Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Civile, Sezione quinta - tributaria, ordinanza n. 36487 del 13 dicembre 2022

 

Corte di Cassazione Civile, Sezione V - tributaria, ordinanza numero 36487 del 13/12/2022
Circolazione Stradale - Art. 86 del Codice della Strada - Servizio di piazza - Taxi - Cessione licenza - Accertamento fiscale - Presunta evasione di imposta - L'esercizio in forma associata o cooperativa dell'attività di servizio taxi, previsto dalla normativa vigente, deve essere sostenuta dalla prova dell'esistenza di un comodato d'uso della licenza al fine di evitare un accertamento fiscale per una presunta evasione di imposta.


RITENUTO IN FATTO

Rilevato che:

1. La Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l'appello di (Soggetto 1) contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto parzialmente il ricorso avverso l'avviso di accertamento a fini Irpef del maggior reddito derivante dalla cessione di una licenza taxi, riducendo l'imponibile da Euro 150.000,00 ad Euro 80.000,00.

In particolare, la CTR, premesso che l'alienazione della licenza comporta la cessione della piccola azienda in cui si sostanzia l'attività di conducente di taxi, evidenziava che la diversa titolarità della licenza in capo ad (Soggetto 2) era la prova dell'avvenuto trasferimento mentre la circostanza che la richiesta fosse effettuata dal (Soggetto 1) era prova inconfutabile della precedente titolarità della stessa, non avendo egli provato che la licenza fosse stata concessa in comodato d'uso.

2. Avverso detta sentenza (Soggetto 1) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L'Agenzia si è costituita tardivamente al solo fine di partecipare all'udienza di discussione.

3. Il processo è stato poi fissato per la camera di consiglio del 10 novembre 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380-bis c.1, c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31/08/2016, n. 168, conv. in L. 25/10/2016, n. 197, per la quale il ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorrente propone due motivi di ricorso.

Col primo deduce il vizio di violazione di norme di diritto, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. e si duole che il giudice di appello abbia ritenuto di poter avallare l'impostazione adottata dall'Agenzia delle entrate, con motivazioni non conformi a diritto, benché egli, in tutti i gradi di giudizio, avesse costantemente eccepito di avere esercitato la propria attività in qualità di socio-lavoratore di una cooperativa di trasporto, cui aveva conferito, in comodato d'uso, la propria autovettura di servizio e la relativa licenza d'esercizio; lamenta, inoltre, che la predetta Agenzia abbia emesso l'avviso di accertamento senza aver prima verificato la sussistenza dell'azienda; evidenzia, poi, quale ulteriore motivo di nullità dell'avviso, non rilevato dalla CTR, la contrarietà del procedimento seguito per l'accertamento della presunta evasione di imposta agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, non essendovi alcuna prova del valore della plusvalenza; lamenta, ancora, che la CTR abbia interpretato restrittivamente della L. 15 gennaio 1992, n. 21 art. 7, comma 1, lett. b), , "al punto che la motivazione offerta in sentenza dalla CTR di Napoli finisce per costituire, non solo, una forzatura, quanto pure un'errata interpretazione, se non una violazione o falsa applicazione della L. 21/92", la quale infatti non escluderebbe che l'attività di trasporto pubblico, non di linea, possa essere esercitata anche da non imprenditori; si duole, infine, che la CTR abbia affermato la sussistenza, in via di fatto, di un'azienda facente capo al contribuente.

Col secondo deduce la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc civ. e lamenta che la CTR abbia, da un lato, ammesso la possibilità, da parte del socio di una cooperativa di trasporto, di svolgere, contemporaneamente, l'attività in modo autonomo ed in rapporto di dipendenza, e, dall'altro, impropriamente assimilato la trasferibilità della licenza di esercizio taxi prevista dalla legge al diverso concetto di una libera commerciabilità di detta autorizzazione per asseverare la tesi della cessione a titolo oneroso.

2. Il primo motivo è inammissibile.

Esso, sebbene formulato astrattamente in termini di violazione e falsa applicazione di legge (disposizione di legge invero non indicata nella rubrica), contiene plurime censure tutte rivolte all'operato dell'amministrazione e relative all'avviso di accertamento, per tacciare di illegittimità il provvedimento impositivo, finendo per costituire una generica critica avverso la sentenza impugnata, formulata sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati (cfr., tra le altre, in tema, Cass. 14/05/2018, n. 11603 e per una vicenda del tutto analoga Cass. 4/02/2020, n. 2477), in violazione del principio di specificità e di chiarezza (v., su tale ultimo profilo, tra le altre, Cass. 11/04/2008, n. 9470); in alcun modo specifico esso si confronta con la decisione della CTR e con la sua ratio decidendi che è data, in primo luogo, dalla astratta configurabilità di una cessione di azienda nel trasferimento della licenza taxi e, in concreto, dalla circostanza che nel caso di specie vi fosse la prova della precedente titolarità della licenza in capo al (Soggetto 1) e l'assenza di alcuna prova che la licenza era stata concessa in comodato d'uso.

Occorre anche evidenziare che le uniche due disposizioni di legge citate nel corpo del motivo sono della L. 212 del 2000 art. 7 e della L. n. 21 del 1992 art. 7.

In riferimento alla prima disposizione, il ricorrente si duole della mancata allegazione all'accertamento delle fonti di informazione da cui l'amministrazione avrebbe tratto notizie in merito al calcolo del valore della licenza; anche tale censura è però rivolta direttamente all'avviso di accertamento, di essa non vi è traccia nella sentenza impugnata e la parte non indica in alcun modo ove e come sia stata proposta nel giudizio di merito.

In riferimento alla seconda disposizione, il ricorrente evidenzia che la legge consente l'esercizio in forma associata o cooperativa dell'attività di taxi ma ancora una volta senza contestare e senza confrontarsi con quella che è la predetta ratio decidendi, imperniata sull'assenza di prova dell'esistenza di un comodato d'uso della licenza.

Alla luce di tali considerazioni, non appare rilevante nel caso di specie il precedente di questa Corte (Cass. 13/10/2017, n. 24100), citato dal ricorrente in memoria, relativo a caso analogo ove il ricorso dell'Agenzia, contro una sentenza favorevole al conducente di taxi, è stato dichiarato inammissibile per difetto di autosufficienza.

3. Il secondo motivo è inammissibile in quanto muove dalla errata premessa che l'art. 360, comma 1, n. 5), nella formulazione successiva alla riforma del D.L. n. 83 del 2012, non sia applicabile al processo tributario, al quale sarebbe applicabile quindi la previgente formulazione, conclusione cui il ricorrente perviene in forza del D.L. n. 83 del 2012 art. 54, comma 3-bis, ove stabilisce che "le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546".

Invece Cass., Sez. U., 7/04/2014, n. 8053 ha da tempo chiarito che le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) ed i limiti d'impugnazione della "doppia conforme" ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 348-ter c.p.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546 art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che l'art. 54, comma 3-bis, del D.L. n. 83 del 2012, quando stabilisce che "le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546" si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull'appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito.

Ciò rende il motivo, formulato come insufficiente, contraddittoria o omessa motivazione, inammissibile in quanto non conforme al canone legale vigente ratione temporis (essendo infatti la sentenza stata pubblicata in data 7/11/2013).

4. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

La mancata tempestiva costituzione con controricorso dell'amministrazione determina che sulle spese non vi sia da provvedere.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2022.

 

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