Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quinta, sentenza n. 44829 del 27 ottobre 2014

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione V, sentenza numero 44829 del 27/10/2014
Circolazione Stradale - Art. 220 del Codice della Strada e art. 350 c.p.p. - Dichiarazioni spontanee dell'indagato - Utilizzabilità - Le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato alla polizia giudiziaria sono probatoriamente utilizzabili nel giudizio abbreviato poiché l'art. 350 c.p.p., comma 7, sancendo la inutilizzabilità esclusivamente nel dibattimento delle dichiarazioni spontanee rese dall'indagato, ne consente, invece (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit), la piena e incondizionata utilizzazione nei riti alternativi non dibattimentali e, pertanto, nel giudizio abbreviato.


RITENUTO IN FATTO

1. (Soggetto 1) e (Soggetto 2) propongono ricorso per cassazione, con atti separati, sottoscritti dal difensore, avv. M. M., contro la sentenza della Corte d'appello di Ancona, in data 31 gennaio 2013, con la quale era parzialmente riformata la sentenza del G.U.P. del Tribunale di (Omissis), resa in esito a rito abbreviato in data 12 dicembre 2006, che li condannava per i delitti di detenzione al fine di spendita di 14 banconote contraffatte da 20 Euro; tali banconote avevano tutte lo stesso numero di serie e furono trovate in parte sulla persona dell'(Soggetto 2) ed in parte in un marsupio della donna.

1.1 La Corte territoriale rigettava l'appello degli imputati ed accoglieva quello del Procuratore Generale, avendo il primo giudice omesso l'applicazione della pena della multa, prevista come congiunta dalla norma incriminatrice.

2. (Soggetto 1) affida il ricorso a tre motivi.

2.1 Con il primo motivo deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. C, in relazione all'art. 350 c.p.p., poiché i giudici di merito hanno utilizzato le spontanee dichiarazioni rese dall'indagata nell'immediatezza dei fatti, in violazione della norma processuale che ne sancisce l'inutilizzabilità patologica, rilevante in sede di giudizio abbreviato.

2.2 Con il secondo motivo deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione all'art. 455 c.p., rispetto alla consapevolezza dell'imputata della falsità delle banconote. Anche se la sentenza desume il dolo dal modo in cui esse erano custodite all'interno di un marsupio (ripiegate separatamente e non insieme alle altre banconote) e dalle dichiarazioni dell'imputata, a suo giudizio non c'erano elementi esteriori che potessero ingenerare dubbi sulla autenticità delle banconote; anche la presenza dello stesso numero di serie non poteva essere ritenuto decisivo, perché si tratta di un dato non immediatamente apprezzabile da chi riceve il denaro. Infine si osserva che la donna non aveva alcuna necessità di spacciare monete false, essendo di ottima famiglia, possidente e con un'occupazione stabile.

2.3 Con il terzo motivo si deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. B, in relazione all'art. 62 c.p., n. 4, poiché illegittimamente la Corte territoriale ha negato l'attenuante del danno di speciale tenuità, ritenendo erroneamente che la norma che la prevede non sia applicabile ai reati di falso. Inoltre si deduce eccessività della pena inflitta in primo grado e confermata in appello.

3. (Soggetto 2) propone un unico motivo, corrispondente in tutto al terzo motivo proposto dalla coimputata, per cui ad esso ci si può richiamare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi degli imputati vanno rigettati.

1.1 Cominciando dall'impugnazione proposta da (Soggetto 1), il primo motivo è infondato.

Per consolidata giurisprudenza, ribadita anche recentemente (Sez. 1, n. 35027 del 04/07/2013, V., Rv. 257213), le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato alla polizia giudiziaria sono probatoriamente utilizzabili nel giudizio abbreviato. In proposito - giova ricordare - l'art. 350 c.p.p., comma 7, sancendo la inutilizzabilità (esclusivamente) nel dibattimento delle dichiarazioni spontanee rese dall'indagato, ne consente, invece (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit), la piena e incondizionata utilizzazione nei riti alternativi non dibattimentali e, pertanto, nel giudizio abbreviato.

In tal senso è consolidata la giurisprudenza affatto prevalente di questa Corte Suprema (v. Sez. 1, n. 44637 del 13/10/2004, I., Rv. 230754; Sez. 2, n. 44874 del 29/11/2011, T., Rv. 251360; Sez. 6, n. 8675 del 26/10/2011 - dep. 06/03/2012, L., Rv. 252279; Sez. 5, n. 18064 del 19/01/2010, A., Rv. 246865; Sez. 3, n. 48508 del 03/11/2009, D. R., Rv. 245622: Sez. 6, n. 29138 del 25/05/2004, D.A., Rv. 229457; Sez. 1, n. 48916 del 02/12/2003, R., Rv. 226674; Sez. 2, n. 37374 del 19/09/2003, B., Rv. 227037).

1.2 Non ignora il Collegio che un recente arresto (richiamato dal difensore nel corso della discussione, sottolineando peraltro un elemento nuovo, rappresentato dalla mancanza di spontaneità delle dichiarazioni) è pervenuto a difforme approdo ermeneutico, nel senso, cioè, che "nel giudizio abbreviato sono inutilizzabili le dichiarazioni rese da chi, sin dall'inizio, avrebbe dovuto essere sentito come persona indagata, ancorché siano state rese spontaneamente" (Sez. 3, n. 36596 del 07/06/2012 - dep. 21/09/2012, O., Rv. 253574); secondo la ridetta pronuncia la disposizione dell'art. 350 c.p.p., u.c., alla luce del collegamento sistematico con l'art. 62 c.p.p. e art. 63 c.p.p., comma 2, assumerebbe carattere eccezionale e dovrebbe essere interpretata restrittivamente; sicché potrebbe "trovare applicazione soltanto per le dichiarazioni rese dall'indagato sul luogo e nella immediatezza del fatto", con la conseguenza che le spontanee dichiarazioni rese altrimenti dall'indagato, in carenza delle guarentigie difensive, sarebbero inficiate dalla inutilizzabilità c.d. assoluta ovvero patologica, restando, così, escluse dal compendio probatorio anche nei riti alternativi e, in particolare, nel giudizio abbreviato. Siffatta conclusione però non è condivisibile, alla luce del chiaro disposto dell'art. 350 c.p.p., comma 7, che limita l'inutilizzabilità al dibattimento.

2. Il secondo motivo è manifestamente infondato: contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, la Corte di merito ha adeguatamente motivato il proprio convincimento circa la consapevolezza, da parte della (Soggetto 1), della falsità delle banconote in suo possesso già al momento della ricezione; al riguardo ha valorizzato l'occultamento di esse in un marsupio, separatamente dalle altre, ripiegate singolarmente, circostanza che rendeva evidente l'intenzione di prelevarle di volta in volta ad una ad una, senza correre il rischio che, apparendone più insieme, il destinatario potesse rendersi conto della presenza dello stesso numero di serie, nonché le caratteristiche delle banconote stesse, prive dei rilievi olografici e recanti tutte lo stesso numero di serie; ha rilevato, altresì, che l'imputato aveva omesso di fornire indicazioni precise circa la provenienza delle banconote in suo possesso.

Della linea argomentativa così sviluppata il ricorrente non segnala alcuna caduta di consequenzialità, che emerga ictu oculi dal testo stesso del provvedimento; mentre il suo tentativo di contestarne la persuasività si risolve nella prospettazione di una lettura del materiale probatorio alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione.

3. Il terzo motivo, al pari dell'unico motivo proposto da (Soggetto 2), è infondato.

3.1 Quanto al riconoscimento dell'attenuante del danno di speciale tenuità, il Collegio condivide l'orientamento giurisprudenziale, riaffermato anche recentemente da questa Sezione (Sez. 5, n. 26807 del 19/03/2013, N., Rv. 257545; contra Sez. 5, n. 23812 del 15/05/2013, A., Rv. 255522; Sez. 5, n. 4967 del 21/10/2009, K., Rv. 245824) secondo cui, a seguito della modifica recata dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19, art. 62, comma 1, n. 4, la circostanza attenuante del danno economico di speciale tenuità è applicabile ad ogni tipo di delitto, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, purché il fatto risulti commesso per un motivo di lucro, e cioè per acquisire, quale risultato dell'azione delittuosa, un vantaggio patrimoniale, e purché la speciale tenuità riguardi sia il lucro (prefigurato o conseguito) sia l'evento dannoso o pericoloso (Sez. 5, n. 43342 del 19/10/2005, S., Rv. 232851; Sez. 1, n. 36299 del 12/09/2001, G., Rv. 219898). L'espressione "evento dannoso o pericoloso", secondo questa tesi, deve ritenersi riferita alla nozione di evento in senso giuridico ed è idonea a comprendere qualsiasi offesa penalmente rilevante purché essa sia, e in astratto (in relazione alla natura del bene giuridico oggetto di tutela) e in concreto (come contestata), di tale particolare modestia da risultare "proporzionata" alla tenuità del vantaggio patrimoniale che l'autore del fatto si proponeva di conseguire o ha in effetti conseguito.

Sicché l'attenuante risulta inapplicabile soltanto ai delitti che producono un danno o una situazione di pericolo di una qualche gravità e consistenza, nonché, ovviamente, a quelli la cui previsione è posta a tutela di beni fondamentali o diritti inviolabili (quelli che la dottrina più genericamente definisce "contrassegnati da maggiore disvalore sociale").

3.2 Tuttavia il valore complessivo delle banconote contraffatte (Euro 280) già di per se’ non consente l'applicazione della menzionata attenuante, la quale implica un danno patrimoniale subito dalla parte offesa come conseguenza diretta e immediata del reato di valore economico pressoché irrilevante (Sez. 2, n. 15576 del 20/12/2012 - dep. 04/04/2013, M., Rv. 255791); ciò induce il Collegio a non rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 618 c.p.p., poiché la soluzione del contrasto giurisprudenziale è da ritenersi ininfluente ai fini della soluzione del caso concreto.

3.3 Quanto invece alla eccessività della pena, la deduzione difensiva fondata sul comportamento processuale è generica, atteso anche che la pena concretamente inflitta (10 mesi e 20 giorni di reclusione e Euro 300 di multa) è di poco superiore al minimo edittale ed è ritenuta equa con riferimento ai criteri ex artt. 133 e 133 bis c.p., in ossequio al costante orientamento di questa Corte, secondo cui quando la sanzione venga contenuta nel minimo o in prossimità del minimo, la motivazione non deve necessariamente svilupparsi in un esame dei singoli criteri elencati nell'art. 133 c.p., essendo sufficiente il riferimento alla necessità di adeguamento al caso concreto (Sez. 2, n. 43596 del 07/10/2003, I., Rv. 227685), oppure l'uso di espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento", ovvero il richiamo alla gravità del reato o alla personalità del reo (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, R., Rv. 237402).

4. Anche la richiesta di dichiarare l'intervenuta prescrizione del reato, formulata dal difensore in sede di discussione orale, va disattesa.

Quando la pena per un reato è indicata in quella stabilita per altro reato, ridotta da un terzo alla metà, per individuarne l'esatta estensione occorre operare la massima diminuzione sulla pena minima del reato di riferimento e la minima riduzione sulla pena massima del reato (Sez. 1, n. 382 del 27/01/1992, M., Rv. 189220); di conseguenza, limitando il discorso alla pena detentiva, rilevante ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere (art. 157 c.p., comma 1: la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria) la pena edittale per la fattispecie contestata agli imputata oscilla da un anno e sei mesi ad otto anni di reclusione. Il reato, commesso il (Omissis), si prescrive allora in 10 anni, il 14 maggio 2016 e non in sette anni e sei mesi, come argomentato dal difensore.

5. In conclusione i ricorsi degli imputati vanno rigettati, con la conseguente condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2014.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2014.

 

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