Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quinta, sentenza n. 44016 del 14 dicembre 2010

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione V, sentenza numero 44016 del 14/12/2010
Circolazione Stradale - Art. 154 del Codice della Strada e art. 610 del c.p. - Cambiamento di direzione o di corsia o altre manovre - Reato di violenza privata - Affiancarsi ad altra vettura, sorpassarla e sterzare bruscamente, costringendo l'altro automobilista a cambiare direzione di marcia al fine di impedire una collisione, è condotta che integra il delitto di violenza privata, art. 610 c.p., perché l'agente, con la violenza tipica delle manovre spericolate, impedisce alla parte offesa di proseguire regolarmente la sua marcia.


RITENUTO IN FATTO - CONSIDERATO IN DIRITTO

(Soggetto 1) è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, in entrambi i gradi di merito - sentenze emesse dal Tribunale di (Omissis) il 13 maggio 2008 e dalla Corte di Appello di Palermo in data 1 dicembre 2009 - per il reato di violenza privata perché alla guida della sua auto tentava di speronare l'auto condotta da (Soggetto 2) al fine di farlo fermare, costringendo il (Soggetto 2) a manovre spericolate.

L'affermazione di responsabilità era fondata sulle dichiarazioni della parte offesa confortate da quelle della teste (Soggetto 3), che con la parte lesa viaggiava nell'auto.

Con il ricorso per Cassazione (Soggetto 1) deduceva:

1) la inosservanza di norme processuali - artt. 178 e 179 c.p.p. e art. 552 c.p.p., comma 3 - perché la notifica del decreto di citazione a giudizio in primo grado era avvenuta soltanto 52 giorni prima della udienza; la eccezione, rigettata dalla Corte di merito, veniva proposta per la prima volta con i motivi di appello;

2) la inosservanza o erronea applicazione dell'art. 610 c.p.;

3) la erronea applicazione della L. n. 241 del 2006 sull'indulto per mancata applicazione dello stesso da parte dei giudici di merito.

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da (Soggetto 1) non sono fondati.

Quanto al primo motivo in punto di fatto è certamente vero che la notifica del decreto di citazione a giudizio in primo grado al difensore di fiducia sia avvenuta soltanto 52 giorni prima della udienza e non sessanta come prescritto dall'art. 552 c.p.p..

Come è pure vero che il difensore di ufficio presente nel giudizio di primo grado non abbia eccepito la nullità.

Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, secondo il costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che questo Collegio condivide perché fondata su una corretta interpretazione della norma in discussione e della ratio dell'istituto, la violazione del termine a comparire davanti al Tribunale previsto dall'art. 552 c.p.p., comma 3, in giorni sessanta, non determina nullità assoluta del decreto di citazione a giudizio, bensì una nullità generale di carattere intermedio, rilevabile di ufficio ex art. 180 c.p.p. e deducibile, ex art. 182 c.p.p., comma 2, dalla parte interessata all'osservanza della norma violata, a pena di decadenza, prima dell'apertura del dibattimento. Qualora la parte compaia dichiarando che la comparizione è determinata dal solo intento di far valere la irregolarità, ha diritto, ex art. 184 c.p.p., comma 2, ad un termine a difesa che deve essere tale da assicurare all'imputato il godimento dei termini complessivamente stabiliti dall'art. 552 c.p.p., comma 3, a fare data dalla prima notifica (vedi in termini Cass., Sez. 5, 28 novembre 2007 - 14 gennaio 2008, n. 1765, CED 239097).

Insomma il difetto di notifica del decreto di citazione integra una nullità assoluta di cui all'art. 178 c.p.p., lett. C), mentre un decreto correttamente notificato, ma non rispettoso dei termini da luogo ad una nullità sanabile nei termini dinanzi indicati.

Orbene nel caso di specie l'eccezione di nullità non è stata proposta prima della apertura del dibattimento, nè il difensore ha chiesto un termine a difesa, cosicché correttamente il giudice di appello ha ritenuto la indicata nullità sanata per intervenuta decadenza ad eccepirla. Il motivo di ricorso è, pertanto, infondato.

Anche il secondo motivo di impugnazione è infondato perché, come correttamente stabilito dai giudici del merito, affiancarsi ad altra vettura, sorpassarla e sterzare bruscamente, costringendo altro automobilista a cambiare direzione di marcia al fine di impedire una collisione, è condotta che, come rilevato più volte dalla giurisprudenza di legittimità (vedi Cass., Sez. 1, 6 - 26 settembre 2002, n. 32001; Cass., Sez. 5, 9 gennaio - 19 marzo 1985, n. 2545), integra il delitto di cui all'art. 610 c.p., perché l'agente con la violenza tipica delle manovre spericolate impedisce alla parte offesa di proseguire regolarmente la sua marcia.

Ed è esattamente ciò che si è verificato nel caso di specie dal momento che la parte lesa per evitare una collisione era costretto ad uscire fuori strada e ad imboccare precipitosamente una stradina laterale.

Manifestamente infondato è l'ultimo motivo di impugnazione potendo l'indulto di cui alla L. n. 241 del 2006 essere applicato nella sede esecutiva.

Per le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del procedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2010.

 

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