 1, n. 11766 del 28/10/1991, Cappai, Rv. 188992).

3.4. Infine, le censure mosse con riferimento alla misura della pena e al diniego delle attenuanti generiche sono di merito e non tengono conto della motivazione logica e adeguata della sentenza impugnata.

La Corte territoriale, inoltre, ha sottolineato che la pena base per il delitto di tentato omicidio corrisponde al minimo edittale e che gli aumenti per la continuazione con i reati satellite sono modesti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2022.

 

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