Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Civile, Sezione seconda, sentenza n. 8412 del 27 aprile 2016

 

Corte di Cassazione Civile, Sezione II, sentenza numero 8412 del 27/04/2016
Circolazione Stradale - Artt. 40, 41 e 146 del Codice della Strada - Segnali orizzontali e luminosi - Intersezione Stradale semaforizzata - Svolta regolata da luci delle lanterne semaforiche di corsia - La luce delle lanterne semaforiche di corsia, apposte in presenza di strade che presentano più corsie munite di segnaletica orizzontale in modo da consentire la preselezione e l'attestamento dei veicoli in prossimità di una intersezione, non disciplina il passaggio dei veicoli in ragione dell'intenzione del conducente di effettuare una determinata manovra piuttosto che un'altra, ma regola il transito delle vetture che hanno seguito la canalizzazione della segnaletica orizzontale cui si dirige il segnale luminoso.


RITENUTO IN FATTO

(Soggetto 1) con ricorso depositato il 19 giugno 2009 proponeva opposizione avanti al Giudice di pace di Lodi avverso il verbale della polizia locale di (Omissis) con cui gli veniva contestato di proseguire la marcia in corrispondenza dell'intersezione tra via (OMISSIS), viale (OMISSIS) e la strada per (OMISSIS), nonostante il divieto imposto dalla segnalazione del semaforo, che proiettava luce rossa della sua direzione di marcia:

tale violazione era stata accertata a mezzo di apparecchiatura di rilevazione automatica.

Il giudice di pace respingeva l'opposizione.

Proponeva appello (Soggetto 1). e il Tribunale di Lodi, nel contraddittorio col Comune di (Omissis), rigettava il gravame. Il giudice dell'impugnazione rilevava essere incontestato che l'appellante non avesse impegnato la corsia di marcia per la canalizzazione dei veicoli che dovevano svoltare a sinistra e che, ove pure fosse provato che (Soggetto 1) avesse operato la conversione in quella direzione in presenza di una segnalazione semaforica che la consentiva, doveva attribuirsi rilievo al fatto che lo stesso istante aveva eseguito la manovra oltrepassando la linea di arresto della corsia di marcia regolare (diversa, cioè, da quella riservata ai vicoli che dovevano svoltare a sinistra) quando il semaforo proiettava luce rossa per i veicoli che occupavano la sua corsia. Lo stesso tribunale, a fronte della deduzione dell'appellante concernente la violazione della disposizione del D.M. 18 marzo 2004, art. 2, secondo cui andavano scattati per ogni infrazione due fotogrammi, il secondo dei quali allorché il veicolo si trovi al centro dell'intersezione, dichiarava inammissibile l'eccezione in quanto aveva carattere di novità.

Sottolineava poi che a norma dell'art. 38 C.d.S., comma 2, le prescrizioni delle segnalazioni semaforiche prevalgono su quelle date a mezzo dei segnali verticali e orizzontali. Infine affermava che, in base alla disciplina vigente al momento della rilevata infrazione, la presenza degli agenti di polizia non era necessaria qualora l'accertamento avvenisse mediante rilievo con apposite apparecchiature debitamente omologate.

La sentenza è stata impugnata da (Soggetto 1) con un ricorso affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso il Comune di (Omissis).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Col primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 146 C.d.S., comma 3, in relazione all'art. 41 C.d.S., commi 3, 12 e 18, nonché dell'art. 147 reg. att. C.d.S., e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. L'unica corsia ad avere una segnaletica orizzontale implicante obbligo di svolta era quella di sinistra, mentre nessun obbligo di manovra era imposto e segnalato per la corsia di destra. Poiché il semaforo mostrava una segnalazione di via libera per la svolta a sinistra il giudice d'appello avrebbe dovuto ritenere che all'automobilista che percorreva la corsia di destra era consentito di proseguire la marcia se intendeva svoltare a sinistra: infatti l'art. 41 C.d.S., chiarisce come le lanterne semaforiche di corsia si riferiscano esclusivamente ai veicoli che debbano (o non debbano) proseguire la marcia nella direzione indicata dalla freccia.

Il controricorrente ha eccepito, con riferimento a questo motivo, ma anche agli altri, che esso sarebbe inammissibile in quanto conterrebbe al suo interno plurime censure: ciò avendo particolarmente riguardo alla contestuale prospettazione dei vizi di cui ai nn. 3 e 5.

Va di contro osservato che è ammissibile il ricorso per cassazione, che denunzi con unico motivo vizi di violazione di legge e di motivazione, poiché nessuna prescrizione è rinvenibile nelle norme processuali che ostacoli tale duplice denunzia (Cass. 18 gennaio 2008, n. 976; Cass. 26 marzo 2009, n. 7261; cfr. pure: Cass. 12 settembre 2012, n. 15242; Cass. 23 aprile 2013, n. 9793).

Il motivo non è peraltro fondato.

Le lanterne semaforiche di corsia sono apposte in presenza di strade che presentano più corsie in modo da consentire la preselezione e l'attestamento dei veicoli in prossimità di una intersezione: in tali strade le corsie da riservare a determinate manovre devono essere contrassegnate da frecce direzionali (art. 147 reg. C.d.S.).

Ciò spiega che la luce del semaforo (per questo definito "di corsia") non disciplini il passaggio dei veicoli in ragione dell'intenzione del conducente di effettuare una determinata manovra piuttosto che un'altra, quanto il transito delle vetture che abbiano seguito la canalizzazione cui si dirige il segnale luminoso. Se esista quindi una corsia, munita di segnaletica orizzontale, che è destinata al traffico dei veicoli che devono svoltare in una determinata direzione, la lanterna semaforica di corsia che regola il transito sull'area dell'incrocio è riservata ai veicoli che abbiano seguito la relativa canalizzazione, indicata dalla citata segnaletica orizzontale. Le altre frecce direzionali del semaforo sono invece destinate ai veicoli che percorrano la restante parte della carreggiata.

La freccia direzionale del semaforo, dunque, non consentiva alcuna manovra di svolta a sinistra da parte dei veicoli che non si fossero previamente immessi nella corsia che inalveava il traffico in quella direzione: e in ragione di ciò il ricorrente doveva attendere sulla linea di arresto che il segnale luminoso gli consentiva di procedere diritto.

E' facile del resto osservare come una diversa soluzione, incentrata sulla valorizzazione del proposito del conducente di effettuare la svolta consentita dalla freccia del semaforo quand'anche si trovi in una corsia diversa rispetto a quella riservata a quella manovra comporterebbe inevitabili inconvenienti per l'ordinato flusso veicolare nell'area dell'incrocio: basti pensare al caso in cui la svolta dei mezzi che transitano sulla corsia riservata sia programmata in considerazione del fatto che essi, in quanto provenienti da un lato della carreggiata, impegneranno l'intersezione senza interferire con i veicoli, provenienti dalla direzione opposta, che debbano eseguire una manovra di svolta nella direttrice contraria rispetto a quella da loro prescelta; se si ammettesse che la svolta sia consentita anche ai veicoli che, percorrendo la stessa direzione dei primi, viaggino su una diversa corsia rispetto a quella riservata, la nominata interferenza potrebbe certo determinarsi, e con essa il rischio di incidenti.

Inoltre, l'opposta tesi renderebbe laboriosa e complessa la rilevazione dell'infrazione, in quanto ogni volta dovrebbe indagarsi se il conducente del veicolo che non si trova nella corsia abilitata alla svolta intendesse o meno eseguire una manovra in quella direzione: il che è contrario all'esigenza di una agevole rilevazione dell'illecito da parte dell'accertatore o dall'apparecchiatura deputata alla segnalazione di possibili infrazioni.

Col secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 146 C.d.S., comma 3, in relazione al D.M. 18 marzo 2004, art. 2, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Rileva il ricorrente che quanto dedotto in appello in merito ai due soli fotogrammi scattati non era da considerarsi quale motivo autonomo di impugnazione, ma una argomentazione volta ad escludere che l'amministrazione avesse fornito le prove necessarie per affermare la sussistenza dell'illecito: pertanto il tribunale non aveva applicato la disposizione dell'art. 2, del cit. D.M., la quale stabilisce che sono scattati per ogni infrazione almeno due fotogrammi, di cui uno all'atto del superamento della linea di arresto e l'altro quando il veicolo si trovi al centro dell'intersezione controllata.

Sotto tale profilo la censura investe un profilo motivazionale:

profilo il cui esame è tuttavia superfluo in ragione del rilievo assorbente per cui, come avvertito, il ricorrente, non trovandosi nella corsia riservata ai veicoli che dovevano praticare la manovra di svolta a sinistra, non avrebbe dovuto comunque impegnare l'incrocio. Per altro verso, proprio in quanto la questione viene riproposta in questa sede come argomento che impegna il versante della prova, il suo scrutinio tende a una inammissibile revisione dell'accertamento di fatto compiuto dal giudice di appello.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 146 C.d.S., comma 3, in relazione all'art. 38 C.d.S., comma 2, art. 41 C.d.S., commi 3, 12 e 18, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. La censura investe l'affermazione del giudice dell'impugnazione secondo cui le prescrizioni dei segnali semaforici prevalgono su quelle date a mezzo di segnali verticali e orizzontali: affermazione, questa, da cui la sentenza fa discendere la conseguenza per cui, pur in presenza di una segnaletica (orizzontale o verticale) carente, l'appellante, una volta avvedutosi che il semaforo proiettava luce rossa con riferimento alla corsia di marcia da lui impegnata, avrebbe dovuto astenersi dal proseguire la marcia. Il ricorrente sostiene pertanto che il tribunale, in assenza di un espresso divieto di svolta a sinistra sulla corsia da lui percorsa, avrebbe dovuto considerare corretta la manovra che egli si accingeva a praticare.

Il motivo è infondato.

Non è infatti decisiva l'assenza di un espresso divieto di svolta a sinistra sulla corsia percorsa dall'odierno istante, quanto piuttosto il fatto che il la luce verde del semaforo di corsia fosse riservata ai veicoli che transitavano sulla parte di carreggiata destinata a canalizzare quei mezzi che intendevano seguire quella direzione.

Con il quarto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 146, 3 co. cod. strada, in relazione all'art. 201 C.d.S., commi 2 bis e 2 ter, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. È spiegato, nel ricorso, che il giudice di appello aveva errato nel ritenere sussistenti nel caso posto al suo esame i presupposti di legge di cui all'art. 201 cod. strada. Infatti, è spiegato, non era in contestazione un semaforo con luce rossa e un semaforo con luce verde.

Nemmeno tale censura può trovare accoglimento.

L'art. 201, comma 1 bis, stabilisce che la contestazione immediata non è necessaria nell'ipotesi di attraversamento di un incrocio con il semaforo indicante la luce rossa. Poiché, alla stregua di quanto osservato, la violazione in cui è incorso il ricorrente è esattamente quella testé richiamata - non assumendo evidentemente rilievo il fatto che altra lanterna semaforica segnalasse luce verde, posto che egli non era destinatario di tale indicazione - la contestazione immediata non era necessaria.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Il Comune resistente, nel controricorso, ha proposto domanda di risarcimento per lite temeraria ex art. 385 c.p.c., comma 4, avendo riguardo alla manifesta infondatezza del ricorso avversario.

L'art. 385 c.p.c., comma 4, è stato abrogato dalla L. n. 69 del 2009, anche se, per espressa previsione dell'art. 58, comma 1, di essa, le relative disposizioni si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore: locuzione, quest'ultima, che è da intendersi come riferita ai procedimenti introdotti in primo grado dopo detta data. Essa quindi trova applicazione nel presente giudizio, che è stato introdotto con ricorso depositato il 19 giugno 2009.

La norma prevede che quando pronuncia sulle spese, la Corte, anche d'ufficio, condanni la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave.

Quella di cui al cit. art. 385, comma 4, costituisce una sanzione processuale per l'abuso del processo perpetrato dalla parte soccombente nel giudizio di legittimità ed implica, pertanto, la dimostrazione che la parte abbia agito, o resistito, se non con dolo, ponendo in essere una condotta consapevolmente contraria alle regole generali di correttezza e buona fede, tale da risolversi in un uso strumentale ed illecito del processo, in violazione del dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.), non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate (così Cass. 7 ottobre 2013, n. 22812).

Nel caso in esame non si ravvisa colpa grave, nei termini sopra esposti, onde la domanda in questione deve essere respinta.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 700,00, oltre Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 5 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2016.

 

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