Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Civile, Sezione seconda, ordinanza n. 24843 del 17 agosto 2022

 

Corte di Cassazione Civile, Sezione II, ordinanza numero 24843 del 17/08/2022
Circolazione Stradale - Art. 12 del Codice della Strada - Querela di falso - Atto pubblico - Qualificazione - Costituiscono atti pubblici, a norma dell'art. 2699 c.c., soltanto quelli che i pubblici ufficiali formano nell'esercizio di pubbliche funzioni certificative delle quali siano investiti dalla legge, con la conseguenza che esulano, quindi, dalla previsione della indicata norma gli atti dei pubblici ufficiali che non siano espressione di tali funzioni certificative, quali relazioni di servizio ed allegati verbali di rilevamenti tecnici.


FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso del 28 gennaio 2004 proposto dinanzi al Giudice di pace di (Omissis), (Soggetto 1) formulava opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione del Prefetto di (Omissis) del 10 novembre 2003, con la quale era stato respinto il suo ricorso in sede amministrativa contro il verbale di accertamento della violazione di cui all'art. 7 C.d.S. 1992, consistita nell'aver effettuato una sosta vietata in area di divieto con rimozione forzata per lavori di rifacimento della segnaletica (come da ordinanza n. 707 del 10.12.2002), accertata in (OMISSIS) (in data 10 marzo 2003, alle ore 12.30).

Il menzionato Prefetto aveva rigettato il ricorso della (Soggetto 1) sulla base di quanto attestato dal Comando dei VV.UU. di (Omissis) con relazione del 28 luglio 2003, nella quale si dava atto della collocazione sul posto di idonea segnaletica come da comunicazione della relativa ditta che vi aveva proceduto (la società (Soggetto 3)), collocazione verificata come intervenuta a seguito di apposito sopralluogo di un agente della Polizia municipale in data 7 marzo 2003, alle ore 19.

Nel corso del giudizio avanti al citato Giudice di pace la ricorrente proponeva querela di falso avverso i suddetti documenti.

A seguito della sospensione del processo dinanzi allo stesso Giudice di pace ai sensi dell'art. 313 c.p.c., la (Soggetto 1) provvedeva ad introdurre il giudizio di querela di falso avanti al Tribunale di (Omissis), che, nella costituzione del Comune e della Prefettura di (Omissis), la respingeva con sentenza n. 1387/2015.

2. La (Soggetto 1) formulava appello contro la sentenza appena citata e si costituivano sia il Comune di (Omissis) che la Prefettura della stessa Provincia, con l'intervento del Procuratore Generale.

La Corte di appello di (Omissis), con sentenza n. 942/2017 (pubblicata il 13 novembre 2017), ha rigettato il gravame, dichiarando, altresì, inammissibile la querela proposta dall'appellante all'udienza del 17 febbraio 2017 (avente ad oggetto il verbale di accertamento della violazione in questione) e condannando l'appellante alla rifusione delle spese giudiziali in favore di entrambe le parti appellate.

A sostegno dell'adottata decisione, la Corte territoriale ha, in primo luogo, dato atto che la querela di falso, proposta dalla (Soggetto 1) nel giudizio di opposizione instaurato dinanzi al Giudice di pace di (Omissis), aveva ad oggetto la comunicazione proveniente dalla (Soggetto 3) del 7 marzo 2003 e la relazione del Comando dei VV.UU. del 28 luglio 2003 (prot. n. (Omissis)), senza che la stessa risultasse essere stata formulata (anche) con riferimento al verbale di accertamento della violazione contestata nei suoi confronti.

Ciò premesso, la Corte di secondo grado ha rilevato che la citata relazione della Polizia municipale non poteva qualificarsi come atto pubblico, donde l'inammissibilità della querela di falso; alla stessa conclusione si doveva pervenire anche con riguardo all'impugnazione per falsità dell'annotazione di attestata regolarità dell'apposizione della segnaletica del 7 marzo 2003 (alle ore 19,00) risultante dalla comunicazione per inizio lavori in pari data proveniente dalla società (Soggetto 3), risolvendosi l'atto impugnato in un apprezzamento ed in una valutazione del verbalizzante. In ogni caso, la querela avverso quest'ultimo atto sarebbe stata da rigettare, non essendo emersa alcuna prova dell'insussistenza, alla data del 7 marzo 2003, della segnaletica di informazione per i lavori di rifacimento della segnaletica stradale, che avrebbero dovuto avere inizio il successivo (OMISSIS), posto che il teste escusso al riguardo aveva solo riferito sullo stato dei luoghi in quest'ultima data ma non in quella precedente del 7 marzo 2003.

La Corte sarda ha dato, inoltre, atto che, nel corso del giudizio di appello, l'appellante aveva proposto querela di falso anche contro il verbale di accertamento della violazione al codice della strada elevato il (OMISSIS), rilevando, tuttavia, che detta querela era da considerarsi inammissibile siccome riferibile a domanda nuova in relazione al disposto dell'art. 345 c.p.c..

Infine, il giudice di appello ha respinto ogni motivo riguardante la regolazione delle spese avvenuta con la sentenza di primo grado, avuto riguardo all'infondatezza delle contestazioni relative sia alla determinazione del valore della causa che alle tabelle professionali in concreto applicabili.

3. Avverso la sentenza della Corte di appello (pubblicata il 13 novembre 2017) ha proposto ricorso per cassazione (spedito per la notificazione il 14 dicembre 2018), affidato a cinque motivi, la (Soggetto 1).

Ha resistito con controricorso il Comune di (Omissis), mentre l'altro intimato Prefetto di (Omissis) non ha svolto attività difensiva in questa sede.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 - la violazione degli artt. 112, 132 e 277 c.p.c., con la conseguente nullità dell'impugnata sentenza, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 2700 e 2699 c.c., oltre che dell'art. 221 c.p.c. e dei principi in materia di falsità negli atti pubblici.

Con tale motivo la ricorrente lamenta, in primo luogo, l'erronea dichiarazione di inammissibilità delle querele - proposte nel giudizio dinanzi al Giudice di pace adottata dalla Corte di appello in adesione alla ricostruzione del Tribunale. In particolare, deduce che alla stessa non incombeva alcun onere probatorio, spettando alla P.A. addurre elementi che fornissero la prova della corretta apposizione della segnaletica al fine di confutare le querele.

Riguardo al secondo capo di doglianza la ricorrente prospetta che la relazione degli agenti di Polizia municipale non si limitava a riportare il contenuto informativo come dato di altro soggetto ma ne affermava il contenuto come fatti accertati dal dichiarante, ragion per cui alla stessa avrebbe dovuto essere riconosciuta la forza di atto pubblico, aggiungendo che l'attestazione sull'apposizione di segnali consisteva in una mera asserzione mai provata, e quindi non veritiera.

2. Con la seconda censura la ricorrente prospettata nuovamente - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 - la violazione degli artt. 112, 132 e 277 c.p.c., con la conseguente nullità dell'impugnata sentenza, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 2700 e 2699 c.c., oltre che dell'art. 221 c.p.c. e dei principi in materia di falsità negli atti pubblici.

In special modo, la ricorrente lamenta che la Corte di appello ha ignorato il complessivo contenuto del secondo motivo di appello riguardante l'omesso esame, da parte del Tribunale in sede di esame nel merito delle querele inammissibili, delle difese presentate dall'opponente, in memoria di replica, con le quali si sosteneva l'assenza di segnaletica attraverso la testimonianza di (Soggetto 2), fratello della stessa ricorrente, nel mentre dalle deposizioni dei verbalizzanti non era emerso alcun riscontro probatorio in senso contrario.

3. Con la terza doglianza la ricorrente prospettata - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 - un'ulteriore violazione degli artt. 112, 132 e 277 c.p.c., con la derivante nullità dell'impugnata sentenza, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 2700 e 2699 c.c., oltre che dell'art. 221 c.p.c. e dei principi in materia di falsità negli atti pubblici.

In sostanza, con essa la ricorrente contesta la dichiarazione di inammissibilità della querela di falso avverso il verbale di accertamento della violazione, deducendo che tale successiva querela era stata effettuata per la prima volta in sede di appello dopo la mancata ammissione - da parte della Corte di appello - delle altre due querele e che, perciò, quella nuova sarebbe stata da qualificarsi ammissibile poiché conseguente all'attività difensiva di controparte, la quale, infatti, aveva eccepito che, a fronte dell'inammissibilità della querela avverso la relazione di servizio, non risultava essere stata proposta querela contro il suddetto verbale.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia - con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dei D.M. n. 140 del 2012 e D.M. n. 55 del 2014, nonché della correlata Relazione Ministeriale, in materia di liquidazione delle spese giudiziali.

In particolar modo, la stessa lamenta l'erroneo governo delle spese, contestando la quantificazione di indeterminabilità del valore della controversia, ritenendo che, invece, lo stesso dovesse essere ancorato all'entità della "contravvenzione stradale", dalla quale le querele incidentali erano scaturite.

5. Con la quinta ed ultima censura la ricorrente deduce la violazione delle stesse disposizioni normative di cui alla precedente censura, duolendosi della liquidazione siccome da considerarsi illegittima - delle singole voci dei compensi per le distinte attività come individuate dalla Corte di appello sarda nell'impugnata sentenza.

6. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e deve, perciò, essere rigettato.

Va, infatti, osservato che la Corte di appello si è legittimamente pronunciata sull'ammissibilità della querela di falso ritualmente formulata in primo grado (cui era seguita la rimessione al Tribunale competente, previa sospensione del giudizio introdotto dinanzi al Giudice di pace), ritenendone l'inammissibilità sul condivisibile presupposto che, con la stessa, erano state impugnate di falsità la relazione del 29 luglio 2003 del Comandante della Polizia municipale e l'annotazione apposta in calce all'accertamento del 7 marzo 2003, da ritenersi quali documenti non qualificabili come atti pubblici in senso proprio e, perciò, non assoggettabili a querela di falso, secondo la giurisprudenza di questa Corte.

Infatti, le Sezioni unite di questa Corte - già con la sentenza n. 215/1999 (pronuncia seguita da altre conformi decisioni) - hanno stabilito il principio generale secondo cui costituiscono atti pubblici, a norma dell'art. 2699 c.c., soltanto quelli che i pubblici ufficiali formano nell'esercizio di pubbliche funzioni certificative delle quali siano investiti dalla legge, con la conseguenza che esulano, quindi, dalla previsione della indicata norma gli atti dei pubblici ufficiali che non siano espressione di tali funzioni certificative, quali relazioni di servizio ed allegati verbali di rilevamenti tecnici (cfr., sul punto, più recentemente, Cass. n. 18757/2017 e Cass. n. 19032/2021).

Del resto, quanto riferito nella predetta annotazione è riconducibile ad una dichiarazione di apprezzamento della regolarità della segnaletica, non contenente attestazioni relative alla individuazione dei segnali e alla loro collocazione.

7. Anche la seconda censura è priva di fondamento giuridico e deve essere respinta.

Invero, la Corte di appello, nell'impugnata sentenza, ha ritenuto determinante, ai fini della rilevata sussistenza dell'infrazione al codice della strada contestata alla ricorrente, quanto era stato accertato - con dichiarazioni fidefacienti fino a querela di falso - con riferimento alla circostanza dell'avvenuta apposizione, in data 7 marzo 2003, sul posto, della segnaletica stradale con la quale si informavano gli utenti dell'inizio dei lavori di rifacimento della segnaletica stradale che avrebbero avuto inizio il (OMISSIS), come poi era avvenuto, per effetto di quanto attestato nel verbale di accertamento elevato in pari data a carico della (Soggetto 1), non oggetto, tuttavia, di tempestiva e rituale querela di falso, invece proposta solo con riguardo ai due documenti (non aventi efficacia di atto pubblico) indicati nel primo motivo. Ed è per questo che la Corte di appello - nel legittimo esercizio del suo potere valutativo delle prove - ha ritenuto irrilevante la deposizione dello (Soggetto 2), siccome non riferita a circostanze oggettive delle attività verbalizzate compiute dagli agenti di Polizia municipale il 7 marzo 2003, ma soltanto allo stato dei luoghi del (OMISSIS), giorno in cui fu contestata alla ricorrente la violazione dell'art. 7 C.d.S., con verbale - come detto non costituente oggetto della querela di falso.

8. Neanche la terza doglianza coglie nel segno e va, quindi, disattesa.

Deve, infatti, affermarsi che, correttamente, la Corte di appello ha ritenuto inammissibile la querela di falso tardivamente proposta direttamente avverso il verbale di accertamento del (OMISSIS), indubbiamente costituente atto pubblico, siccome formulata solo in grado di appello e, come tale, incorrente nella preclusione di intervenuta decadenza ai sensi dell'art. 345 c.p.c., costituendo domanda nuova, non avendo alcuna rilevanza la supposta dipendenza della necessità di tale proposizione per effetto di una difesa sopravvenuta di controparte (oltretutto contenuta solo in una memoria di replica), la quale, invece, aveva, fin dal primo grado, incentrato la sua linea difensiva proprio sulle attestazioni contenute in detto verbale, non attinto, tuttavia, da querela di falso nel corso del giudizio (principale) di opposizione allo stesso incardinato dinanzi al Giudice di pace, nel quale avrebbe dovuto essere necessariamente formulata (non risultando, perciò, proponibile nel giudizio di appello relativo al giudizio sulla querela di falso in via incidentale avente, però, ad oggetto i predetti documenti, privi dell'efficacia propria stabilita dall'art. 2700 c.c.).

La giurisprudenza di questa Corte - richiamata opportunamente anche dal giudice di appello - ha, infatti, chiarito che nel giudizio di querela di falso costituisce domanda nuova, per novità del "petitum", la richiesta di accertamento della falsità di un documento ulteriore e diverso rispetto a quelli in relazione ai quali la domanda è stata inizialmente introdotta, ancorché tale documento abbia pur esso rilevanza nel diverso processo nel corso del quale è stato prodotto (v. Cass. n. 13122/1992 e Cass. n. 18622/2005).

9. Pure il quarto motivo, con cui è stato contestato il criterio di determinazione del valore della causa relativa a querela di falso come recepito nell'impugnata sentenza, è infondato, poiché, per tale tipo di controversia, va applicato il criterio dell'indeterminabilità avuto riguardo sia allo scopo del relativo giudizio di falso (che è quello di eliminare la verità del documento, anche al di là dell'utilizzo nella causa in cui la querela è incidentalmente insorta), che alle possibili conseguenze verificabili (anche al di fuori del processo), ove venisse accertata - con sentenza passata in giudicato - la falsità dei documenti impugnati, da cui l'esclusione della riferibilità al valore del documento oggetto di querela (cfr., per tutte, Cass. n. 15642/2017).

10. Il quinto ed ultimo motivo si profila inammissibile poiché con esso ci si limita a contestare la misura dei compensi liquidati per le singole attività in base alla tabella applicata, ma non si indica - in base al principio di necessaria specificità - il "quantum" che sarebbe spettato alle parti appellate secondo la tariffa in concreto e "ratione temporis" applicabile per ciascuna voce (v. Cass. n. 20808/2014 e Cass. n. 18190/2015), sul presupposto - peraltro - del valore indeterminabile della controversia come correttamente ritenuto dalla Corte di appello, ne’ risulta in alcun modo contestato l'espletamento delle singole attività defensionali riconosciute alle controparti con l'impugnata sentenza.

La censura, quindi, è del tutto generica.

11. In definitiva, sulla scorta delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, in favore del controricorrente Comune di (Omissis), che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Non occorre adottare alcuna statuizione sulle spese in ordine al rapporto processuale tra il ricorrente e l'intimato U.T.G. di (Omissis), non avendo quest'ultimo svolto alcuna attività difensiva in questa sede.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della stessa ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente Comune di (Omissis), delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2022.

 

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