Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 20126 del 24 maggio 2022

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 20126 del 24/05/2022
Circolazione Stradale - Art. 189 del Codice della Strada - Comportamento in caso di sinistro stradale - Omessa assistenza occorrente alle persone ferite - Integra il reato il semplice fatto che, in caso di sinistro stradale con danni alle persone comunque ricollegabile al proprio comportamento, non si ottemperi all'obbligo di prestare assistenza, condotta che va sempre tenuta anche prescindere dall'intervento di terzi, poichè si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell'incidente medesimo.


RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Lecce con sentenza in data 11 novembre 2020, ha confermato, limitandosi a rideterminare la pena, la sentenza con cui il Tribunale di Lecce in data 15 aprile 2016 aveva ritenuto R. G. colpevole dei reati di cui agli art. 590 c.p., D.Lgs. n. 285 del 30 aprile 1992 art. 189, commi 6 e 7, in quanto per colpa ed in violazione delle norme sulla circolazione stradale, mentre era alla guida della sua autovettura, aveva investito Q. A., che camminava sul lato destro della carreggiata portando a mani la propria bicicletta, cagionandole lesioni consistite in contusioni multiple con prognosi di giorni dieci e perchè non si fermava e non prestava assistenza alla persona ferita.

I fatti, come ricostruiti dalle pronunce di merito, sono i seguenti:

in data 3.12.2013 Q. A. presentava presso la Polizia locale di (OMISSIS) denuncia querela ove rappresentava che verso le ore 12 del 21 novembre (OMISSIS), mentre stava percorrendo via (OMISSIS) in (OMISSIS), portando a mani la propria bicicletta, all'incrocio con (OMISSIS), veniva improvvisamente colpita sulla parte sinistra del corpo da un'autovettura in transito. A seguito dell'urto, accusava forte dolore sul fianco ed alla gamba sinistra mentre la conducente del veicolo, dopo aver rallentato la marcia per pochi metri, si allontanava.

Condotta all'ospedale di (OMISSIS) le venivano diagnosticate contusioni multiple del bacino, rachide cervicale e lombosacrale con prognosi di guarigione in dieci giorni.

In sintesi i giudici di merito hanno ritenuto provata la responsabilità dell'imputata in ordine ai reati contestati sulla base della testimonianza della persona offesa nonchè di altri testi, tra cui un teste oculare, nonchè sulla scorta dei documenti acquisiti.

2. Avverso detta pronuncia ricorre l'imputata, a mezzo del proprio difensore, articolando quattro motivi di ricorso.

Con il primo motivo rubricato "Art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e): vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della prova dell'elemento psicologico soggettivo in riferimento alle ipotesi delittuose di cui all'art. 189 commi 6 e 7 C.d.S." deduce che, a fronte delle specifiche doglianze mosse con i motivi di appello dalla difesa dell'imputata in ordine all'insussistenza del dolo in capo all'agente in relazione ai reati di cui all'art. 189 C.d.S., atteso che i testi avevano fornito versioni diverse, la Corte si è limitata a sostenere che non vi era motivo di dubitare dell'attendibilità della dichiarazioni del teste F. "in ragione della sua estraneità alle parti", senza quindi prendere posizione sulle deduzioni difensive.

Con il secondo motivo di ricorso rubricato "Nullità della sentenza ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per assenza di motivazione in relazione alla configurabilità del reato di cui all'art. 189 C.d.S., comma 7, ed in particolare in relazione alla sussistenza dell'elemento costitutivo della "effettività del bisogno" dell'investito" deduce che le doglianze della difesa sul punto sono state disattese dalla Corte d'appello senza alcuna motivazione a riguardo.

Con il terzo motivo di ricorso rubricato "Nullità della sentenza ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per assenza di motivazione in relazione alla configurabilità del reato di cui all'art. 590 c.p." deduce che le doglianze mosse in merito all'insussistenza della violazione dell'art. 141 C.d.S., in quanto la persona offesa non poteva considerarsi ciclista bensì pedone, sono state disattese dalla Corte d'appello senza alcuna motivazione.

Con il quarto motivo di ricorso deduce la "Nullità della sentenza ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. per assenza di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche".

3. Il Procuratore generale ha concluso per l'annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Va rammentato che nel caso all'esame ci si trova di fronte ad una c.d. "doppia conforme" di condanna, avendo entrambi i giudici di merito affermato la responsabilità dell'imputata in ordine ai reati oggetto di contestazione. Ne deriva che le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.

Occorre altresì precisare che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le altre Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009 e n. 23528 del 6/6/2006).

Il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene nè alla ricostruzione dei fatti nè all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).

1.2. Ciò premesso, nel caso di specie ed esaminando la prima censura, la sentenza impugnata, ha puntualmente e logicamente motivato circa le ragioni per le quali è stata raggiunta la prova che la R. ebbe a rendersi conto di aver investito la persona offesa Q. A.. La circostanza è chiaramente desunta dalle dichiarazioni del teste F. che, avendo assistito al sinistro, ha riferito di aver visto la conducente dell'autovettura fermarsi dopo essere stata richiamata da lui e da altri, "fare segno di assenso con la mano..., azionare la freccia come a voler accostare e poi allontanarsi" precisando altresì, in risposta alle doglianze difensive, che tali dichiarazioni sono state ritenute del tutto compatibili con quelle rese dalla persona offesa Q. A. che, essendo caduta a terra, non era in grado di accorgersi del comportamento tenuto dalla conducente dell'autovettura.

2.2. Il secondo motivo è del pari infondato.

Ed invero, il reato di omissione di assistenza, di cui all'art. 189 C.d.S., comma 7, presuppone quale antefatto non punibile un incidente stradale da cui sorge l'obbligo di assistenza anche nel caso di assenza di ferite in senso tecnico, essendo sufficiente lo stato di difficoltà indicativo del pericolo che dal ritardato soccorso può derivare per la vita o l'integrità fisica della persona (Sez. 4, n. 21049 del 6/4/2018, Barbieri, Rv. 273255).

Inoltre, va ribadito che la sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata non è elemento costitutivo del reato, che è integrato dal semplice fatto che in caso d'incidente stradale con danni alle persone non si ottemperi all'obbligo di prestare assistenza. E costituisce iús receptum che tale condotta, va tenuta a prescindere dall'intervento di terzi, poichè si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell'incidente medesimo (cfr. ex multis Sez. 4, n. 8626 del 7/2/2008, Rv. 238973).

Ne deriva che la Corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi, disattendendo le deduzioni difensive sul punto.

3.3. Il terzo motivo di ricorso è del pari infondato.

La Corte territoriale, recependo quanto statuito dalla sentenza di primo grado, ha implicitamente rigettato, la tesi propugnata dall'odierno ricorrente secondo cui la condotta dell'imputata non avrebbe violato le norme del Codice della strada, ed in particolare dell'art. 141, atteso che la persona offesa che trasportava una bicicletta procedendo a piedi non era da considerarsi un ciclista bensì un pedone.

D'altra parte, nella motivazione della sentenza il giudice del gravame non è tenuto, inoltre, a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muia ed altri Rv.254107).

La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini, se il giudice d'appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'"ossatura" dello schema difensivo dell'appellante, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell'iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (così si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307 del 26.9.2002, dep. il 2003, Delvai, Rv. 223061).

Ebbene, la Corte ha fatto buon governo del principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di circolazione stradale, la persona che procede su una bicicletta, pur senza azionare i pedali ma spingendosi con i piedi per terra, va considerato "ciclista" e non "pedone" e deve osservare tutte le relative norme di circolazione. Tale modalità di marcia non toglie, invero, al velocipede la qualità di veicolo, prevista dagli artt. 21 lett. c) e 23 C.d.S. (Sez. 4, n. 3165 del 7/2/91, Alberti, Rv. 186724).

Pertanto, se la persona offesa nel caso in esame era da considerarsi un veicolo, ne deriva che il conducente dell'auto doveva tenere conto dell'andatura del mezzo, della larghezza della carreggiata nonchè dell'eventuale instabilità del mezzo cui si era affiancato.

4.4. Il quarto motivo di ricorso è infondato.

Ed invero la sentenza di primo grado, che va considerata unitamente a quella d'appello nel formare un unico complessivo corpo decisionale, ha ampiamento esplicitato le ragioni per le quali non sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche statuendo che "... non sono emersi elementi positivamente valutabili a tal fine, avuto riguardo all'intensità dell'elemento soggettivo (evincibile dalle concrete circostanze di fatto) e alla gravità del fatto".

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2022.

 

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